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Razionamento e raziocinio

La vasca piena fino all’orlo, la tentazione di violare le prescrizioni materne permettendo a Big Jim una nuotata epica in quell’avventuroso bacino artificiale. Le pentole per terra, ricolme anche loro, quelle più grandi basi spaziali da dove avviare le esplorazioni, quelle piccole navicelle nemiche da bombardare. Il secchio vicino al water, e l’indicazione di dosare bene le porzioni, che gli sprechi non saranno tollerati, e magari di fare insieme quella grossa e quella piccola, così da minimizzare le perdite idriche.

Per un pugliese della mia età il razionamento dell’acqua non è una minaccia, è un ricordo. Perché noi a quelle giornate in cui l’acqua arrivava per 4 o 5 ore al giorno, e giù a riempire ogni contenitore impossibile in quel lasso di tempo, ci eravamo abituati. Altro che le urla indignate “vergogna” di questi giorni dei capitolini che preferirebbero devastare un lago piuttosto che rinunciare alla granita.

Erano persino divertenti, quelle giornate, tutto quel trambusto di pentole e bottiglie da portare avanti e indietro per la casa, e si finiva per raccoglierne sempre di più di quanto non fosse necessario. E già, perché da un punto di vista razionale non so quanto serva ridurre la distribuzione dell’acqua, visto che poi la gente fa scorta. Magari è addirittura uno spreco, perché noi alla fine in quella vasca stracolma ci facevamo il bagno, quando invece avremmo potuto cavarcela con una doccia veloce. Perché, ovviamente, il razionamento avveniva sempre d’estate.

Però un vantaggio ce l’ha. Perché quando apri il rubinetto e non esce niente qualche domanda te la poni. Questo senso di impotenza che prende noi convinti che tutto ci sia sempre dovuto, dal wi-fi all’aria condizionata, ti pervade, ti annichilisce, ti fa riflettere. Ti fa pensare a quel miliardo di persone che un rubinetto non l’hanno mai visto, e sono abituate a fare della scarsità la cifra di un’esistenza sfortunata. Poi è ovvio, il problema vero sono gli sprechi, le aziende che pagano l’acqua a forfait, il fatto che per produrre un litro di una nota bevanda gassata se ne consumino 200 di acqua, e anche una tazzina di caffè (ahimè) ci costa 140 litri. Però intanto abituarci ad un po’ di ristrettezze ci farà bene. A ricordarci di chiudere il rubinetto mentre ci laviamo i denti, a mettere un frangigetto alla doccia.

Io spegnerei anche la corrente elettrica ogni tanto, salvaguardando chi ne ha bisogno per vivere, ovviamente. Per tornare a quelle serate a lume di candela – neanche quelle ci sono mancate in gioventù – in cui si tornava a raccontare storielle o giocare a carte. Perché a volte se sgombriamo il tavolo da tanti soprammobili inutili con cui l’abbiamo ricoperto, forse rimane un po’ più di spazio per noi.

PS Tutte le case pugliesi cent’anni fa avevano una stanza sotterranea adibita a pozzo, da riempire con l’acqua piovana e utilizzare per esempio come riserva per il giardino. Poi ne abbiamo fatto tavernette, ma l’idea del pozzo non era poi tanto male.

 

Benvenuti a Pugliawood

Foto tratta da http://www.tuttosporttaranto.com/

La definizione azzeccata l’ha data il mensile Ciak, parlando appunto di Pugliawood in riferimento al fatto che la regione da alcuni anni è cornice di numerosi film italiani e stranieri che hanno riscoperto un territorio colpevolmente trascurato dal mondo dello spettacolo. E attenzione, non si parla soltanto di film intrinsecamente “pugliesi”, come per esempio quelli di Sergio Rubini o Eduardo WInspeare, o di commedie che ricalcano alcuni cliché resi popolari negli anni settanta da Lino Banfi (si pensi a Checco Zalone o al recente e sottovalutato “Non me lo dire” di Uccio De Santis). La Puglia diventa set cinematografico anche per pellicole la cui storia con la Puglia non c’entra niente, come nel caso de “La vita facile” con Favino, Accorsi e Vittoria Puccini. L’ambientazione è africana, ma se guardandolo avete subito il fascino del continente nero, sappiate che è girato in Salento.
Come si spiega tutto ciò, negli stessi anni in cui si parla di smantellare Cinecittà? Semplice. La politica ogni tanto fa qualcosa di giusto. E la politica in Puglia ha dapprima istituito, per legge (6/2004) una Film Commission, cioè una struttura che si occupa di promuovere il territorio agevolando chi voglia girarci dei film. Attenzione, la legge fu approvata sotto la presidenza Fitto, anche se poi è stato Vendola a credere in questo progetto e attuarlo. A dimostrazione che le buone idee non sono necessariamente di una parte politica. La film commission costa, per carità, perché oltre a fornire supporto logistico e consulenza, la legge garantisce degli sconti fiscali e altre agevolazioni: si parla di più di un milione di finanziamenti dal 2007, ma se fosse possibile calcolare esattamente il ritorno economico per il turismo, il lavoro (perché le troupe hanno bisogno di sostegno di operatori locali) si scoprirebbe senz’altro che sono soldi ben spesi. Anche perché per ricevere i finanziamenti bisogna dimostrare di aver speso sul territorio dal 150 al 300% di quanto ricevuto.
Ebbene, anche la mia amata e sfortunata Taranto è finalmente coinvolta da questo progetto (va bene lu sole lu mare e lu viento, ma vi assicuro che la Puglia è bella non solo a Lecce). E si tratta sul serio di Hollywood. Il film si chiama “Third person” , è una produzione internazionale diretta dal premio Oscar Paul Haggis e alcune scene sono girate nella città vecchia di Taranto e addirittura – pare – nella mia Statte. Tra i protagonisti, Liam Neeson e Adrien Brody.

Ci sono tanti modi per investire in comunicazione. Si possono finanziare gli artisti che hanno qualcosa da raccontare. Oppure si può organizzare un’agenzia che riprende giorno e notte il presidente della Provincia di Firenze, che racconta quello che pensa il presidente della Provincia di Firenze, che fa vedere quanto è figo il presidente della Provincia di Firenze. Nessun riferimento a fatti, persone o primarie, per carità, anche perché nel frattempo quel presidente è diventato sindaco di Firenze e pare che il suo prossimo obiettivo sia trasformare l’agenzia in un ministero che riprende giorno e notte il presidente del consiglio, che racconta quello che pensa il presidente del consiglio, che fa vedere quanto è figo il presidente del consiglio.