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Infinity vs Netflix, che la sfida abbia inizio

Sonotivù da sempre un amante della tv on-demand. La prima volta, una quindicina d’anni fa, che vidi la videostation di Fastweb, con la sua tastiera un po’ goffa e il suo catalogo titoli un po’ limitato, rimasi letteralmente a bocca aperta. Non ho mai amato infatti l’idea di essere legato ad un orario per vedere un programma televisivo, con l’ovvia eccezione delle dirette. Per una generazione come la mia abituata a convivere con l’ansia che la videocassetta finisse prima del film da registrare, la possibilità di selezionare un contenuto in qualunque momento è un sogno che si fa realtà. Se poi si considera che oggi questo contenuto può essere fruito su tablet, pc, smartphone o tv, allora capite come siamo di fronte ad un momento epocale. Non per niente non ho mai avuto abbonamenti televisivi ma sono un contento fruitore di Rai Replay che adesso si trova a dover confrontare addirittura due alternative: Netflix e Infinity. Non ho preso in considerazione l’offerta di Sky perché la fruizione tramite hardware proprietario mi sembra anacronistica, è tempo che Sky si svegli e scopri che c’è un mondo al di là delle sue parabole e dei suoi decoder criptati [CORREZIONE: Sky Online è fruibile anche da altri dispositivi, me lo hanno fatto notare e ammetto l’errore. Rimane il fatto che non l’ho mai provato perché costa di più degli altri e quindi non lo giudico].

Al contrario di quello che si potrebbe pensare, non c’è un vincitore in questo momento, perché non condivido l’opinione corrente molto diffusa che considera Infinity una brutta copia povera di Netflix. Non ho dubbio sul fatto che sia una copia, considerando se non altro i dati “anagrafici”, ma che sia brutta, al momento non direi. Ecco un confronto assolutamente personale e come tale discutibile, e soprattutto valido oggi, dicembre 2015: i cataloghi sono in evoluzione e chissà cosa accadrà in futuro.

Contenuti: Infinity – Netflix 2-1

So che questo stupirà i più, ma la verità è che oggi a mio modo di vedere l’offerta di Infinity è migliore rispetto a quella di Netflix. Oltre ad una più ricca offerta di film italiani, comprensibile se si considera che Infinity può contare sul catalogo Medusa, Infinity ad oggi è sicuramente più ampia, presentando anche film europei d’autore che Netflix non ha. Per non parlare di autentiche chicche come la vasta scelta di film dello studio Ghibli di Myazaki o i film di Woody Allen in occasione del suo compleanno. Netflix vince sui documentari, sconosciuti a Infinity, ma perde anche sui film d’animazione (per il momento veramente pochi). Persino le osannate serie oggi secondo me sono ben equilibrate. Poi ovviamente è questione di gusti: Netflix mi sembra più forte sulle serie poliziesche, Infinity ha più spazio per la commedia (e poi ha la mia serie preferita, The Big Bang Theory). Credo che Netflix migliorerà scrollandosi di dosso quell’impressione di prodotto adatto ai nerd (sci-fi, crime, supereroi) che la caratterizza attualmente.

NOTA Infnity offre anche film a pagamento. Funzionalità che ho mai provato perché, come nel caso anche di servizi analoghi, 4-5 € per un film on demand mi sembra un prezzo esorbitante).

App: Netflix – Infinity 5-0

Questa è la parte della composizione più nettamente a favore di un concorrente. Non c’è infatti gara, da qualunque punto di vista si analizzi il confronto, la app di Infinity risulta umiliata. Non so a chi sia stato affidato lo sviluppo del software, ma certo se io fossi ai vertici di Mediaset correrei ai ripari. Non ha senso investire in nuovi contenuti, se poi la schermata che gli utenti useranno più frequentemente sarà “l’applicazione Infinity si è chiusa in modo anomalo”. Ovviamente ho avuto modo di testare il programma su alcuni smartphone e tablet Android, per cui posso parlare solo per quelli, ma i blocchi continui che caratterizzano Infinity sono davvero disarmanti. Passare da un episodio all’altro è praticamente impossibile, talvolta la sincronia tra audio e sottotitoli salta, non vi dico poi i problemi con Chromecast. Alla fine il risultato si ottiene e il film si vede, ma che fatica! Tutto fluido e scorrevole con Netflix, che tra l’altro ha una gestione multi-utente molto più immediata. Altro grave problema, a parità di banda disponibile (tra i 4 e i 5 mega), Infnity talvolta si blocca anche a definizione standard, soprattutto con l’uso tramite decoder, rendendo disperante la visione di un film il sabato sera. Pare che sia una questione di server, però è chiaro che se Infinity non interviene in fretta in questo ambito l’uscita dal mercato sarà inevitabile.

Dispositivi: Infinity – Netflix 1-0

Su questo aspetto non nascondo che Netflix sia stata un’enorme delusione. La campagna pubblicitaria sostiene che sia accessibile praticamente da qualunque dispositivo smart, e nemmeno si prendono la briga di elencare quelli su cui funziona davvero. Il risultato è che, dopo numerosi contatti con l’assistenza via chat, ho scoperto che Netflix non funziona né sul mio televisore Sony, né sul blue-ray Samsung, né sul decoder digitale terrestre Adb I-can, né su quello satellitare Humax, tutti connessi online. Niente. Sono riuscito a farlo funzionare solo tramite Wii, ma solo dopo parecchi interventi sulla configurazione. La colpa non è di Netflix ma dei produttori hardware, che bloccano la app sui modelli degli anni precedenti (tanto è vero che gli stessi apparecchi all’estero funzionano perfettamente con Netflix) con l’obiettivo di vendere i modelli nuovi. Certo che se pensano di farmi cambiare il televisore dopo 3 anni perché non c’è la app, non hanno davvero capito niente. Per fortuna c’è la mitica chiavetta “Chromecast” che risolve i problemi. Su questo fronte Infinity non fa molto di più, ma almeno sul loro sito c’è un elenco con i dispositivi dove davvero funziona, fatti salvi i grossi limiti della app (vedi sopra).

Funzioni aggiuntive: Infinity – Netflix 1-1

Infinity permette di salvare in locale un film per vederselo quando si è fuori rete entro un periodo di tempo limitato, funzione che Netflix non prevede. Si tratta di una funzionalità straordinaria per un determinato numero di utenti, per esempio per i pendolari, che la sera possono scaricarsi un film e il giorno dopo vederselo in treno. Ovviamente un servizio internazionale come Netflix non considera la possibilità di un utente offline, ma in Italia è una situazione molto frequente, sia per i limiti e i costi delle connessioni (quanti film puoi vederti con una ricarica mensile di 4 gb?) sia perché la rete non è raggiungibile in tanti posti. A parte i pendolari, non vedo chi altri possa essere interessato a questa funzione. Ma perché propongo un pareggio, se Netflix non propone nulla? Perché il costo di servizio è, per alcuni, impensabile: per ostacolare la pirateria e quindi il download selvaggio dei propri cataloghi, Infinity impedisce il funzionamento su dispositivi rooted. Se non sapete di cosa si tratta, allora per voi non è un problema. Altrimenti rischia anche questo di diventare un limite tecnologico che farà perdere a Infinity tanti clienti (e parlo di persone oneste che hanno un dispositivo rooted per validi motivi e non certo per fare pirateria).

Costi: Infinity – Netflix 3-2

Infinity costa meno, non c’è dubbio. A 9,99 € offre quello che Netflix propone a 11,99 €. Certo Netflix ha un’offerta più strutturata, ma in ogni caso il costo annuo supera abbondantemente i 79 € del pass annuale di Infinity. A ciò si aggiunga che Infinity da un anno a questa parte propone continuamente la possibilità di sconto del 50% su vari tipi di abbonamenti: promozione destinata a scemare nel tempo, ma di sicuro più incisiva del mese gratuito di Netflix. Tutto ciò vale per gli utenti che dispongono di banda larga: per gli italiani con una adsl sui 5-6 mb (la maggioranza) Netflix a 7,99 € è una scelta vantaggiosa

Conclusioni

In questo momento Infinity a mio modo di vedere non ha nulla da invidiare a Netflix, anzi. Se fossi un pendolare o avessi la disponibilità di una rete a banda larga lo sceglierei senza dubbio. Ci sono però un paio di enormi limiti su cui gli operatori di Mediaset dovranno intervenire se vorranno rimanere competitivi: prima di tutto devono sviluppare una app non dico buona ma almeno decente, poi devono lavorare sulla rete di distribuzione dei server. Fino ad ora io ho usato Infinity, ma sono stufo dei blocchi che si verificano nei momenti di maggior traffico (tipicamente la sera). Considerando che Netflix non ha problemi analoghi, secondo voi verso chi mi orienterò? Considerando poi che con una adsl non troppo performante (5 mb) la scelta della definizione standard è obbligatoria, e quindi Netflix diventa addirittura più economico.

Ovviamente, prima di scegliere, vi consiglio di provarli entrambi, come ho fatto io

La terza opzione: non so, non rispondo

cavalloUna volta nei sondaggi si proponeva sempre una terza opzione per l’interlocutore in difficoltà: non sa, non risponde. Oggi i sondaggisti si sono fatti più furbi e aggirano il rischio di zone grigie di incerti, tramite domande più o meno indirizzate.

Ebbene, io credo che sia arrivato il momento di riscoprirla, quella terza opzione. Perché non solo non possiamo avere una risposta per tutto, ma non possiamo avere una opinione per tutto. Per carità, il diritto di rivendicare una opinione è fondamentale, ma a patto di avere gli elementi minimi per formarsela. Cosa ne penso della guerra in Siria? Non lo so, ci sono troppi attori in campo, troppi dati di cui non dispongo, troppe variabili che mi sfuggono. Non ho una opinione, bisogna che ce l’abbiano i politologi che studiano relazioni internazionali, bisogna che ce l’abbiano i politici che occupano posizioni di vertici. Cosa ne penso dello scandalo della Volkswagen e delle emissioni truccate? Non lo so, mi sono fatto un’idea leggendo i giornali, ma ho anche l’impressione che si tratti di un attacco al diesel (tecnologia europea in crescita) piuttosto che ai tedeschi, ma è un’impressione tutto qui. Rivendico il diritto di non avere una opinione.

Su altro, caspita se ce l’ho: ce l’ho sulla politica interna del governo, ma è perché come funzionario pubblico devo studiarmi un bel po’ di leggi, non perché sia particolarmente brillante; ce l’ho sulla difesa del Taranto che così non può reggere, ma è perché bisogna essere ciechi per non vedere che gli juniores non reggono la pressione. Vabbè lasciamo stare l’ultimo esempio.

In quale epoca avresti voluto vivere? Non lo so. Dovrei studiare per rispondere, per analizzare pro e contro di ogni contesto storico e confrontarlo con le mie attitudini. Non posso dire che mi piacerebbe il medioevo perché amo i castelli, o che vorrei essere un romano perché le loro tuniche larghe snelliscono anche i più fuori forma. Ci vuole ben altro per rispondere. Abbiate il coraggio della terza opzione. Soprattutto se salite sulla ribalta pubblica, televisiva o web, per motivazioni non legate alla vostra professione. Se siete una miss, vi è richiesto di avere chiappe sode e un bel sorrisino (e basta ipocrisie, è così), non di conoscere la storia. Se siete un calciatore, è il tocco di palla e la visione di gioco che contano: se vi chiedono cosa ne pensate della politica estera, cacchio, usate la terza opzione: non sa, non risponde.
Come diceva Confucio – credo – meglio stare zitti e dare l’impressione di essere stupidi, che parlare e togliere ogni dubbio.

Il pensiero fesso

pensiero_fessoC’è chi dice che i social network sono piazze “virtuali”. Come in piazza, o per taluni al bar, si fanno chiacchiere, si pontifica di questo e di quello, si dicono sciocchezze, si dà spazio a quello che definisco “il pensiero fesso”. Come similitudine la trovo piuttosto debole. E questo perché per arrivare in piazza devo vestirmi, prendere l’autobus, la bici o se abito in centro magari fare due passi, cercare qualcuno con cui chiacchierare. Tutto ciò richiede tempo, ed è giusto che sia così perché il tempo è il migliore filtro per bloccare le cavolate. Perché posso aver pensato che quel politico là proprio non capisce nulla, ma tra il momento in cui lo penso e il momento in cui finalmente vedo l’amico in piazza ho modo di elaborare il pensiero, adattarlo, sfumarlo. Magari ci ripenso e non la dico più, quella boiata. Poi qualche cavolata mi verrà fresca fresca di fronte all’amico, in estemporanea, e pazienza.

Sui social network questo filtro non c’è. Specie poi da quando li usiamo grazie a dispositivi e tablet, l’intervallo di tempo che separa la generazione del pensiero fesso alla sua manifestazione è minimo, ta-tac, scontro di neuroni isolati, e via “eh, ma io dico, aiutiamoli sì questi poveretti, ma ognuno a casa sua però”. Ta-tac, attrito tra neuroni sovrappeso, e “che privilegiati i lavoratori pubblici, guadagnano 1100 € al mese per non fare nulla e si lamentano. Tanto io non le pago le tasse, non voglio mica mantenerli”. Ta-tac, “l’Italia riparte. Il job act è una riforma di sinistra”.
Questo è un problema.
Anche perché nessuno va in piazza a spiegare ad uno sconosciuto che il tumore si cura con acqua e limone, e che bisognerebbe mangiare solo carne come quei saggi dei Neanderthal, ma i cattivi delle industrie farmaceutiche non vogliono che si sappia.
In rete sì, il potere del pensiero fesso si amplifica. Bisognerebbe che i social network proponessero un “Attendere, prego”, come ai bei tempi di Windows 98, così magari nel frattempo ti penti e lo cancelli. Quante volte il tempo ha impedito al mio pensiero fesso di manifestarsi, nella vita reale? E non pensate solo alle cattiverie, al qualunquismo, ai tuttologi che hanno capito tutto. La categoria del pensiero fesso è molto più ampia. Quante volte a tredici anni ho preparato dichiarazioni d’amore che mi sembravano bellissime ma che poi al momento del dunque reingoiavo? Ci fossero state le e-mail, probabilmente mi sarei coperto di ridicolo più di quanto non abbia comunque fatto (ah, l’adolescenza…!). Quante volte ho pensato di mandare al diavolo quel professore fascista ma poi il suo numero non era sull’elenco? Con le praterie offerte dalla bacheche di Facebook sarei stato sospeso con obbligo di frequenza molto spesso. Molto più spesso.

E anche in piazza, anche al bar, io appena annuso un’aria che non mi piace cambio strada, cambio bar, cambio quartiere. Con i social network è più difficile. Puoi cambiare gruppo, puoi cancellare conoscenti, puoi evitare i commenti agli articoli. Ma la tentazione di leggere c’è, e di rispondere, e di sbraitare. Perché non ci sono profilattici che tengano contro le infezioni del pensiero fesso.

I generi letterari

bibliotecaChi mi conosce sa che secondo me esistono solo due generi di romanzi: i buoni romanzi e quelli cattivi. Però i generi letterai piacciono, piacciono sopratutto agli editori che si sentono rassicurati, piacciono ai lettori che non vogliono rischiare, piacciono alle biblioteche che si danno un ordine. Volete davvero i generi letterari? Li volete da uno che ha mescolato il noir con l’umoristico e il giallo con il fantasy, scatenando le ire degli ortodossi? Eccoli.

Giallo: c’è un cattivo che ammazza qualcuno, e alla fine viene catturato
Noir: c’è un cattivo che ammazza qualcuno, ma importa il giusto perché tutti sono cattivi e, a modo loro, ammazzano
Orrore: ci sono cattivi che ammazzano, ma con doverosa perizia di particolari
Rosa: c’è un lui bello e maledetto, c’è una lei forte e voluttuosa, e alla fine si amano
Erotico: c’è un lui bello e maledetto, c’è una lei forte e voluttuosa, e fanno sesso. Cavolo se ne fanno. Dall’inizio alla fine. Probabilmente si amano anche loro, ma non è rilevante
Epico: ci sono cavalieri, battaglie, miti, buoni e cattive, ma soprattutto tante pagine o, se l’autore ha fortuna, tanti libri
Fantastico: non si capisce se quello che succede è vero o falso
Fantascienza: non si capisce se quello che succede è verosimile o no, o se lo sarà in futuro
Avventuroso: succedono un sacco di peripezia al protagonista, almeno quante ne bastano a riempire un eventuale film di due ore
Romanzo di formazione: non è detto che accada qualcosa, ma se accade, accade ad un personaggio tra i quindici e i vent’anni
Fantasy: ci sono nani, elfi, principesse, maghi e draghi, e si menano le mani in terre misteriose e grandi abbastanza da starci in una mappa di una pagina disegnata da un bambino di cinque anni
Gotico: qualunque cosa accada, c’è da avere paura
Umoristico: qualunque cosa accada, c’è da ridere
Biografia: la storia di una persona che ha avuto una vita interessante
Autobiografia: la storia di una persona che millanta di aver avuto una vita interessante

Video didn’t kill the radio stars

rslSono stato ospite di Mauro Malaguti e del suo programma “Ma che bella giornata” su Radio Sanluchino alcuni giorni fa. Devo dire che è stata davvero una belle giornata, perché il fascino della radio è unico. Ti siedi in questo piccolo ambiente, una scrivania, tanti cd, un microfono. E lì dietro tante persone che ti ascoltano. Non essendo mai stato in televisione non posso certo fare paragoni, ma l’etere, e in particolare la diretta, mantengono per me un fascino straordinario. Erano un po’ di anni che non entravo in una radio. Dai tempi in cui fui ospite di “Ciao Radio” per promuovere “Bello dentro, fuori meno”.

E la memoria è subito andata agli anni di “Radio Mondo Migliore”, la straordinaria esperienza di radio parrocchiale di Statte che si concluse, purtroppo, più di vent’anni fa, quando le norme strozzarono la radiofonia libera dopo aver permesso a qualcuno di conquistare fette di mercato e miliardi proprio grazie a quella libertà. In radio non hai bisogno di soldi per gli effetti speciali e di location, fotografia, luci. E nemmeno di banner, visualizzazioni, click, commenti. Quello che conta è la sceneggiatura. Cioè le idee. Purtroppo collaborai poco con Radio Mondo Migliore, perché quando presi parti ormai la sua storia era al tramonto, ma ancora ricordo le ore (troppo poche) trascorse a trasmettere musica portandoci i dischi da casa perché quelli in radio – secondo la leggenda metropolitana – venivano censurati dal parroco che segnava il vinile (aargh!) se non li piacevano. Ricordo l’ebrezza di entrare in contatto con sconosciuti disposti a porgerti orecchio mentre guidavano, si riposavano sul divano, lavoravano.

W la radio, dunque. W le radio locali, soprattutto, che sopravvivono alla morsa delle syndacation che amalgamano tutto e azzerano le differenze.

Per chi volesse ascoltare il programma, lo trovate qui:

Tutto quello che sai è un gomblotto!II!

bufalaAlcuni anni fa lessi un libro intitolato “Tutto quello che sai è falso”. Lo feci soprattutto incuriosito dal lavoro dell’amico Roberto Vignoli, che allora aveva dato il via all’iniziativa della casa editrice Nuovi Mondi Media con alcuni soci. Il libro mi piacque – nonostante il titolo evidentemente forzato – perché invitava a osservare tante realtà apparentemente assodate con un punto di vista investigativo, diverso, opposto al cosiddetto “mainstream”. Già la quarta di copertina infatti invitava a porsi delle domande di fronte alle realtà spacciate come tali dai mass-media. I temi erano diversi: dall’uso degli psicofarmaci ai dubbi sull’aids, dal ruolo delle banche nella politica mondiale all’11 settembre. Quell’11 settembre che scatenò la voglia di indagare e capire di più che nei decenni precedenti sembrava essersi assopita. Sin dalla prima lettura trovai degli spunti condivisibili, altri mi lasciarono perplesso, su altri finii quasi per sorridere perché mi sembravano ipotesi davvero azzardate. Però non potevo non riconoscere che dietro quelle teorie c’era un metodo. C’era una raccolta di dati (contestabile, limitata, soggettiva, certo), c’era uno schema di analisi della realtà, c’era una sintesi (parziale, discutibile, forse errata). Ebbene, negli ultimi tredici anni purtoppo mi pare che le cose siano cambiate, ma non in meglio.
Si è passati rapidamente da una popolazione narcotizzata che credeva a tutto perché “l’ha detto la tivù” ad una che invece non crede più a nulla se non al complotto. Complici i social media, siamo passati ad un relativismo generalizzato che in realtà nasconde obiettivi di manipolazione ben allarmanti, perché si, crediamo ai complotti, ma solo a quelli che ci fanno comodo. Senza preoccuparci delle fonti, del metodo, della ricerca: mettici su il cappello “quello che nessuno ti ha mai detto”, clicca e condividi. Non vedo altrimenti come spiegarmi le ossessive bufale che mi ritrovo in bacheca da parte di chi continua a pubblicare notizie sugli immigrati che fanno la bella vita, sulle trame nascoste dei potentissimi rom (che hanno sostituito i Protocolli di Sion nelle trame complottiste dei razzisti, triste primato a dir poco), sulla CIA che nasconde la sua volontà dietro le scie chimiche, le pioggie invernali e le scorreggie dopo la pasta e fagioli. Mai nessuno che si prendesse la briga di controllare le fonti, di rendersi conto che il Corriere della Sera e il Corriere del Piffero non sono la stessa cosa. A dire il vero qualcuno c’è, e mi riferisco al prezioso lavoro di quegli operatori “antibufala” che denunciano come spesso dietro queste informazioni ci siano dati distorti quando non completamente inventati.
Le conseguenze sono secondo me sottovalutate, se si considera che questa mania dell’attaccare sempre e comunque gli organi “competenti” finisce per coinvolgere anche i tribunali: penso all’incredibile caso Stamina, che dovrebbe essere studiato in tutte le facoltà di scienze della comunicazione, di sociologia, di psicologia.
Se tutto è un complotto, l’opinione dei tecnici non conta più: i medici sono tutti servi delle multinazionali del farmaco, per cui smettiamo di prendere le medicine e curiamoci coi sassolini e i profumi; i geometri del Comune sono burocrati noiosi, la casa è mia e se mi va di abbattere le pareti portanti per farmi un loft al piano terra della palazzina lo faccio senza problemi; gli storici sono solo degli statali pagati per far niente, quella storia lì dell’Olocausto è tutta una invenzione, l’ha scritto mio cugino su Facebook.
Un popolo che crede a tutto quello che dice il telegiornale può essere educato. Ma per uno che crede al primo imbecille che fotografa un codice a barre e ci trova la data dell’avvento dell’Anticristo non vale nemmeno la pena nemmeno perderci tempo.