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I Cavalieri di Castelcorvo, la recensione: apri tutto, Biascica!

Sono un grande tifoso del cinema italiano. Non appassionato, non estimatore, ma tifoso: nel senso che davvero faccio il tifo per gli italiani e sono contento quando hanno successo. Il tifo non è figlio di competenza, conoscenza o valutazione razionale, ha più a che fare con la fede, ed è proprio questo il mio sentimento nei confronti delle produzioni italiane. Io spero sempre che abbiano successo, anche perché generano ricchezza culturale e non solo, danno lavoro, ricordano al mondo che esistiamo anche noi e non solo i produttori hollywoodiani.
E però.
Però il tifo porta spesso a delusioni (parlo io che da oltre trent’anni seguo il Taranto), il tifoso deluso, ahimè, sa essere crudele.

Questa premessa credo fosse necessaria per comprendere il mio stato d’animo di fronte a “I cavalieri di Castelcorvo“, prima serie Disney prodotta in Italia per la sua piattaforma. Non un documentario, non una commedia, non insomma quei prodotti in cui abbiamo un certo saper fare, ma addirittura una serie fantasy per bambini. Sono un tifoso, l’ho detto, e per cui anticipo subito: guardate questa serie. Abbiamo bisogno di riscoprire prodotti seriali italiani, bisogna che Disney si convinca che vale la pena farne. Se proprio non ce la fate, avviatela e poi andate in un’altra stanza a guardare Netflix.

Scherzi a parte, se avete bambini tra i 3 e i 10 anni, tra una puntata di Peppa Pig e la saga di Poco-Yo, potranno divertirsi. Lasciateli stare invece se sono un po’ più grandi, gli adolescenti sono spietati e la distruggerebbero. E ne avrebbero i motivi, come spiegherò nel corso di questa recensione, che ho deciso di dividere in parti, partendo da quelle più riuscite a quelle meno.

Ambientazione: 10. W l’Italia!
Niente da fare, su questo fronte non ci batte nessuno. Torre Alfina, il paese dove è stata girata la serie, è un posto bellissimo, e si vede, come anche Formello e i dintorni. Probabilmente è l’unico punto sul quale la serie vince sulla concorrenza straniera, sono un po’ mesto a dirlo, ma la buona notizia è che in Italia di posti così ce ne sono tanti che aspettano solo di essere valorizzati

Effetti speciali 8. Si fa quel che si può
Mia figlia ha più volte ripetuto che la sigla è la cosa più bella della serie (e so quello che state pensando, chissà da chi avrà preso). Anche le animazioni del gioco da tavolo sono carine. Per il resto, gli effetti sono usati con morigeratezza, ma insomma, non è un male. Se non hai Carlo Rambaldi, non improvvisare.

Soggetto: 7. Minestrone digeribile, ma a senso unico
La storia dei cavalieri di Castelcorvo richiede una forte sospensione della credulità negli spettatori più smaliziati, ma abbiamo già detto che non sono loro il pubblico di riferimento. Quattro bambini si trovano alle prese con un gioco enigmatico, una porta misteriosa e due anziane misteriose. Man mano che gli episodi si snodano acquisiranno sempre maggiori informazioni fino alla risoluzione dell’enigma. Una favoletta semplice, ma tutto sommato funziona. Gli autori attingono a piene mani dai classici del genere, da Narnia (la porta) a Jumanjii (il gioco da tavolo) dai Goonies (le dinamiche tra il gruppo di bambini), fino al più recente Strangers Thing (l’Altrove, le bici, i bulli). E potrei andare avanti. Il problema però è che se c’è una trama principale, non c’è traccia di sottotrame. Non sappiamo nulla dei genitori dei bambini, che fanno pochissime comparsate ininfluenti. La zia è poco più che un cartonato, sappiamo che vorrebbe innovare il bed & breakfast, ma il suo personaggio non ha alcuna psicologia. Qui la storia del pubblico non fa presa, se c’è qualcosa che ci hanno insegnato Disney, Pixar, Dreamworks e compagnia bella è che un programma per bambini non necessariamente è un programma “solo” per bambini. Persino in Peppa Pig i personaggi comprimari hanno maggiore spessore, e questo, come vedremo, ha effetto anche sul resto delle scelte produttive.

Casting: 4. Chi vuol fare l’attore alzi la mano. Tu, tu e tu.
Siccome i protagonisti sono tutti minorenni, non mi sembra il caso riportare i commenti che a volte ho gridato contro lo schermo a corollario della loro interpretazione. Diciamo che le ragazzine se la cavano, e anche Matteo, che interpreta il personaggio tante volte visto sullo schermo dello “sfigato” schernito e solitario che però ha un cuore grande, nella maggior parte delle scene esce a testa alta. Per gli altri, consiglio tanta, tanta, tanta scuola di recitazione. Oppure fare altro, studiare, andare in bici, giocare a calcio. Al limite andare al cinema, non farlo, che non è il caso di ripetersi. Il livello è davvero da recita parrocchiale, anche se ne ho viste di interpretate con più pathos. Hanno le stesse espressioni di emoticon: sorridente, triste, sorpreso. Basito. Ma la colpa non può essere dei bambini, ma di chi li ha scelti, e soprattutto di chi li ha diretti. Il vero dramma del casting però non è legato agli attori principali, e nemmeno ai comprimari (pochi e senza particolare spessore, come anticipato). Il guaio, e qui anticipo quella che potrebbe essere una chiave di lettura di tutta la serie, il budget limitato, è che mancano le comparse! Castelcorvo è un paese letteralmente deserto che neanche Bologna a Ferragosto. Sembra un cupo presagio del lock-down da cui sono esclusi solo una decina di interpreti. Pur essendo la storia ambientata in estate (due dei bambini sono “cittadini” in vacanza, ma il tema delle diverse culture è accennato sommariamente, purtroppo), non c’è mai nessuno per strada. Io lo capisco che non hai soldi per gli effetti speciali, ma cavolo, possibile che in 15 episodi le comparse saranno 3 in tutto? Passi il bosco e l’Altrove, ma una piazzetta non può essere perennemente deserta. Spero che su questo i produttori riflettano. Possiamo accettare che una porta conduca in un’altra dimensione, ma che in un paese estivo non ci siano né auto né pedoni, né negozi, né lavori pubblici né umarell che guardano i lavori pubblici no, a meno che non sia un film distopico post-nucleare.

Sceneggiatura: 4
I testi purtroppo sono così così. Non ci sono battute di spirito che si ricordino, e dire che il pubblico di bambini ha dimostrato da tempo di avere senso dell’umorismo e di apprezzarlo. Nulla anche sul fronte delle frasi di impatto, quelle americanate insomma alla “se io posso cambiare, e voi potete cambiare, allora tutto il mondo può cambiare”. Non solo, gli spiegoni abbondano, quasi che la serie voglia tranquillizzare il nonno con l’Alzehimer che la segue con il nipote. Per non parlare delle frasi pseudo-performative, in cui i ragazzi anticipano quello che faranno “dobbiamo andare nell’altrove e trovare il modo di liberare il fratello di Betta!”, caso mai che qualcuno non lo avesse già capito.

Fotografia: 3. Apri tutto, Biascica!
Questo purtroppo è il tasto più dolente. In Castelcorvo tutto succede in piena luce. Gli interni stile Ikea sono illuminati tipo mobilificio, fari ovunque. Le scene all’esterno sono tutte girate alle dieci del mattino di giorni sereni o giù di lì. Mai un tramonto, mai un’ombra che dia profondità a un viso, e dire che sei in un centro medievale! Non dico una scena con la pioggia, che pure in un fantasy ci starebbe, costa troppo, ma cavolo, devi proprio smarmellare sempre tutto? E l’inquadratura? Qui non è questione di soldi. Usare un grandangolo ogni tanto non costa nulla. Dare profondità di campo, nemmeno. In alcuni momenti le scene sembrano girate con quegli smartphone che mettono sempre tutto perfettamente a fuoco. Mai un controcampo, mai una soggettiva. Quando si vuole denigrare una fotografia piatta si dice che è televisiva. Ma magari! Qui siamo ai livelli degli spot degli stabilimenti balneari sui siti degli hotel per famiglia. In confronto anche lo spot del Mulino Bianco sempre girato da Storaro. Forza ragazzi, forza! Io faccio il tifo per voi ma voi una volta muovetela sta cinepresa.

Regia: 5. Metti il pilota automatico e andiamo a farci un panino, va.
Il collegamento in questo caso al passaggio precedente è evidente. Ora, io non credo che il regista di questo programma volesse davvero realizzare un prodotto così piatto: temo sia stata semmai una scelta produttiva. Perciò ai produttori dico: osate di più! Senza scadere nello sperimentale spinto, una carrellata, una panoramica ogni tanto ci può stare. I bambini sono abituati a prodotti sofisticati. Purtroppo di tutto ciò non c’è traccia. Ogni episodio ci tocca l’inquadratura del paese dal drone tipo Sereno Variabile, e va bene, ma perché poi questo drone non lo usate più? Perché non far seguire i ragazzi dall’alto durante una scena di inseguimento? Perché non osare una soggettiva in volo del corvo, uno dei protagonisti più espressivi della serie? Non occorre imitare Quarantino, basta puntare a Joe Dante.

E insomma, eccoci alla fine. Cari produttori dei Cavalieri di castelcorvo, riprovateci. Con un po’ più di coraggio magari. I nostri bambini hanno compreso benissimo le intricatissime vicende del Marvel Universe, comprendono anche una serie in cui non si spiega tutto ogni quattro minuti. E fate fare al regista il suo lavoro, ci sono impianti di videosorveglianza che dimostrano più fantasia.

Dieci piccoli indizi: sei di spade

Il re dei Mucidi, Vastasuk, non era popolare per la sua affabilità. Aveva condannato a dieci mesi di galera un servo, reo di averlo svegliato durante un sonnellino pomeridiano, e a poco erano valse le giustificazioni di quest’ultimo, che aveva affermato che era stato il sovrano a chiedergli di svegliarlo. Non aveva importanza, aveva sentenziato il giudice, il re stava facendo un bel sogno e averlo svegliato era stata comunque un’azione riprovevole. Al limite si poteva rinchiudere il condannato in una cella con finestra sul mare, accettando le attenuanti.

Ci fu poco da stupirsi quindi se quando al castello reale arrivò, in tutta fretta, il capo degli speziali, sostenendo che aveva urgente bisogno di parlare con il sire, gli fu offerta gentilmente una sedia e gli fu consigliato di aspettare che il re si alzasse. Bel sogno o incubo, il servo non aveva nessuna intenzione di chiamarlo.

Quando il re finalmente si svegliò e accolse lo speziale, fu profondamente turbato dalle cattive notizie che questi gli annunciava. Non c’era da perdere altro tempo. La parte scura della forza, negli ultimi giorni, aveva dato ulteriori segni di cedimento. Bisognava che i Mucidi si impadronissero al più presto della parte bianca, protetta invece dal popolo nemico dei Berfatt.

Vastasuk convocò immediatamente Trappagghiun, il suo luogotenente più fidato. Era stato grazie a lui che, anni prima, i Mucidi, la popolazione più feroce, barbara e corrotta di Apul, si era impadronita della parte scura della forza. Ma ora occorreva completare l’opera, o tutto sarebbe stato inutile. Basta guerriglie con gli Gnurket, il popolo che più a nord si frapponeva alla loro avanzata. Avrebbero dovuto sterminarli una volta per tutte. Raccogliere ogni mucido in grado di combattere, predisporre la più poderosa armata di sempre e procedere senza esitazioni. Superato l’ostacolo degli Gnurket, raggiungere Capo Nord e sbarazzarsi dei Berfatt non sarebbe stato difficoltoso. Ci sarebbero voluti molti giorni di cammino, ma potevano contare su una forza muscolare e su una capacità guerresca che gli altri abitanti di Apul potevano solo sognare.

Era arrivato il momento che i Mucidi salissero a nord per conquistare tutta Apul e impadronirsi della parte bianca della forza. Trappaghiun ascoltò pazientemente l’impetuoso progetto di Vastasuk senza mai interromperlo. Non si sarebbe certamente opposto all’idea di attaccare. Tanto più che era stanco delle estenuanti guerriglie a cui li costringevano gli Gnurket. Era arrivato il momento di sbarazzarsene una volta per tutte. Però avrebbe prima preferito partire in avanscoperta, avvicinarsi alle terre dei Berfatt, scoprire dove tenevano nascosta la parte bianca della forza. Dopo il rapimento della parte scura, infatti, i Berfatt avevano sicuramente preso delle precauzioni, e coglierli alla sprovvista sarebbe stata la soluzione migliore.

Siamo d’accordo, concluse Vastasuk. Lo invitò a partire subito: il re l’avrebbe seguito non appena fosse stato in grado di organizzare un esercito di dimensioni faraoniche. Non andava perso nemmeno un minuto.

Anzi, disse al suo luogotenente che si accingeva ad uscire, prendi quell’idiota del servo che non ha voluto svegliarmi facendo perdere un paio d’ore preziose allo speziale e fallo condannare per almeno una decina di mesi. Perdere tempo così!

E che cacchio.

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I generi letterari

bibliotecaChi mi conosce sa che secondo me esistono solo due generi di romanzi: i buoni romanzi e quelli cattivi. Però i generi letterai piacciono, piacciono sopratutto agli editori che si sentono rassicurati, piacciono ai lettori che non vogliono rischiare, piacciono alle biblioteche che si danno un ordine. Volete davvero i generi letterari? Li volete da uno che ha mescolato il noir con l’umoristico e il giallo con il fantasy, scatenando le ire degli ortodossi? Eccoli.

Giallo: c’è un cattivo che ammazza qualcuno, e alla fine viene catturato
Noir: c’è un cattivo che ammazza qualcuno, ma importa il giusto perché tutti sono cattivi e, a modo loro, ammazzano
Orrore: ci sono cattivi che ammazzano, ma con doverosa perizia di particolari
Rosa: c’è un lui bello e maledetto, c’è una lei forte e voluttuosa, e alla fine si amano
Erotico: c’è un lui bello e maledetto, c’è una lei forte e voluttuosa, e fanno sesso. Cavolo se ne fanno. Dall’inizio alla fine. Probabilmente si amano anche loro, ma non è rilevante
Epico: ci sono cavalieri, battaglie, miti, buoni e cattive, ma soprattutto tante pagine o, se l’autore ha fortuna, tanti libri
Fantastico: non si capisce se quello che succede è vero o falso
Fantascienza: non si capisce se quello che succede è verosimile o no, o se lo sarà in futuro
Avventuroso: succedono un sacco di peripezia al protagonista, almeno quante ne bastano a riempire un eventuale film di due ore
Romanzo di formazione: non è detto che accada qualcosa, ma se accade, accade ad un personaggio tra i quindici e i vent’anni
Fantasy: ci sono nani, elfi, principesse, maghi e draghi, e si menano le mani in terre misteriose e grandi abbastanza da starci in una mappa di una pagina disegnata da un bambino di cinque anni
Gotico: qualunque cosa accada, c’è da avere paura
Umoristico: qualunque cosa accada, c’è da ridere
Biografia: la storia di una persona che ha avuto una vita interessante
Autobiografia: la storia di una persona che millanta di aver avuto una vita interessante

Chiamami Legione

coverCi siamo.
Dopo cinque anni di silenzio (anzi, cinque anni di chiasso, vista la presenza delle mie due vivaci nuove coinquiline che hanno preso possesso del mio tempo e della mia casa), torno a pubblicare. Il romanzo si chiama “Chiamami Legione” ed è edito da Sesat Edizioni.
Presto riceverete maggiori informazioni su questa pagina. Intanto anticipo che il romanzo sarà presentato alle Librerie Coop il 28 novembre alle ore 18,15.

Aggiornamento: ecco la pagina dedicata a Chiamami Legione

 

Le testine si allineano, le teste pensano