Nei ricordi del sudista al nord la neve è un ricordo sbiadito. Certo che l’ha già vista. L’ha vista tre, quatto volte. Le immagini che permeano la memoria sono quasi sempre festose e allegre: giocare a palle di neve nel cortile dietro casa, il pupazzo di neve che comincia a sciogliersi prima di arrivare alla testa, la città silenziosa popolata da persone stupefatte che guardano esterrefatte intorno a sé. Non che ciò si possa generalizzare a tutto il meridione, ovviamente; ma in un paese a una decina di chilometri dal mare per giunta surriscaldato artificialmente dal più grande produttore mondiale di inquinamento, la neve è un’evenienza singolare. Una neve leggera.
Arrivati al nord, improvvisamente, la festa finisce. Intanto perché il sudista si rende conto che qui non c’è la sospensione automatica della vita civile, con allegata chiusura di scuole, uffici, negozi. Qui la gente si ostina a uscire, lavorare, muoversi. Avevo poco più di vent’anni quando vidi sul serio la prima nevicata, quella che supera i quaranta centimetri insomma, quella che sul serio mette a nudo le tue carenze. Perché sulle prime di rendi conto di non avere scarpe adeguate, e compri degli stivali. Poi però capisci che sono i piedi a essere inadeguati, sono loro, che dopo il primo stupore, si sono resi conto che qualcosa è cambiato nelle tue abitudini, e non gli piace per niente. Ero uno studente universitario all’epoca, non che avessi questi obblighi cocenti. Avrei potuto restarmene al chiuso a studiare. Però volevo vivere quello strano spettacolo di una città che vive, fa shopping e beve aperitivi nonostante la neve, una neve sostanziosa.
E con gli anni, ho conosciuto anche la neve pesante. Quella che cominci a misurare in metri. Quella dei paesi oltre i 600 metri di altitudine che si dividono in due, gli indigeni che prendono la pala e cominciano a spalare, quelli venuti da fuori che prendono il telefono e cominciano a chiamare il sindaco perché venga a spalare. Non c’è traccia di festa, in questa neve, perché hai voglia a ripetere che è la tua scorta d’acqua per l’inverno, la verità è che le catene ai pneumatici e i pantaloni fradici toccano a te, l’acqua irriconoscente scende a valle dove i cittadini della città nemmeno sanno che ha cominciato a nevicare. Per il sudista questa neve non è simpatica per niente. Alle mie figlie piccole ho detto che è la pupù degli angeli. Perché quando ci metti otto ore con i mezzi pubblici per fare trenta chilometri, capisci che se ti si palesasse di fronte il pupazzo di neve di quando eri bambino, lo decapiteresti a testate. E ti faresti un bel bernoccolo, perché da queste parti anziché sciogliersi la neve diventa in fretta un pezzo di ghiaccio.
La buona notizia, per il sudista, è che se trova la forza di salire ancora, oltre i mille metri, la neve tornerà a essere una festa. Perché vorrà dire stazioni sciistiche aperte, turisti, denaro. Una neve massiccia come l’oro, benvenuta e invocata. Sempre che qualcuno riesca a convincere il sudista a raggiungere certe altitudini dove non crescono salvia e rosmarino e dove cercare un’orata al forno può diventare complicato.
Benché il sudista trapianto al nord lo neghi con tutte le sue forze, ci sono molte prove empiriche che dimostrano come le mollezze dei popoli nebbiosi abbiano finito per influenzare profondamente la sua presunta tempra guerriera. E non mi riferisco certo al fatto che il sudista apprezzi tortellini e Lambrusco, circostanza più che condivisibile, né che con gli anni si sia abituato a giocare lascivamente a calcetto al coperto (e vorrei vedere, ci sono almeno dieci gradi in meno in inverno, e i grassi accumulati proteggono solo il ventre adiposo). La verità è che il sudista negli anni finisce per abituarsi ad alcune viziose comodità, ad alcuni inverecondi privilegi tanto da averne addirittura nostalgia quando torna nella terra madre, e la più importante è quella che definiremo il fattore venti.
Pur rappresentando una funzione di serie su tutti gli autoveicoli, la funzione del clacson varia decisamente a seconda della latitudine in cui questo utilissimo strumento viene utilizzato. Uno dei principali ostacoli per l’integrazione del sudista è proprio legata alla comprensione che questo importante strumento di comunicazione, nelle nebbiose regioni padane, non assolve a tanti usi per i quali invece è così popolare al mezzogiorno.
Uno dei campi di battaglia in cui il sudista al nord si confronta (e si scontra) più frequentemente con gli indigeni padani è senz’altro la tavola. Sono tanti i motivi di dibattito, da rifiuto del meridionale di utilizzare olio che non venga dalla tanica dell’amico di papà, alla difficoltà del padano nel capire il concetto di “pasta con le patate”. Non ce la fa, l’uomo della nebbia, proprio non ce la fa. L’abbinamento carboidrato+carboidrato scardina i principi salutistici del nordista, pronto a giustificare un lipide+lipide+lipide in nome della tradizione, ma assolutamente incapace di cogliere la grandezza delle patate come condimento della pasta asciutta.

Arriva l’estate, un bel taglio ai capelli ci sta bene proprio bene.