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Why not

L’inglese, è stato detto tante volte, è una lingua che fa della flessibilità la sua forza. I neologismi inglesi entrano ed escono nel lessico con una velocità impressionante, oggi si parla di “phising” e “toothing” mentre in Italia stiamo ancora digerendo “customizzare” e “cliccare” (qualcuno ancora scrive clickare!). Per cui, chi si occupa di tecnologia spesso è abituato ai termini inglesi, così come chi si occupa di finanza, medicina, e chissà quanti altri campi del sapere. Ma finchè i termini inglesi (o, più in generale stranieri) non hanno corrispondenti italiani, ben vengano. Ma perchè da qualche tempo a questa parte sento spesso dire “why not” quando “perché no” funziona benissimo? Abbiamo fatto una considerazione sul progetto e ci siamo detti why not…Nei confronti di questa iniziativa abbiamo un attegiamento aperto e costruttivo, abbiamo pensato why not…E via andare. Ovviamente non lo digerisco, non lo sopporto, non lo tollero.
La prossima volta che sento dire “why not” risponderò “because you’re a nerd”. Chissà in quanti capiranno.

L’importante nodo ferroviario

Se siete a Milano e dovete andare a Roma, un consiglio: passate da Genova. Se siete a Rimini e volete andare a Firenze, fate un salto a Cesena. Non sono proposte turistiche, ma le informazioni che i servizi del traffico davano oggi agli automobilisti: per la terza volta in un anno un autobotte carica di gpl ha fatto bum, per fortuna senza vittime, e ha mandato in tilt autostrade, tangenziale, mobilità in genere. Una volta si diceva di Bologna che era un importante nodo ferroviario: definizione un po’ buffa, sicuramente limitativa, ma vera. Oggi della città si può dire che è un importante nodo autostradale, che spesso però si attorciglia. Ve l’immaginate la scena? Un tir carico di lamiere che ne tampona uno carico di GPL, che esplode. Uno scenario da filmaccio americano, peccato che non siamo ad Hollywood, vabbé il caso e la sfortuna, ma tre in un anno sono troppi, non è il caso di prendere provvedimenti? Quanti migliaia di punti bisognerebbe togliere all’autista di un tir carico di lamiere che finisce addosso ad uno carico di GPL? E quante migliaia bisognerebbe toglierne a quelle aziende che sanno che gli autisti dormono cinque ore e poi ripartono ma fa finta di niente per ottimizzare i costi? E quanti miliardi dovremmo togliercene noi, che continuiamo a prendere la macchina anche se sappiamo che ci sono camion potenzialmente esplosivi in giro?

Chi non vuole lavorare, neppure mangi.

Chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Non è uno slogan di Confindustria, neppure una frase all’americana per motivare i dipendenti. E’ la lettera di San Paolo apostolo ai Tessalonicesei, che si legge oggi in Chiesa. Paolo, si sa, è abbastanza concreto, non è un poeta come Giovanni e neanche uno storico erudito come Luca: gli hanno riferito che ci sono gruppi di cristiani che si stanno lasciando andare perché aspettano la fine del mondo che reputano vicina, e vuole spronarli a tornare alla vita quotidiana e al lavoro.
Attualizzare i testi sacri è sempre complicato e richiede competenze che (ops…) in questo momento mi mancano, ma non posso fare a meno di domandarmi cosa direbbe oggi Paolo a quelle persone che vorrebbero davvero lavorare, e magari anche a mangiare, ma che per farlo devono fare centinaia, migliaia di chilometri, e tornare a casa due volte l’anno. Migranti, emiganti, immigrati, chiamateli come volete.
Cosa gli direbbe Paolo? Probabilmente gli farebbe coraggio: se la fine del mondo non è ancora vicina, è anche e soprattutto merito loro…