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La dignità perduta degli scrittori scarsi

Mettiamo subito le carte in tavola, sono uno scrittore scarso. Uno scrittore insomma di quelli che non vivono di questo mestiere perché tra spese e ricavi vanno a mala pena in pari. Uno di quelli che la critica non scoprirà mai perché c’è poco da scoprire, che qualche copia online riesce a piazzarla ma non supera mai le quattro cifre nei dati di vendita. Uno di quelli che alimenta questa passione senza alcuna pretesa se non quella, magari, di rivedere gli amici in occasione di qualche presentazione.

Ebbene, mi ritengo uno scrittore scarso, senza falsa modestia ma secondo dati oggettivi, ma mantengo una mia personale dignità cui tengo molto. Quella che invece hanno completamente perduto alcuni che condividono questa mia passione ma non lo stesso rispetto per il buon senso.

Ci sono quelli che hanno la pagina Tizio Caio Scrittore. Che si sappia subito che si identificano come tali, loro sono scrittori, non si scappa: lo dice la pagina. Sono quelli che probabilmente lo scrivevano anche sulle vecchie carte di identità alla voce “professione”, e chissà che delusione scoprire che su quelle elettroniche non lo si dichiara più, forse perché al ministero dell’Interno si sono accorti che milioni di semianalfabeti si definivano “scrittori”. Se gli fai notare che J.K.Rowling e Dan Brown non inseriscono tale la dicitura nei loro profili, ti guardano di traverso. Non sarai anche tu parte del sistema editoriale oppressivo che teme il loro talento cristallino perché potrebbe travolgere gli equilibri del settore? Al limite uno potrebbe giustificarsi in caso di omonimia, anche se dubito che “Cremenzio Pipparulo- Scrittore” corra simili rischi. Quando si è trattato di fare qualche esperimento scommettendo poche decine di euro sulla pubblicità sui social, ho chiamato la mia pagina “I romanzi di Carmine Caputo”, perché in effetti i romanzi ci sono, lo scrittore chissà.

Poi ci sono quelli che pagano per pubblicare, e guai se gli fai notare che se paghi vuol dire che il cliente della casa editrice – ma sarebbe meglio parlare di stamperia –  sei tu, non il lettore, il quale in effetti esautorato del suo incarico non si manifesta manco sotto minaccia. Ecco allora che il prodigio letterario ti citerà niente meno che Goethe, Allan Poe o Moravia, un elenco di autori che si sarebbero autoprodotti e che cresce ogni volta.

Magari i nostri hanno pubblicato l’imperdibile raccolta autobiografica “Storie di un addetto al controllo di gestione” con Edizioni Farlocche, e se appena alzi un sopracciglio ti rispondono “Tanto pagano anche quelli che pubblicano con la Mondadori”. Per fortuna però, almeno per ora, la mirabile raccolta con gli aneddoti di un vita dell’addetto non è ancora finita tra i miti della casa editrice milanese.

Negli ultimi anni la situazione è drammaticamente peggiorata con l’auto pubblicazione: quel fenomeno per cui puoi caricare liste della spesa, deliri senili e avverbi usati a sproposito e trasformarli in un file che si vende online. Volendo, si stampa pure, con la copertina dotata di nome in font Algerian dorato del novello Leopardi. Il caso editoriale del noto generale razzista, purtroppo, è destinato a peggiorare questo fenomeno. Questi sono tra gli scrittori più scatenati, quelli che talvolta, non sempre, la dignità l’hanno disidratata, impacchettata e fatta sparire nella raccolta indifferenziata. La loro grafomania non trova soddisfazione infatti nelle ottocento pagine di poesie intimistiche che propongono al pubblico: devono anche proclamare il loro genio in decine di gruppi su Facebook in cui scrittori scarsi senza dignità proclamano il loro genio. Alcuni osano pubblicare brevi brani dei loro componimenti per condividere lo sdegno dei poteri forti che non si inchinano di fronte a talenti così immensi. E quando gli altri utenti gli correggono gli errori di ortografia, segnalano loro quel simpatico strumento che si chiama punteggiatura o fanno notare che il brano in questione è ricco solo di insulsi aggettivi che non comunicano niente, apriti cielo. Il Cremenzio Pipparulo di turno darà origine a una sequela di insulti intervallati da fasi di spudorato auto incensarsi: lei non sa chi sono io, sono in 14milesima posizione su Amazon tra scrittori di romanzi d’avventura aventi un chiropratico sovrappeso come protagonista, e giù screenshot e valutazioni positive dei vari alter ego di Cremenzio che ha 10 profili falsi su Amazon e li usa per comprare i suoi libri e darsi cinque stelle.

Ci sono poi quelli che riescono a pubblicare il loro link su Amazon anche nelle chat di condominio o in quelle in cui – purtroppo ci sono anch’io, talvolta – gli organizzatori di un evento inseriscono i partecipanti, per condividere informazioni di servizio. Tra di loro, inevitabilmente, ci sarà quello che non perderà occasione di presentare il suo libro agli altri scrittori, ricordando che è prevista una presentazione imperdibile nel municipio di Valle Rinsecchita.

A proposito di eventi, poi, gli scrittori scarsi senza dignità qui sfoggiano la loro più leggendaria faccia di bronzo: dopo aver preso in ostaggio librerie, biblioteche o centri civici con telefonate, e-mail e invasioni della proprietà altrui, ecco che finalmente ce la fanno, hanno una presentazione. Per parenti e conoscenti è finita. Ma anche i vicini di casa, di strada, di quartiere prima o poi saranno coinvolti dallo spamming inesauribile dello scrittore che vuole vendere il suo volume autoprodotto a 25 euro perché, diciamocelo, dopo tutta questa fatica qualcosa vorrebbero pure guadagnarla.

Ci sono quelli che, dopo il quarantesimo rifiuto della casa editrice, chiedono suggerimenti online, non per loro, che sono scrittori di talento, sia chiaro: per quelli più sfortunati. Mai che chiedano come imparare a scrivere. Loro sanno già scrivere, vogliono solo sapere come imparare a farsi pubblicare.

Scrittori scarsi, se avessimo talento, saremmo in cima alle classifiche. Certo, si può migliorare leggendo, o magari seguendo corsi. La dignità, però, una volta perduta, è difficile da recuperare.

Fermatevi, vi prego. Scrivere è una professione, ma se farlo pur non essendo capaci vi fa stare meglio, proseguite pure. Anche vendere però è una professione e quella no, amici miei, non si fa con la sola passione: non siete geni incompresi tagliati fuori dal mercato editoriale perché scomodi. Siete scrittori mediocri che scrivono storie poco interessanti che al limite scomodano gli altri con il loro marketing approssimativo.

E se qualcuno vi ha detto che chiedere l’amicizia a sconosciuti per poi taggarli per il vostro evento a Valle Rinsecchita è una buona idea, sappiate che no, non lo è.  

Chi non vuole lavorare, neppure mangi.

Chi non vuole lavorare, neppure mangi.
Non è uno slogan di Confindustria, neppure una frase all’americana per motivare i dipendenti. E’ la lettera di San Paolo apostolo ai Tessalonicesei, che si legge oggi in Chiesa. Paolo, si sa, è abbastanza concreto, non è un poeta come Giovanni e neanche uno storico erudito come Luca: gli hanno riferito che ci sono gruppi di cristiani che si stanno lasciando andare perché aspettano la fine del mondo che reputano vicina, e vuole spronarli a tornare alla vita quotidiana e al lavoro.
Attualizzare i testi sacri è sempre complicato e richiede competenze che (ops…) in questo momento mi mancano, ma non posso fare a meno di domandarmi cosa direbbe oggi Paolo a quelle persone che vorrebbero davvero lavorare, e magari anche a mangiare, ma che per farlo devono fare centinaia, migliaia di chilometri, e tornare a casa due volte l’anno. Migranti, emiganti, immigrati, chiamateli come volete.
Cosa gli direbbe Paolo? Probabilmente gli farebbe coraggio: se la fine del mondo non è ancora vicina, è anche e soprattutto merito loro…