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6-6-2006

Six, six, six, the number of the beast…
La canzone degli Iron Maiden cara a chi è come il sottoscritto è cresciuto negli anni ottanta mi serve per introdurre l’argomento: oggi è il 6-6-2006. Una data fantastica, per esempio, per lanciare un film horror come Omen, e magari per organizzare qualche festicciola in tema sullo stile lugubre alla Halloween.
Sono cattolico e quindi credo nel demonio, ma credo sia ben diverso, e molto più pericoloso, della macchietta legata a simboli e figure attraverso cui gli uomini l’hanno raffigurato nei secoli, forse per esorcizzarlo. Il demonio non è una bestia con le corna, è quella forza che spinge gli uomini a scannarsi per sete di poter o semplicemente, come direbbe Reagan, perché non sono disposti a negoziare il loro stile di vita lussuoso e sprecone. Il demonio, è vero, si manifesta talvolta in maniera violenta: ma più a casi legati a problemi psichici spacciati per indemoniati, basta aprire un giornale nella pagina di cronaca per leggere di stupri, violenze su minori, associazioni a delinquere di vario genere. Sono lì, i demoni, sono dentro di noi, perché ciò che è male viene dal cuore dell’uomo, purtroppo, e non da fuori.
E soprattutto non aspetta il 6-6-2006 per manifestarsi…

Cose che non vedremo…

Oggi c’è stata un eclissi anulare di sole. Significa che la luna si è posta sulla traiettoria tra noi e il sole oscurandone una parte. Il punto di migliore visibilità in Italia è stato Cagliari con l’84% della superficie visibile del sole coperta). Credo che l’abbiano vista in pochi: qui a Bologna il cielo è coperto da una coltre spessa di nubi che rendono la città allegra come un film horror svizzero anni 70. Ma quante cose non vediamo, o non vediamo più? Non vediamo più Biagi, Luttazzi e Santoro, non vediamo più il teatro in televisione, non vediamo più i giocatori che esultano sotto la curva, non vediamo più un sacco di amici perché abbiamo troppo da fare, non vediamo quello che sta succedendo a Togo dove si stanno sgozzando per motivi politici perché ci interessa di più sapere con chi se la spassa la Hunzikher.
Domani, o fra qualche giorno le nuvole se ne andranno. Ma l’eclissi l’abbiamo persa per sempre, insieme a tante altre cose importanti…

La casa dalle finestre che ridono

Non mi piacciono i film horror, li trovo piuttosto ripetitivi, con quel continuo via vai di
pugnalate, vocine gracchianti, vecchie infide, scricchiolii e morti ammazzati. Questo però
l’ho guardato con attenzione perché trent’anni dopo è diventato una sorta di film culto,
per le sue atmosfere molto anni settanta, le sue ingenuità narrative, ma anche il gusto per
il bozzetto. Il regista è un signor regista, quel Pupi Avati che poi abbandonerà il genere
ritornandoci di tanto in tanto (sua la sceneggiatura di Dove comincia la notte, del 91). La
storia è piuttosto sgangherata, un restauratore si trova alle prese con un dipinto di
un’artista morto suicida famoso perché dipingeva le agonie, ed è facile immaginare che ci
saranno un bel po’ di morti ammazzati (in alcuni casi i personaggi sono talmente mal
tratteggiati che quasi non ci dispiace che l’assassino ce ne liberi). Non mi soffermo sulla
storia perché non voglio rovinare il gusto di chi non l’ha visto, sappiate che traballa
come un pattino sulle cascate del Niagara, però le immagini di una campagna ferrarese
opprimente e inquietante sono veramente belle. Considerando che è stato girato con un pochi
mezzi (il bello dell’horror è che puoi far scrivere tre note al musicista, ripeterle
ossessivamente durante tutto il film e giustificarle come una scelta stilistica e non come
mancanza di quattrini) è una piccola lezione per chi pensa di speventarci con esorbitanti effetti speciali. I veri mostri siamo noi, con la nostra indifferenza, direbbe Tiziano Sclavi. Pupi Avati l’aveva detto un bel po’ di anni fa, e questo va ascritto a suo merito.