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Il trio del supermercato

Di solito sono tre: il teorico, il polemico e il cialtrone. Il primo ha una lista in mano, il secondo scuote il capo sospirando, il terzo per poco non finisce nel bancone dei surgelati mentre gioca a Candy Crush con il cellulare.

Sono i fuori sede che fanno la spesa in un supermercato.
Uso aggettivi maschili perché la tendenza a trasformare anche una procedura d’acquisto in una scampagnata con relativa presa di coscienza collettiva è tipica del genere maschile, o per lo meno questa è l’impressione, magari errata.

Il teorico sa quello che serve, ha preparato la lista, si guarda intorno, valuta le scelte. Impiegherebbe la metà del tempo se non avesse accanto il polemico che gli contesta ogni scelta. Preferisco gli spaghetti delle linguine. Sul dentifricio meglio non risparmiare. Il sugo ce lo facciamo noi basta che prendi la passata. Il polemico ha la vocazione naturale alla contraddizione, ha un futuro da sindacalista o da politico d’opposizione. Il tecnico però lo sopporta perché sente che quella voce odiosa lo sprona a fare meglio, lo aiuta a dimostrare che passi pure la carta igienica di importazione azerbaigiana che ti scartavetra nell’intimo così magari ne usiamo meno, ma il te freddo in polvere no, il te freddo in polvere è un triste presagio di sventura.

Basta ricordarsi di non ripetere l’errore, perché va bene risparmiare, ma l’ultima volta con la carta igienica ti hanno visto uscire dal bagno con gli occhi lucidi e ti hanno chiesto: cos’hai, ti han fatto male le pesche sciroppate? No, hai risposto, mi fan male le chiappe grattugiate.

E il cialtrone? Il cialtrone ai miei tempi ciondolava guardandosi in giro, cercando magari di incrociare una bella ragazza, leggeva gli ingredienti dei fiocchi d’avena con accurato interesse, infilava nel carrello con noncuranza oggetti di discutibile utilità quali giocattoli per felini e shampoo per automobili, in assenza ovviamente di auto e gatti.
Aveva la funzione di pacificare gli scontri tra teorico e polemico che improvvisamente interrompevano le discussioni per allearsi nell’apostrofarlo con un corale “lascialo sullo scaffale, imbecille!”.
Oggi il cialtrone trova consolazione nello smartphone dove le ragazze ci sono eccome, anche se sono virtuali, anziché gli ingredienti legge le quotazioni delle scommesse sportive sul suo schermo e se proprio deve infila nel carrello qualche lampadina alogena, che a casa degli universitari non ci sono lampadari, figurati dimmer.

Se li riconosco è perché sono stato anch’io uno di loro, da universitario fuorisede. Quasi sempre teorico, a volta polemico quando trovavo uno più teorico di me. Più spesso facevo la spesa da solo: una certa narrativa molto marginale mi aveva convinto che il supermercato fosse il luogo per fare incontri che dessero inizio a torbide relazioni lascive con donne superlative.
Una volta incontrai Gaetano Curreri con il carrello al Conad. Magari sperava in una donna superlativa anche lui.

Il terzetto dei fuorisede – seconda parte

Il terzetto dei fuorisede purtroppo è vittima di ogni genere di abusi da parte della città ospitante. Paga prezzi spropositati in bar che gli indigeni non frequenterebbero neanche per aver perso una scomessa, compra molti più biglietti di autobus di quanti non ne sarebbero necessari e per non fare brutta figura li timbra tutti, finisce, esausto e sfiduciato dopo giorni di ricerca, a sistemare l’erede in camere triple ricavate in tuguri senza pavimenti e con il bagno in comune con l’appartamento due isolati più avanti. Sono ancora migliaia i terzetti che frequentano Bologna, talvolta anche nella versione coppia (la più efficiente, perché non c’è l’inutile ingombro del papà) o in quella familiare che comprende anche la zia che ha visto il mondo perché partecipa sempre ai pellegrinaggi in corriera organizzati dalla parrocchia o il fratello minore che pur di liberarsi del porimogenito è disposto a quel gironzolare senza meta.
Se incontrate un terzetto, a Bologna, Roma, Firenze o in qualunque altra città universitaria, siate accondiscendenti con loro.

E soprattutto spiegateli che no, non è normale pagare 500 euro in nero per un posto letto, e che se cercano un altro po’ forse troveranno di meglio.

Il terzetto dei fuori sede – prima parte

La stagione dei terzetti comincia con le prime avvisaglie nella tarda primavera, tra maggio e giugno. Si tratta tuttavia di apparizioni sporadiche, di manifestazioni che rappresentano solo un’anticipazione, per quanto ricca di contenuti, della stagione vera e propria che va dalla seconda metà di agosto fino alla fine di ottobre.
In questo periodo i terzetti sono rinvenibili nelle città universitarie per la classica formazione triangolare: studente davanti con aria sognante e distratta, mamma un paio di passi più indietro che scuote il capo con aria diffidente, papà in linea con la mamma – o appena un po’ più dietro – perso nella consultazione contemporanea e quindi assolutamente insoddisfacente di una mappa turistica, un giornale di annunci e un blocco di appunti. Questa figura negli ultimi anni ha conosciuto una certa evoluzione per cui al materiale cartaceo può sostituirsi un cellulare di ultima generazione con GPS e connessione ad Internet: in risultati sono, se possibile, ancora più deludenti, perché almeno tuttocittà non perdeva la connesione con il satellite e dal giornale di annunci si poteva evitare la pubblicità più invadente.
Il terzetto è quello delle famiglie dei fuorisede che cercano l’alloggio per la giovane speranza: e se ne parlo con affetto è perché anch’io, troppi anni fa, ne ho fatto parte.

Continua con la seconda parte