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Orgoglio Comunale

italiaPotrete tagliarci i fondi per comprare le penne, scriveremo con le matite.
Potrete toglierci i fondi per stampare il giornale, manderemo newsletter.
Potrete mandare gli anziani in pensione impedendo di assumere giovani, continueremo ad arrangiarci come abbiamo sempre fatto, alla faccia delle vostre leggi di stabilità.

Perché noi siamo i Comuni.

Siamo noi che dobbiamo prenderci cura dei profughi, mentre voi spendete miliardi per pattugliare le coste con gli incrociatori.
Siamo noi che dobbiamo mandare a scuola i bambini che non hanno nemmeno un tetto, mentre voi parlate di solidarietà ai congressi internazionali.
Siamo noi che dobbiamo ogni anno spiegare ai cittadini che se dipendesse da noi, i soldi che buttiamo via ogni sei mesi per ristudiare le nuove forme di tassazione e riorganizzare software, uffici e procedure (e Tarsu, e Tares, e Tarsi) li useremmo per ridurre le tassazioni.
Siamo noi che veniamo rimproverati perché non esponiamo bandiere luccicanti come vorrebbe il Ministero dell’Interno, mentre la Corte dei Conti vigila affinché non si spenda nulla in spese di rappresentanza.

È da noi che vengono i cittadini esasperati, avviliti, mortificati; è con noi che se la prendono per uno Stato assente che non risponde perché impegnato una cena ufficiale, un Gi-qualcosa o un congresso.

Ma noi Comuni c’eravamo quando l’Italia era tutt’al più un’espressione geografica. Molte delle bellezze che il mondo ci invidia, piazze, palazzi e talvolta chiese, le hanno costruite i Comuni, mica i ministeri.
Abbiamo ricacciato Saraceni e Barbarossa a calci nel sedere, non saranno certo falchi e colombe, Letta e Brunetta a farci paura.
Perché prima o poi sappiate che vi manderemo tutti a quel paese, perché questo paese è il nostro.

E che cacchio.

PS So che questo post rigurgita populismo da dipendente comunale, o addirittura sentori di protoleghismo, ma scusatemi, ho talmente tanti sassolini nella scarpa che talvolta mi sembra di fare un percorso vita per il benessere plantare.

Alla salute

Immaginate di fare l’esame per la patente di guida: non siete granché capaci, finite contro un marciapiede, sbagliate parcheggio e non date la precedenza. L’ingegnere della motorizzazione vi guarda esitante, coglie il vostro orgoglio ferito, e vi dice: mi dispiace ma la devo bocciare. Se vuole però posso darle il brevetto da pilota.
Oppure pensate di aver concluso un anno, anzi cinque anni di liceo in cui avete studiacchiato poco e male, avete preso brutti voti e vi siete salvati sempre in extremis. Arrivate impreparati all’esame di stato, e venite bocciati. La commissione, però, dopo lunghe discussioni, decide che sì, il diploma di ragioniere non può darvelo, ma in compenso puà darvi una laurea triennale.
Praticamente è quello che è successo a certi governatori bocciati dal voto popolare e riemersi rapidamente come ministri. Come può un politico, anziché riflettere su una sconfitta (anche se di misura, anche se condizionata, anche se limitata), su un elettorato che non l’ha confermato, accettare subito una responsabilità di governo?
Può, può. Alla salute. Non la nostra, temo.