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Il pigliaurti dei senzavergogna

C’erano una volta i paraurti. Bei fascioni di plastica, solida, massiccia e pronta a difendersi con compostezza da parcheggi sbagliati, pietre, schegge e più in generale "urti".
Già il sinonimo parafango perdeva un po’, perché si limitava a concepire quegli oggetti come protezione per la carrozzeria contro gli agenti atmosferici e poco altro. Poi uno scienziato geniale senzavergogna già premiato con il nobel alla carrozzeria si inventò i paraurti colorati, di più, metallizzati.
Così ogni volta che ti graffiano il pigliaurti (il nome mi sembra più adatto) il segno viene evidenziato, messo in luce, esaltato. E mentre per sistemare i vecchi paraurti bastavano cifre ragionevoli, adesso cambiare i paraurti in tinta costa più o meno quanto rivendere la vettura e comprartela nuova. Mi sembra una autentica follia, come andare in giro con un ombrello di lana merinos, o lavare i pavimenti con stracci di seta.
E non si può più neanche scegliere, le macchine senza i paraurti in tinta sono ormai introvabili, i costruttori hanno capito che c’è da fare soldi e si sono lanciati. Ma c’è di più: i senzavergogna adesso hanno cominciato a mettere in commercio automobili dove il paraurti è semplicemente scomparso, completamente integrato nella carrozzeria dell’auto: non solo il colore, ma anche il materiale è lo stesso. Così dopo un urto non devi cambiare un pezzo ma magari tutta la fiancata. E poi si lamentano, i senzavergogna, che il settore dell’auto è in crisi. Noi aspettiamo solo penumatici usa e getta da cambiare ogni mezz’ora come quelli delle formula uno, tergicristallo in cachemire e motori da cambiare ad ogni rifornimento, crepi l’avarizia.
Dopo di che prenderemo una bella Panda metà anni ottanta e andremo a tamponare i senzavergogna che progettano questi obbrobri: tanto noi avremo il paraurti, loro no.

40 anni di Beatles

Quella del 68 è stata un generazione che ha avuto il merito di conquistare il dominio culturale "generazionale" sui loro genitori ed il demerito di non mollarlo più nè per i figli, nè, ormai, per i nipoti.
Quando parlo di dominio culturale mi riferisco alla capacità di conquistare spazio sui media, nella politica, nell’arte, in modo da imporre i propri gusti: i sessantottini smontarono secoli di musica "alta" e ci piazzarono i Beatles, trasformando in musica d’elite persino quei generi, come il jazz, nati nei ghetti poveri. Dopo vent’anni hanno cominciato con il revival, disprezzando la musica anni 80 dei loro figli (musica commerciale, musica vuota, musica usa e getta, vuoi mettere John Lennon).  Vi ricordate i vari "Vent’anni dopo", "Sapore di mare", "Una rotonda sul mare"? Ora, quarant’anni dopo, uno potrebbe pensare che c’è stato un ricambio generazionale, che magari si ripropongono i programmi nostalgici, ricordando gli anni ottanta. Macché.
Sempre e comunque Beatles, di cui si festeggiano il quarantennale dell’uscita si Sgt.Pepper, sempre e comunque noi si che sapevamo vivere, noi sì che abbiamo cambiato il mondo, noi si che ci sapevamo fare. Ma basta! I Beatles sono stati un grande gruppo, ma questo non vuol dire che David Bowie, Queen, U2 e Rem (i primi che mi vengono in mente in un percorso post anni sessanta) non valgano nulla. Quando andranno in pensione i sessantottini che sui giornali si interrogano se siano meglio i Beatles o i Rolling Stones? Quando lasceranno cadere la penna gli sceneggiatori che ricordano e vivono solo di Piper, Bandiera Gialla e Woodstock? Secondo me è ancora presto.
Prepariamoci anzi ad un convegno "68, cinquant’anni dopo" fra una decina d’anni. A organizzarlo, sempre i soliti arzilli sessantottini inchiodati alla poltrona…

Un Ges? USA (e getta)

Sì all’omicidio preventivo, no alla minigonna. Le ultime novità di questi giorni che provengono dagli Stati Uniti mi fanno venire in mente Personal Jesus: una bella canzone scritta qualche anno fa dai Depeche Mode che causò parecchie polemiche, in cui raccontavano di un Gesù personale, disegnato ad uso e consumo delle nostre esigenze, pronto a perdonarci, ascoltarci, commiserarci. Il testo, che nello stile ammiccava a certi atteggiamenti di predicatori televisivi, era molto intelligente (solo gli ottusi possono averne tratto aspetti sacrileghi) e denunciava il vero problema della spiritualità dei nostri tempi: non è più l’uomo a essere creato a immagine di Dio, ma Dio che è una proiezione dei desideri dell’uomo. Gli atei potrebbero rispondere che è sempre stato così, le divinità sono creazioni degli uomini per spiegare ciò che è troppo grande o mitigare i dolori nell’illusione. Dal momento che sono un credente, non sono d’accordo: secondo me Dio c’è, si è fatto uomo perché credessimo, ci ha lasciato chiaramente intendere qual è il suo volere. Poi però ci sono tante immagini fasulle di Dio che proiettano solo i nostri interessi, vero anche questo. Hai voglia a interpretare le scritture: c’è scritto non uccidere, Francesco direbbe che la Parola di Dio va presa sine glossa, senza tanti giri di parole: non uccidere. Non si uccide. Eppure i cristianissimi americani non si scompongono se in guerra i loro soldati giustiziano sotto gli occhi delle telecamere degli iracheni feriti, se li torturano a morte, se sparano impunemente quando pare loro. Lì vale la legge marziale, non quella di Dio. Poi però gli stessi cristianissimi americani censurano le ragazze pon pon, perché con le loro gonne corte inducono al peccato. Amici americani, non scherziamo: liberi di credere al vostro dio usa e getta, godetevi pure questo vostro gesù bigottone, ottuso e guerrafondaio finché siete su questa terra: dopo, però, non rimaneteci male se l’altro, quello vero, non la pensa alla stessa maniera.
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Your own personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who?s there
Feeling unknown
And you?re all alone
Flesh and bone
By the telephone
Lift up the receiver
I?ll make you a believer…
Take second best
Put me to the test
Things on your chest
You need to confess
I will deliver
You know I?m a forgiver
Reach out and touch faith Reach out and touch faith