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Libera e felice

La mattinata era grigia e umida, e questo sembrava irritare i clienti. Pochi si fermavano a comprare il giornale, forse per evitare di bagnarsi. E quei pochi erano frettolosi, sgarbati, si avvicinavano al chiosco con i loro ombrelli bagnati e mi rovinavano le copertine delle riviste. C’era più traffico del solito e l’avvicinarsi del fine settimana non sembrava allietare particolarmente i viandanti. Né me.
Quando lavori in un’edicola sei spesso il primo incontro che la gente fa. E questo non te lo perdonano, come se fosse colpa tua l’essere l’anello di congiunzione tra il caffè caldo del primo mattino e la pila di documenti da compilare in ufficio. Temevo mi aspettasse la solita mattinata di routine da cancellare in fretta. Invece non dimenticherò facilmente quella mattinata, nossignore. Non la dimenticherò perché per un momento, quel giorno, un attimo solo, un minuscolo istante nei miei diciannove anni di vita, mi sono sentita bellissima. È stato quando lui si è rivolto a me, mi ha rivolto quelle parole. D’amore. Si è avvicinato all’edicola dei miei genitori, evidentemente in imbarazzo, con lo sguardo rivolto verso il basso e le mani in tasca. Alto, con i capelli castani, corti e disordinati, una felpa sbiadita sul collo. Parlottava con un amico. Sulle prime non mi sono resa conto della sua presenza, ho imparato a non osservare i clienti e a rivolgermi loro solo quando mi chiamano o fanno qualche mossa insolita. E poi quella mattina stavo contando i soldi in cassa da portare al più presto a cambiare in banca visto che non l’avevo fatto la sera precedente. Avevo avuto l’ennesima discussione con mia madre, che mi vorrebbe sistemare con quel suo cugino vecchio e bavoso, e mi era passato di mente. Un giorno o l’altro mollerò tutto e la smetterò di contare i soldi. Loro. Poi voglio vedere senza di me come la tengono in piedi questa baracca zeppa di videocassette, libri, giocattoli. E giornali, certo. Voglio proprio vedere.
Quando mi sono accorta che aggirava indeciso lo sguardo da una rivista all’altra, ho pensato che probabilmente era il solito acquirente di porno che si sentiva in imbarazzo a chiedere “Transex2000 Raccolta” ad una ragazza. E sono tornata ai miei maledetti centesimi di euro.
Sono brutta. Ho un bel po’ di chili di troppo, un faccione tondo, un naso a patata, il doppio mento, gli occhi piccoli nascosti dietro lenti spesse e i capelli crespi. Sono proprio brutta, insomma. Non ho attenuanti: sarei brutta anche se dimagrissi, se cambiassi pettinatura, se mettessi le lenti a contatto. Forse sarei meno brutta, questo me lo posso concedere, ma brutta comunque.
E d’altro canto, sono sempre stata così, ho imparato a convivere con questa condizione, non mi lamento neanche tanto.
Eppure quel giorno qualcosa è successo. Non voleva delle riviste porno. Si è finalmente deciso a rivolgermi la parola. Aveva una voce dolce e melodiosa, sembrava quasi un attore di teatro. Ho sentito un brivido lungo la schiena. Smettila stupida.
– Scusami…Non vorrei disturbarti…Ma…Non è che potresti darmi una mano?
– Che c’è?
– Ecco, vorrei comprare un libro per regalarlo ad una ragazza bellissima…Ma non conosco i suoi gusti.

Il brivido era scomparso piuttosto in fretta, riportando la mia schiena alla solita placida calma piatta. L’unica piattezza del mio corpo.
– Uhm…Quelli non vanno bene per un regalo. Troppo economici, e poi il prezzo stampato sulla copertina è più grosso del titolo. No, non vanno bene. Guarda piuttosto quelli nell’espositore lì dietro.
– Non mi preoccupo di coprire il prezzo, visto che….Quali dici? Questi qui?
– No, non quelli, che fai, vuoi regalarle una guida di videogames? Aspetta, vengo io, ti faccio vedere. Ecco, questi qui.

Che idiota. Bello, sì. Bella voce, sì. Fisico atletico, si. Ma allora perché vuoi fare l’intellettuale, portala fuori a cena invece di farmi perdere tempo, che diamine.
Gli ho mostrato una collana di volumi di poesie rilegati, una delle cose migliori che abbiamo mai venduto in edicola. Mio padre non vorrebbe riacquistarli, ha già discusso con il distributore, poi l’ho convinto a tenerli. Non posso vendere calendari e video osé dalla mattina alla sera. Ho bisogno di vendere della poesia, ogni tanto. Anche se ne vendo poca.
Lui si è guardato intorno, paonazzo in volto, imbarazzato dalla mia vicinanza.
– Ma…Veramente non saprei quale scegliere…
– Insomma, che regalo vuoi fare? È un compleanno? È per la tua ragazza?
– No, no, non è la mia ragazza, cosa dici…
Non è per la sua ragazza. Non dico che ho avuto un fremito, a quel punto, questo no, ma qualcosa devo averlo captato se tutto a un tratto ho avuto voglia di nascondermi le mani in tasca come facevo da bambina. Forse per il modo con cui mi guardava, sembrava volesse rapirmi, sembrava volesse portarmi via dall’edicola, per sempre.

– Non so neanche come si chiama. So solo che c’è qualcosa, nel suo sguardo, nel suo sorriso….Insomma, credo di essere innamorato di lei, e vorrei farglielo capire con questo regalo.
– Bello! Ottima idea. Nessuna ragazza può rimanere insensibile ad un gesto così carino. Adesso se permetti…
– Aspetta! Questo… questo può andar bene?
– No, no, cosa fai, quelle sono poesie epiche, battaglie, morti, eroi. No, non va bene. Ecco, prendi questo. Neruda. La farai impazzire. Lingua originale con testo a fronte.

Mi ha osservata stupita, sembrava quasi cercasse di guardarmi attraverso, per un attimo, che scema, ho persino avuto la nitida impressione che volesse abbracciarmi, di trascinarmi con sé.

– Neruda non era italiano, ma c’è la traduzione delle sue poesie…Insomma è un bel regalo, ecco tutto.
– Dici sul serio?
– Certo!
– Credi che le piacerà? A te piacerebbe ricevere un regalo così?
– Io ne sarei felicissima.
Lo accarezzava tra le mani come il più prezioso dei tesori, continuando a tenere lo sguardo sulla copertina, e sbirciando con la coda dell’occhio quasi temesse che qualcuno potesse vederci.
– Allora prendilo. È per te.

Sbengh. Altro che brivido, altro che formicolio. Una frustata, un crampo, un feroce campo elettrico mi ha attraversata a quel punto, scuotendomi con forza e rendendomi instabile sui piedi. Ed è stata un’instabilità meravigliosa da avvertire, perché mi ha dato prova della mia fisicità, del fatto che ero ben sveglia, viva, vegeta e stordita. E instabile, come chi è trafitto da un raggio impetuoso d’amore.
– Ma…Cosa dici…Non mi conosci neanche…
– Sono giorni che ti osservo, mi avvicino, ti spio. Tu non mi hai notata, forse, ma io giro intorno a questo posto da un bel po’.

L’ho guardato, sembrava, appariva, anzi era assolutamente sincero, ho cominciato a rendermi conto che il suo viso in fondo qualche modo mi era familiare, davvero mi aveva spiata, davvero aveva osservato i miei movimenti, allora mia amava sul serio!
– Ovviamente te lo pago, ci mancherebbe altro! È un regalo che voglio farti! E voglio comprare anche della carta da regalo!
– Mi dispiace, quella non la vendiamo. Se vuoi puoi prenderla alla tabaccheria…Qui di fronte.

Ho alzato il braccio, che mai mi era apparso così pesante (e dire che un cannibale ci camperebbe una settimana). Ed è stata un’ottima idea, perché il movimento si è concluso direttamente sulla colonna con le cartoline esposte, che mi ha sorretto prima che potessi cadere.
Un regalo. Per me. Di un ragazzo innamorato. Certo ancora non mi conosce bene, ma mi conoscerà. Amore a prima vista! A dire il vero io non ho sentito suonare le campane, perché semmai una campana mi è caduta in testa. Mai un complimento, mai un fiore, un pensiero gentile in quasi vent’anni. Mai, ovviamente, un bacio, una carezza, una storia d’amore. Niente. Ed adesso, in questa mattinata autunnale nuvolosa e sgorbutica, ecco che la vita mi regala in pochi minuti quello che mi ha negato in tanti anni. Travolta da una valanga, ecco come mi sentivo. Ma una valanga che mi aveva trascinato con sé per abbandonarmi su un prato fiorito, su un tappeto di petali di rosa, su una nuvola morbida. Bisogna viverle certe esperienze per capire cosa si prova, per sentire quelle farfalle impazzite che di girano nella pancia, e dire che nella mia c’è spazio per tutte. Amore, amore, amore! E voleva anche incartarmi il regalo, che dolce tesoro! Ho sofferto la solitudine per anni, la cattiveria e il sarcasmo dei compagni di scuola, l’atroce consapevolezza del disinteresse assoluto degli altri. Per anni mi sono sentita brutta, grassa, deforme, mi sono vergognata di andare al mare per non mettermi in costume, mi sono isolata anche dalle amiche che non facevano che cercare di cambiarmi, di propormi diete, come se servissero a qualcosa. Ma adesso basta: era arrivata, per me, la definitiva ora dell’amore. Avrei volato libera e felice con tutti i miei chili perché lui mi avrebbe fatto volare portandomi con sè. Libera e felice
Non stavo volando, quando sentii la voce di mio padre. Ero ancora fermamente ancorata alla colonna che esponeva le cartoline. Fu come se uno squarcio aprisse violentemente il mondo che mi circondava per riportarmi con violenza nella quotidianità della mia edicola. La voce di mio padre fu cruda e aspra.
– Ma che fai, cretina, cosa guardi? Dove c’hai la testa? Non vedi che ci hanno svuotato la cassa?

Hasta la Vista!

Ho appena fatto conoscenza con il nuovo Windows Vista.
Il mio vecchio computer infatti è passato a miglior vita, anche se ho intenzione di riesumarlo con un rito vodoo di sostituzione alimentatore. Il primo approccio con Vista è stato buono: Internet Explorer non funziona (per fortuna c’è Firefox), ho dovuto scaricare un centinaio di mega di aggiornamenti perché il sistema operativo che ho comprato ieri evidentemente è già vecchio.
Se il buon giorno si vede dal mattino…

Equivalenze

Foto © Moreno Soppelsa/Photomicrostock

Iniettarsi eroina è come fumare uno spinello.

Attaccare uno stato che potrebbe attaccarti è come difendere la pace.

Ammazzare un ladro che cerca di rubare l’argenteria è come sparare per difendere la propria vita.

Non pagare il canone o evadere il fisco (eludere, dicono adesso) è come opporsi pacificamente ad uno stato oppressore.

Ho sempre di più l’impressione che questo governo non abbia sbagliato i calcoli:  semmai le equivalenze.

Però un metro è ancora composto da 100 centimetri…

Un rispettoso silenzio

Ci sono momenti in cui un rispettoso silenzio è l’unica risposta di fronte all’immensità del dolore. Questo è un blog che si sforza di divertire i suoi lettori, ma l’ombra della morte si è distesa sterminata e ha raggiunto anche quest’angolino di sole. Non è il caso di far finta di niente, decine di migliaia di persone domani non torneranno a sorridere alla vita per colpa di questa sciagura. L’unica cosa che mi sento di pronunciare in questo momento sono cinque numeri: 48580. Mandate un sms a questo numero, donerete un euro per gli aiuti alle popolazioni devastate dal maremoto. Domani torneremo a sorridere; adesso no, adesso non si può far finta di niente.