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“Sto da Dio – L’enigma di Artolè”: l’Appennino bolognese in un giallo in libreria da luglio

La copertina del romanzo di Carmine CaputoArriverà in libreria all’inizio di luglio “#stodadio – L’enigma di Artolè” il romanzo di Carmine Caputo edito da Damster Edizioni, ambientato a Tolè, piccola frazione di montagna del Comune di Vergato.

Più che fungere da contesto, Tolè è la vera protagonista di questa storia, come spiega l’autore: «Nelle mie storie sia i protagonisti che le vicende sono completamente frutto della mia fantasia. Sono veri invece i contesti in cui ambiento gli avvenimenti: in passato è accaduto per Statte, il mio paese natale in Puglia, per Bologna, la città che mi ospita da 25 anni. Stavolta invece racconto l’Appennino bolognese e in particolare Tolè, un piccolo borgo dove ho vissuto per un paio d’anni e che porto nel cuore».

I fatti narrati si svolgono durante il week-end del 23 e 24 agosto dell’estate del 2014, particolarmente fredda e piovosa. Un maresciallo dei carabinieri, Antonio Luccarelli, che opera nella Val di Setta, decide di prendere un paio di giorni di vacanza e di approfittarne per partecipare ad Artolè, manifestazione realmente esistente che dal 1997 porta artisti, scultori e pittori a decorare con le loro opere le vie del centro appenninico.

I piani però non vanno nel verso giusto. La visita inattesa di un amico di vecchia data (Leo Stasi, che insieme a Luccarelli ancora bambino fu protagonista di un altro romanzo dell’autore, “Ballata in sud minore”, nel 2009) costringe infatti il maresciallo a rivedere il suo programma. Anziché fare la corte a Simona, una affascinante volontaria che partecipa alle parate in costume che contraddistinguono la festa, il carabiniere si trova così a fare da guida al suo amico, aspirante scrittore di favole, che ne improvvisa una per ognuno dei quartieri del borgo antico di Tolè: quello dei mulini, quello dei gatti, quello del Natale e, appunto, il borgo delle fiabe. La mattina dopo però il maresciallo sarà chiamato al lavoro extra: il cadavere di una anziana signora è stato ritrovato in casa trafitto da un pugnale. E il capitano avrà bisogno del suo aiuto, visto che i suoi uomini in servizio sono impegnati in una delicata operazione che coinvolge la criminalità organizzata. C’è un solo indizio per il maresciallo, un elenco di numeri di telefono sul comodino della vittima, e poche ore per trovare la soluzione dell’enigma.

Carmine Caputo è un giornalista che da cinque anni segue l’ufficio stampa per l’Unione dei comuni dell’Appennino bolognese. Ha pubblicato per Nonsoloparole Edizioni “Bello dentro, fuori meno” nel 2003 e “Bologna l’oscura” nel 2007, nel 2009 è uscito “Ballata in sud minore” per 0111 Edizioni e nel 2014 “Chiamami Legione”, edito da Sesat Edizioni. Nel 2017 è stato curatore della raccolta di racconti “Misteri e manicaretti dell’Appennino bolognese”, edizioni il Loggione.

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Pausa pranzo ai tempi del coronavirus

Gioconda con la mascherina

  • Dopo mesi di sacrifici, forza di volontà, impegno tenace e temerarietà contro un fronte che sembrava impenetrabile, finalmente ecco i primi risultati. La curva segnala un piccolo, impercettibile ma incoraggiante segno positivo: ci siamo.
    Anche le ultime maestre delle elementari, abbarbicate sul divano, saranno costrette a lasciare il telecomando per un’oretta di didattica a distanza ogni tanto.
    PS Ogni commento sul fatto che il rifiuto della didattica a distanza, per i più piccoli, sia una scelta pedagogica approfondita, un modo per non discriminare, il risultato di una meditazione profonda verrà preso in considerazione solo se posto da chi in questi mesi, per una scelta approfondita e coerente, avrà rifiutato anche lo stipendio.
  • Sulle spiagge Zaia ha ragione, le regole non possono essere uguali per tutti. Se uno ha il coraggio di fare il bagno all’Isola Verde di Chioggia o alla spiaggia del Mort di Jesolo secondo me non ha certo paura del coronavirus.
  • A giudicare dallo slancio con cui gli italiani stanno affrontando la fase 2, prevedo che nella fase 3 sarà obbligatorio mangiare tutti da tegami comuni al ristorante, leccarsi la punta delle dita per contare le banconote e limonare con gli sconosciuti che si incontrano per strada
  • Quindicimila persone in fila all’Ikea di Torino a guardare cucine e cabine armadio. Certo che ne avete avuto di tempo per pensare a come sfruttare al meglio la ritrovata libertà.
  • Ho letto che dovremo abituarci, specie con la riapertura delle scuole, a misure igieniche più rigide in casa. Va bene l’asciugamani personizzato e pure le posate e i bicchieri lavati con cura, ma come la mettiamo con il mio ruolo ancestrale e indiscusso di finitore degli avanzi sbocconcellati delle figlie?
    Papà di tutto il mondo, siamo una specie a rischio.
  • Con i televisori al plasma avremmo potuto curare tutti i malati di Covid-19! Perché nessuno ne parla? Perché li hanno sostituiti con gli LCD per farci comprare il vaccino!
  • Questa esperienza del lock-down ci ha insegnato che possono lavorare da casa gli impiegati pubblici, gli architetti e gli ingegneri, i docenti, i professionisti, i commercialisti, gli artisti, gli psicologi e migliaia di altre categorie.
    Tutti TRANNE gli impiegati di Ryan Air addetti ai rimborsi.
    Niente da fare, c’è il distanziamento sociale.
    Loro sono al 25% da marzo e in smart-working riescono solo a proporti il voucher, disdetta.

La spesa ai tempi del coronavirus

Premetto che sono piuttosto ligio alle norme sul distanziamento sociale: mascherina, amuchina, file a distanza. Solo mi preoccupa un po’ l’effetto del potere sulle persone meno abituate a gestirlo.

Sabato mattina, centro commerciale, un’ora e mezzo di fila per entrare (perché il working sarà diventato smart, ma sempre il sabato mattina ti resta per fare la spesa). File anche per i latticini, file per i banconi, ovviamente anche per le casse.
Una coppia di stranieri si avvicina con il carrello alla cassa.
Insieme.
Lo sconcerto è generale, l’intervento dell’esercito della distanza immediato. Mai che trovi un dipendente che ti dica dove diavolo sono le birre, ma in compenso appena ti avvicini troppo ti circondano in tre con il dito puntato.
Una dipendente grida: non in due! Non in due! Mantenere le distanze!
Ma siamo una coppia, stiamo insieme, prova a difendersi la donna.
E qui il colpo di teatro del colonnello con il badge: si ma il virus non lo sa! Il virus salta, eh!
Dietro questa affermazione così persuasiva nella sua assoluta insensatezza, mugoli di approvazione si diffondono intorno alla giustiziera: non ce la possono fare, non capiscono, dove finiremo.
Provo a domandarmi se forse mi sono perso l’ultima dichiarazione di qualche virus-star che spiega che, se si procede in coppia, il virus si potenzia, tipo dalla moglie fa la cavallina sulle spalle del marito per andare più lontano. Oppure il grafico di qualche fisico che spiega l’effetto catapulta, cioè quel processo per cui il virus, che sappiamo nascondersi nei testicoli, dopo tre ore di spesa in coppia raggiunge una pressione tale da poter raggiungere la stazione orbitale e infettare un astronauta russo con un colpo di bacino. Non lo so, forse mi sono distratto.
Il marito sembra sul punto di intervenire, vorrebbe aggiungere che hanno pomiciato in parcheggio fino a pochi minuti prima, magari hanno fatto pure dell’hard petting, non c’è rischio che si infettino a vicenda. Poi si rende conto di non avere abbastanza padronanza dell’italiano per una spiegazione così dettagliata e mimare non aiuterebbe la situazione, per cui rinuncia.
Ancora stordito da questi pensieri, quando vedo che chi mi precede a 8, 9 metri da me ha liberato il carrello e sta riempiendo i sacchetti, mi avvicino alla casa.
L’errore è fatale. La cassiera mi guarda con disprezzo, se avessi aperto un impermeabile per mostrarmi nudo e ammiccare forse avrebbe reagito meglio. Si avvicini quando glielo dico io, sibila.
L’altro consumatore ha la mascherina come me, è a otto metri almeno, ca**o neanche si chiamasse Carl Lewis Virus Desease potrebbe raggiungermi con un balzo.
Ma sento la disapprovazione salire intorno a me e senza fiatare (questo lo apprezzano tutti, l’apnea ci salverà) torno mestamente indietro.

Quando tutto sarà finito, speriamo, questa sbornia di potere dell’esercito della distanza lo riporterà a terra, o finiremo per dover firmare una autocertificazione prima di entrare in autogrill in cui dichiariamo di impegnarci a non scoreggiare facendo la pipì?

PS Nonostante i divieti ho preso un sacchetto di mollette dal settore proibito dei casalinghi e l’ho pagato alla cassa con disinvoltura.
Combattere il sistema, sempre!

I propositi di uno scrittore galleggiante

  1. Che fine anno sarebbe senza i propositi per l’anno nuovo? Con il prossimo tra l’altro si apre un decennio, per cui se non dovessimo farcela a rispettarli possiamo chiedere una proroga che in Italia non si nega a nessuno.

10) Giocare a calcetto soltanto con persone che condividono lo stesso stato di forma fisica. Che invecchiamo lo sappiamo già, non c’è bisogno di rincorrere inutilmente un ventenne per ribadirlo

9) Invitare a casa solo persone intelligenti abbastanza da mangiare quello che viene offerto loro. Nessun vegano è mai morto per aver mangiato un tortellino, nessuna dieta dimagrante è stata messa in crisi da una mangiata un po’ più calorica. Fanno eccezione le persone che soffrono di intolleranze alimentari, ovviamente, visto che morire per cortesia è chiedere decisamente troppo

8) Leggere soltanto libri che mi piacciono. Per anni mi sono sforzato di leggere anche libri noiosi che però sentivo di dover leggere, anche solo per parlarne “in società”. A proposito, ho finito finalmente di leggere “La storia” di Elsa Morante. Per favore, invitatemi a parlarne in società prima che dimentichi del tutto quel tomo deprimente

7) Non sentirmi superiore alle persone razziste, ai qualunquisti, agli sfaticati che vorrebbero essere mantenuti dallo Stato, agli evasori fiscali. In fondo, molto in fondo, sono essere umani anche loro

6) Giocare con le mie figlie e godere del tempo trascorso con loro: prima o poi arriverà un maledetto bastardo con cui preferiranno giocare e io non potrò farci niente. Quasi niente… (ghigno malefico e strofinarsi di mani)

5) Andare ogni tanto al cinema. Vanno bene le serie tv guardate a spezzoni nel tablet, vanno bene gli audiolibri mentre si guida, va bene il divano e la tv. Ma il cinema è un’esperienza che ci fa ricordare che non siamo soli, ed è bene rammentarlo di tanto in tanto

4) Andare a votare sempre e in ogni caso, anche quando non c’è nessuno che rappresenti le mie idee, anche quando non sono convinto, anche quando devo addirittura turarmi il naso. Si sono milioni di persone a cui il naso è turato dai regimi militari, e qualche volta gli chiudono pure la bocca. Dobbiamo votare anche per loro

3) Scrivere per il gusto di farlo, e non nella speranza che qualcuno legga. Ho pubblicato il mio primo romanzo quasi 17 anni fa, se davvero avessi avuto il talento un grande scrittore sarei emerso per tempo. Più che emergente sono uno scrittore galleggiante, basta riconoscerlo

2) Andare in palestra e mostrare ai ventenni spocchiosi con il ciuffo da un lato che sì, anche chi viaggia verso in cinquanta può avere voglia di sentirsi in forma. Nota: ricordarsi di non indossare magliette troppo aderenti per non dare ragione ai sorrisini dei ventenni spocchiosi di cui sopra

1) Gioire di tutto quello che di bello mi succede. Un tramonto sul mare o un gol del Taranto, una pizza saporita o un romanzo che ci appassiona, un complimento in ufficio o il sorriso di chi ci vuole bene. Perché la felicità è un treno che passa veloce e solo a chi ha gli occhi ben aperti e un bagaglio leggero riesce a salire a bordo.

Buon 2020

La scuola ai tempi del grande fratello

SuolaSe i miei genitori volevano sapere come mi era andata a scuola, me lo dovevano chiedere, e fidarsi delle mie parole. Almeno fino al giorno del colloquio con i professori. Quel giorno si sarebbero messi in coda pacificamente, selezionando con attenzione le file per evitare magari di passare il pomeriggio ad aspettare il turno, vittime della logorrea dell’insegnante di italiano, mentre gli altri raccoglievano soddisfatti i bollini del professore di disegno o musica. Alla peggio si poteva fare un salto anche dal docente di educazione fisica, giusto per dargli una pacca sulle spalle e dimostrare che lo si riteneva un essere umano come gli altri, o addirittura da quello di religione. Opzione questa indispensabile, per le famiglie come la mia, se l’insegnante era un sacerdote verso il quale sarebbe stato insostenibilmente scortese non fare una capatina.

Tutto questo trent’anni fa. Il ruolo dei genitori negli ultimi anni ne frattempo si è dilatato ed esteso come una macchia di colore troppo annacquata che, per voler coprire tutto, alla fine non colora bene niente. Tramite telefono, sms, chat, ologramma 3d del bidello (pardon, collaboratore scolastico) sappiamo se i nostri figi non sono arrivati a scuola, pronti a tracciarne la posizione con gps e ultima connessione telefonica. Giustissimo, per carità, specie per i piccolini. Ma già dopo i sedici anni questo sistema poliziesco appare abbastanza coercitivo, senza contare che ha messo in ginocchio l’economia delle gloriose sale gioco con biliardi e videogames, nonché trasformato le partite improvvisate di calcetto in piazza in raduni di ricercati pronti alla carica delle forze dell’ordine.

I voti sono online, dietro la cortina fumosa di un nome utente e password, e ci sono genitori che ci si collegano quasi quotidianamente, generando sulle cartelle temporanee del pc curiose insalate di cookies che mescolano promiscuamente scuolaviva, amazon e youporn. Se tuo figlio va male a scuola lo sai quasi in tempo reale, e c’è qualcuno che vorrebbe le telecamere per assistere in diretta alla scena e magari saccagnare l’insegnante insensibile, che non ha capito che il proprio figlio ha un quoziente intellettivo troppo alto per ricordare i sette re di Roma,

E le file per incontrare i professori appartengono ad un passato che non ritorna. Per incontrarli, bisogna prenotarsi in rete. Magari a mezzanotte, quando si attiva la procedura online che scatena mamme impazzite tra i borbottii di papà scoglionati che l’ultima volta si sono svegliati a quell’ora per vedere Schumacher in diretta.

Sono contento di essere un papà, ma porca miseria ho completamente sbagliato il periodo storico in cui diventarlo.