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Calcio a 50

Gioco a calcetto da circa quarant’anni, l’ultima partita si è volta pochi giorni fa. Sono tornato a casa tutto intero con un po’ di mal di schiena, già questo lo considero un successo indipendentemente dal risultato finale.

In effetti si comprende molto di quella che viene considerata l’età della maturità (ma per le mie figlie sono semplicemente un vecchio) osservando una partita tra cinquantenni.

Per prima cosa, il punteggio ha un valore relativo. A vent’anni subire gol è frustrante, hai voglia subito di recuperare, c’è una sana competitività, quella che ti spinge a dare il meglio passare gli esami universitari sacrificando il tuo tempo libero. A cinquant’anni tempo da sacrificare nei hai molto meno e lo sai: se hanno segnato, pazienza, l’importante è non è essere il responsabile della rete avversaria, e in caso contrario, dissimulare con eleganza. E anche da un punto di vista professionale, l’esperienza ti insegna che l’invidia non migliora la produttività, anzi.

A vent’anni sul calcio d’angolo scatti in area, fai movimento per farti notare, chiami la palla. A cinquanta fai un cenno ai compagni: andate voi, io resto dietro a coprire. E infatti se c’è qualcosa che le passate primavere ti hanno insegnato, è che più cerchi di farti notare, più ti marcano. Meglio aspettare defilato e nel caso puntare sul rinvio corto sul quale piazzare la zampata vincente.

A vent’anni saresti capace di presentarti in campo con le scarpe di tela e il pantaloncino del pigiama. A cinquanta hai completo, scaldamuscoli, parastinchi, scarpe con i tacchetti da calcio a 5, cambio a portata di mano. Perché hai capito che avere ha senso solo nella misura in cui protegge il tuo essere. Le scarpe evitano di scivolare, i parastinchi proteggono dai contrasti, l’abbigliamento adeguato può evitare uno strappo. Perché quello che hai, da un punto di vista fisico, o meglio quello che ti è rimasto, ti è molto caro e vorresti evitare di comprometterlo.

E poi, infine, il pubblico. A vent’anni sogni che quella ragazza con la frangetta e la gonna corta si fermi almeno per qualche minuto per apprezzare le tue prodezze, o magari per notare che tutto sommato non hai delle brutte gambe.

A cinquanta, tolleri a malapena che ti guardino i compagni di squadra e se lo fanno preferisci che sia uno sguardo veloce per passarti la palla. Che se non ti hanno ammirato a vent’anni il rischio che ti compatiscano a cinquanta è elevato.

Forza ragazzi, chi fa le squadre?

Top ten dei consigli di moda per uomini di mezza età

10) Un pantalone con meno di sei tasche è buono solo in spiaggia o in piscina
9) Prima di indossare un boxer largo ricorda che la libertà è bella ma se è troppa ci sono delle controindicazioni
8) Le scarpe con il rialzo nascosto sono un inganno sulle dimensioni, e verrà il momento in cui non potrai barare sulle dimensioni
7) Il 75% del calore è disperso dalla testa. Sii eco-sostenibile, indossa un cappello
8) Chi dice che la canottiera non è sexy, è perché non ti ha mai visto in canottiera
5) Il pile è un tessuto artificiale adatto ad arredare la cuccia del gatto e poco altro
4) L’unica cravatta utile è quella conservata nel cassetto dell’ufficio
3) Nella tua vita c’è stata la stagione dello zaino e quella del marsupio. Alla tua età non portarti dietro niente che non abbia le rotelle
2) L’ultimo bottone della camicia lo abbottonano solo i serial killer
1) Se però ti si vede un ciuffetto di peluria bianca, abbottonati. Serial killer non è poi tanto male

Il gioco russo

Il boia sollevò la scure sopra la testa.

La lama si staccò di netto dal manico e gli cadde alle spalle con un tonfo.

Il primo giocatore fu sollevato di peso da due guardie e lasciato cadere ancora tremante, su una sedia, ai bordi del piazzale. Una ragazza in abiti piuttosto succinti rabbrividì. Si sfregò le mani per scaldarsi, sul trespolo dal quale osservava la scena.

Il secondo giocatore avanzò barcollando e occupò il posto prestabilito. Il boia afferrò la seconda delle sei scure fornite. La sollevò. Di nuovo la lama si staccò: anche il secondo giocatore era salvo. Per il momento.

«Il destino sa sempre dove dirigersi. Mi piace molto questo passatempo» commentò Nikolaj II di Russia. Annuì con un lento gesto del capo affinché si proseguisse. I suoi cortigiani osservavano con un misto di disgusto e noia, gli occhi degli uomini più interessati alla giovane donna seminuda che al gioco in sé.

Di nuovo il turno del primo giocatore. Nemmeno il tempo di asciugarsi le lacrime. Di nuovo sul patibolo, di nuovo il collo esposto alla ventura. La scure non era quella giusta: con un grido selvaggio, l’uomo si rese conto di essere stato di nuovo risparmiato.

Qualcuno tra la folla rise, altri batterono le mani per scaldarsi e rincuorarsi nella mattinata gelida. Anche il quarto colpo andò a vuoto. Il boia sbuffò infastidito e si massaggiò la schiena. Afferrò la quinta scure senza troppa convinzione. Con un sospiro di sollievo vide la testa del primo giocatore rotolare sul pavimento. La ragazza scese dal trespolo e incoronò il vincitore, baciandolo e abbracciandolo tra le urla dei presenti.

Nikolaj si alzò in piedi e salutò i sudditi, dando loro appuntamento al giorno successivo.

«Questo gioco è quanto di più inopportuno tu potessi organizzare» intimò la moglie dello zar prendendolo per un braccio. «Proprio non riesco a capire la profezia dell’indovino che ti ha parlato di questa barbara selezione. E quella donna, poi, a che serve? Gli auspici vanno interrogati con maggiore attenzione.»

«Ancora più che per l’insalata con la maionese, sarà un gioco a ricordare la tua terra, recitava il vaticinio. Il gioco della soubrette russa. Non si va contro il proprio destino, mia cara.»

Il trio del supermercato

Di solito sono tre: il teorico, il polemico e il cialtrone. Il primo ha una lista in mano, il secondo scuote il capo sospirando, il terzo per poco non finisce nel bancone dei surgelati mentre gioca a Candy Crush con il cellulare.

Sono i fuori sede che fanno la spesa in un supermercato.
Uso aggettivi maschili perché la tendenza a trasformare anche una procedura d’acquisto in una scampagnata con relativa presa di coscienza collettiva è tipica del genere maschile, o per lo meno questa è l’impressione, magari errata.

Il teorico sa quello che serve, ha preparato la lista, si guarda intorno, valuta le scelte. Impiegherebbe la metà del tempo se non avesse accanto il polemico che gli contesta ogni scelta. Preferisco gli spaghetti delle linguine. Sul dentifricio meglio non risparmiare. Il sugo ce lo facciamo noi basta che prendi la passata. Il polemico ha la vocazione naturale alla contraddizione, ha un futuro da sindacalista o da politico d’opposizione. Il tecnico però lo sopporta perché sente che quella voce odiosa lo sprona a fare meglio, lo aiuta a dimostrare che passi pure la carta igienica di importazione azerbaigiana che ti scartavetra nell’intimo così magari ne usiamo meno, ma il te freddo in polvere no, il te freddo in polvere è un triste presagio di sventura.

Basta ricordarsi di non ripetere l’errore, perché va bene risparmiare, ma l’ultima volta con la carta igienica ti hanno visto uscire dal bagno con gli occhi lucidi e ti hanno chiesto: cos’hai, ti han fatto male le pesche sciroppate? No, hai risposto, mi fan male le chiappe grattugiate.

E il cialtrone? Il cialtrone ai miei tempi ciondolava guardandosi in giro, cercando magari di incrociare una bella ragazza, leggeva gli ingredienti dei fiocchi d’avena con accurato interesse, infilava nel carrello con noncuranza oggetti di discutibile utilità quali giocattoli per felini e shampoo per automobili, in assenza ovviamente di auto e gatti.
Aveva la funzione di pacificare gli scontri tra teorico e polemico che improvvisamente interrompevano le discussioni per allearsi nell’apostrofarlo con un corale “lascialo sullo scaffale, imbecille!”.
Oggi il cialtrone trova consolazione nello smartphone dove le ragazze ci sono eccome, anche se sono virtuali, anziché gli ingredienti legge le quotazioni delle scommesse sportive sul suo schermo e se proprio deve infila nel carrello qualche lampadina alogena, che a casa degli universitari non ci sono lampadari, figurati dimmer.

Se li riconosco è perché sono stato anch’io uno di loro, da universitario fuorisede. Quasi sempre teorico, a volta polemico quando trovavo uno più teorico di me. Più spesso facevo la spesa da solo: una certa narrativa molto marginale mi aveva convinto che il supermercato fosse il luogo per fare incontri che dessero inizio a torbide relazioni lascive con donne superlative.
Una volta incontrai Gaetano Curreri con il carrello al Conad. Magari sperava in una donna superlativa anche lui.

Non c’è più la prova costume

Di sicuro per noi il problema non è grave come per quegli agricoltori che dopo aver visto fiorire i primi alberi se li vedono congelare sotto la neve. Non è neanche una beffa come per gli operatori delle stazioni sciistiche che dopo una stagione di prati verdi, vedono le loro piste imbiancarsi ora che a sciare non ci pensa più nessuno. Per quanto gli operatori sciistici è da un po’ che dovrebbero studiarsi piani alternativi.

Però quando ripenso alle formiche che ho visto nei giorni scorsi cominciare ad accaparrarsi le briciole e che adesso si staranno domandando chi è che ha puntato male la sveglia, non posso non considerare quanta nostalgia ho delle quattro stagioni. Di quegli anni in cui lavavi e stiravi i maglioni, li salutavi, ci spruzzavi l’antitarme e non li rivedevi più per mesi. Anni in cui mettevi gli scarponi nella scatola e li riponevi nell’armadio o nella scarpiera nella posizione più scomoda, tanto a chi vuoi che servano.

Anni in cui c’era il periodo in cui aveva senso fare la prova costume. Chi la fa più la prova costume? A parte il fatto che puoi trovarti coinvolto in una imbarazzante uscita imprevista alle terme magari a marzo, periodo di massima espansione assoluta del panciotto, che con la scusa che fa freddo hai imbottito prima di fritti misti e poi della cioccolata di Pasqua. Il guaio è che per fare la prova costume devi averla, un’idea di massima, su quando lo indosserai. Ho visto amici che abitano al sud pubblicare nelle settimane scorse i loro indimenticabili piedi ammollo che adesso sono tornati a farsi avvolgere da sciarpe rassicuranti.

Maledetto cambiamento climatico, quando dobbiamo metterci a dieta? Quando devono tornare in palestra le signore di mezza età con le cosciotte piene di buoni propositi mandati all’aria? Quando devono prepararsi a tingersi i capelli o a ritoccarsi le sopracciglia i maschioni che ormai all’idea di smaltire la pancia hanno rinunciato?

Bisogna vivere alla giornata, dicono. Carpe diem. Polo a mezze maniche in un cassetto, maglione di lana nell’altro. Infradito o stivale a seconda di come gira il tempo. Vestirsi a cipolla come scelta di vita. E in fondo, magari, il costume.
Hai visto mai che ci scappa un giro alle terme.

Il tabù del pantalone corto

Non è vero che non ci sono più le mezze stagioni. Ci sono eccome, solo che si sviluppano tutte nella stessa giornata. Prendete per esempio marzo a Bologna, città che negli anni ha sviluppato una forte tendenza alla moda prêt-à-porter da un lato e alle crisi isteriche dall’altro, perché, per ragioni meteorologiche, il cambio degli armadi va fatto cinque o sei volte l’anno.

La mattina, specie con l’ora legale che allunga i pomeriggi a discapito delle prime ore del giorno, è inverno. Non troppo rigido, per carità, ma il cappotto ci vuole. Man mano che ci si avvicina al mezzogiorno, ecco che è primavera, svegliatevi bambini. Si sta benone con una camicia, al massimo una felpa. Per arrivare così alle tre del pomeriggio in cui chi ha il condizionatore in auto lo accende, e rimanere a mezze maniche è quasi d’obbligo. Almeno fino al tardo pomeriggio quando si presenta l’autunno, senza foglie secche ma con quel vento fastidioso che si insinua tra il collo e le orecchie e ti regala una carezza dall’oltre tomba.

La soluzione è solo una: vestiti a cipolla, dicono. Che funziona per la parte superiore, certo con l’inconveniente che dopo pranzo ci vorrebbe un carrello della spesa per portarsi dietro tutto ciò che ti sei tolto di dosso, ma sotto come si fa? Non è che puoi metterti i pantaloncini della palestra sotto i jeans e voilà, sti sta più freschi. Anche perché la nostra società ha discusso per anni di quanto potesse rimanere nuda la gamba femminile, e c’erano vescovi che trovavano scandalosa la vista delle caviglie, ma nessuno ha rimosso il tabù delle gambe maschili.
Sempre rigorosamente coperte, anche a fine luglio, anche a quaranta gradi.

Uniamoci e facciamo sentire la nostra voce: libertà di pantaloncino in ufficio. Se necessario siamo disposti a depilarci. Io per stare più fresco indosserei pure una minigonna, se necessario. Con gli slip aderenti sotto, sia chiaro, che la libertà è bella ma troppa diventa anarchia.