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Bisogna saper perdere, professore

Chi vive fuori da Bologna non sarà stato più di tanto coinvolto o informato, ma domenica un referendum comunale ha interrogato la cittadinanza sulla destinazione di fondi (circa un milione e duecentomila euro) che ogni anno il Comune destina alle scuole materne paritarie. Si chiedeva se continuare a concederli a questi istituti privati, o se destinarli alla scuola pubblica. Al referendum ha partecipato il 28,71% degli aventi diritto, con la vittoria dello schieramento A che chiedeva di spostare questi fondi per la scuola pubblica che ha raggiunto il 59% contro il 41% delle risposte per il B.

Il referendum è consultivo, cioè dà alla giunta un’indicaziscuola_pubblicaone su come operare, anche se quest’ultima non è obbligata. Certo nessun sindaco si sognerebbe di ignorare il voto di circa il 17% degli elettori (specie se appartengono, come in questo caso, tutti al suo schieramento), ma Merola ha già dimostrato in passato di essere capace di stupire tutti quando si tratta di farsi del male; ma non è questo il tema di questo mio intervento.

Il tema è un altro: il referendum non ha un quorum. Infatti, nessuno, nel campo del settore B, ha mai chiesto di disertare le urne: al contrario, le parrocchie che dispongono di scuole paritarie hanno dedicato veri e propri comizi direttamente dall’altare (ad alcuni dei quali ho dovuto assistere mio malgrado), invitando a votare in massa per B, per non parlare di volantinaggi in piena volazione di silenzio elettorale. Non dimentichiamo che si schieravano per il voto B il PD, il PDL, i centristi (cambiano sempre nome, uddicì, fli, monti, insomma quelli lì), i sindacati confederati, la CEI. Praticamente tutti, con eccezione di Sel e M5S. E non dimentichiamo neanche che i seggi sono stati allestiti a volte in baite in mezzo ai boschi o centri sportivi dispersi nella tundra padana. Nonostante ciò, nonostante una campagna di tutte le televisioni locali e tutti i giornali (da quelli che hanno dedicato numeri monografici al vota B come il Carlino a quelli che si sono limitati a storcere il muso di fronte alla pochezza intellettuale del fronte dei referendari, come l’Unità), nonostante la chiamata alle armi, il “Tutti a votare”….vince A contro ogni pronostico. E allora?
Allora ecco  che un esimio professore di economia, Zamagni, da sempre schierato sul fronte dei finanziamenti alle scuole private, ci spiega che non abbiamo capito niente. Ha vinto B. Anzi, ha stravinto, tanto è vero che non solo bisogna continuare a finanziare le scuole private, ma bisogna aumentare questi finanziamenti, con il sistema dei voucher. Se non ci credete, se pensate che esageri, leggete qui.
Ora, io avevo un amico che quando la sua squadra perdeva quattro a zero diceva che era stata vittima di episodi sfortunati. Ma non era mai arrivato a dire che perdere quattro a zero è una vittoria, perché bisogna perdere almeno sette, otto a zero per poter parlare di risultato netto. Io non dispongo certo della capacità intellettuale e della cultura di Zamagni, e infatti sono rimasto folgorato dalla sua spiegazione eccellente.
Certo che ha vinto B, ci spiega l’eminente docente, perché quelli che volevano il finanziamento pubblico hanno votato, e sono il 17%, tutti gli altri vuol dire che non lo vogliono, e sono l’83%. O comunque non credono nello strumento del referendum. Straordinario. Un autentico trionfo. Come dire che a Roma un elettore su due, che si è astenuto, non crede nello strumento elettorale, perché è monarchico. O anarchico. A Roma per l’illustre Zamagni ci sarebbero più di un milione di monarchici. Ma non ditelo a Emanuele Filiberto.

Dovrò spiegare a mia figlia questo ragionamento illuminante: se hai bisogno di andare in bagno, è inutile chiederlo alla maestra, è solo uno spreco di risorse (la tua voce). Perché se lo chiedi tu, ma i diciannove compagni di classe rimangono zitti, vuol dire che la tua esigenza è minoritaria. O che i tuoi compagni non credono nella validità delle richieste alla maestra. Solo quando almeno undici, dodici compagni su venti chiederanno alla maestra che tu possa andare in bagno, allora ne avrai davvero diritto.
E voi che leggete questo post tramite Facebook, non cliccate su “mi piace”. Non serve a niente: gli utenti facebook sono oltre un miliario, come spiega l’egregio professor Zamagni ci vorranno almeno cinquecento milioni di “mi piace” perché si possa dire che questo post piace davvero a qualcuno. Altrimenti è solo uno spreco.

Un’ultima cosa voglio dirla all’insigne professor Zamagni. Lei dice che i referendari hanno sprecato mezzo milione di euro. A parte il fatto che i referendari chiesero di votare insieme alle elezioni politiche, e fu il sindaco a opporsi, spostando la consultazione a fine maggio. Ma se vogliamo parlare di costi, le elezioni politiche sono costate quasi 400 milioni di euro, e i referendum abrogativi ne costano più o meno 360 milioni. Tutti sprechi, in effetti. Meglio sarebbe che a decidere foste direttamente voi professori, sai che risparmio, oppure il papa e i vescovi, come ai bei tempi dello Stato Vaticano. Ma c’è qualcuno che è morto per garantirci il diritto di sprecare i nostri soldi così: si chiama democrazia, e vale anche quando si perde.

La Vale e il Giampi

“Vale non c’è, provo a sentire dall’Ale se può venire con la Franci e il Giampi…” scampoli di dialoghi immaginari ma neanche tanto in una qualunque città al nord di Roma. So che danno i brividi solo a riprodurli, trasudano bruttezza e superficialità. Premetto che non sopporto l’usanza dialettale settentrionale di chiamare i nomi femminili anticipati dall’articolo, lo trovo un retaggio maschilista; tuttavia spero che non scompaia perché è un’argomentazione vincente contro tutti i settentrionali che pretendono di vantarsi dell’emancipazione femminile nelle loro zone trascurano questi dettagli importanti (il linguaggio è da sempre un indicatore fondamentale della cultura di un popolo!).

Io non solo non dirò mai “la Vale”, siamo in democrazia, gli altri dicano quel che vogliono, ma non dirò neanche “Vale”: ti chiami Valentina, o Valeria, o Valebalda (?) il tuo nome ha una storia e una tradizione, perché mozzarlo in maniera così truce? Per far prima?

Ma non scherziamo, capisco uno che si chiama Domenico diventi Nico e tollero che Elisabetta diventi Elisa o Betta, ma da Alessia ad Ale risparmiamo una sillaba, suvvia! Temo che in tutto ciò ci sia la solita influenza americana: gli americani si chiamano spesso Al,Joy, Bo o Bob. Ma i loro nomi “non significano un c*zzo”, come ricorda una meravigliosa battuta di Pulp Fiction; i nostri sì, fino a quando a furia di troncarli non ne dimenticheremo l’origine…

Esmeralda: What is your name?
Butch: Butch.
Esmeralda: What does it mean?
Butch: I’m American, honey. Our names don’t mean sh*t

Ciao ciao 2004, non ci mancherai

Caro 2004,
non sei stato un anno particolarmente fortunato. La guerra in Iraq, le tempeste tropicali, i conflitti mai sopiti in Africa, il trionfo di Bush, la lenta eutanasia della democrazia in Italia e la svolta verso il regime dolce. Ma se anche tu fossi stato un anno bello, questi ultimi giorni di tragedia sarebbero bastati a rovinare il ricordo, come una pennellata sbagliata che rovina un affresco, come un retrogusto amaro che resta dopo un pranzo. Addio 2004, non ti abbiamo voluto molto bene, nè tu ne hai voluto a noi. Ci piacerebbe che con te ti portassi via la tragedia del maremoto, i conflitti, i politici interessati, le torture, le violenze sulle donne, il lavoro dei bambini. Ci piacerebbe, perché no, che ti portassi via anche la televisione deficiente dei pacchi truccati, dei reality show e dei mostri di silicone. Non è possibile, lo sappiamo, non hai valigie abbastanza capienti. Se però, prima di partire, dovessi incrociare quei cretini che pretendono di non rinunciare al viaggio alle Maldive prenotato, e che magari esigono anche la massima efficienza da parte di ristoranti e degli alberghi: se dovessi incontrate questa sottospecie di umanoidi, sputagli in faccia da parte nostra. Cosa ti costa? Tanto poi scappi via, caro 2004. Chi vuoi che venga a riprenderti?