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Sabrina Ferilli ? una cozza

Ho letto recentemente su un giornale free-press che c’è chi ha definito Sabrina Ferilli una cozza.
Chi mi conosce sa che sono un ammiratore di lunga data della signora Ferilli (spero però torni presto al cinema, le fiction – a parte Montalbano – mi annoiano). E condivido pienamente questa definizione: Sabrina Ferilli è un cozza. Lo penso e lo ribadisco perché lo ritengo un complimento straordinario. Sarà che sono nato vicino a Taranto, sarà che in fondo all’anima rimango fondamentalmente un cozzaro, ma non capisco perché dare della cozza ad una signora debba assumere un valore spregiativo.
La cozza è slanciata ed elegante nella sua figura affusolata e nera (il nero è sempre chic), non punge, non graffia, racchiude un alone di mistero, non si offre facilmente, richiede di essere dischiusa con pazienza. Quando si apre, è vero, dona tutto il suo carico di piacere straordinario. Può essere presa cruda, senza troppe precauzioni, e allora si raggiungono vette di libidine indicibile, però si rischiano tre giorni di dolori e una milza gonfia come un’anguria se va bene. Oppure si può prendere cotta, lavorata, arricchita, trasformata: è buona lo stesso, meno appassionante ma garantita da una conoscenza più approfondita.
Cosa si può dire di meglio ad una donna se non suggerirle con ammirazione che è una cozza?

Mi piace il presepe

Sarà la mia formazione religiosa, sarà che sono meridionale, sarà che preferisco l’arte tradizionale a quella contemporanea, ma il presepe mi piace tantissimo. Simpatici gli ometti di neve con la sciarpa, per carità, anche se il proprietario della sciarpa probabilmente non è della stessa opinione. Simpatiche le renne sorridenti (sorriderebbero di meno se vedessero lo zampone e il cotechino che orna le nostre tavole per non parlare del cappotto nuovo scamosciato). Anche le candeline, così romantiche, le palline sparse, i nastrini fanno la loro bella figura, non dico di no. Però, però, sono oggettini carucci ma senz’anima, decorazioni senza personalità. Babbo Natale poi prima di riacquisire un briciolo di dignità dovrebbe togliersi il vestito imposto dallo sponsor e tornare a vestirsi di verde, come era il vero Santa Nicolaus.
Il presepe è carico di anima, quella del pastore con la pecora sulle spalle, quella del mugnaio condannato da sempre sulla montagna più lontana (per via del profilo del mulino, che dona molto romanticismo al panorama,il mugnaio è condannato a stare fuori dal borgo del presepe per editto), quella del mercante sul carretto e della lavandaia materna. E poi il fiume con i fogli d’alluminio, la neve fuori posto (Betlemme non è sulle Alpi, suvvia!) Per non parlare ovviamente della Sacra Famiglia, del bue e dell’asinello, e dei poveri Re Magi, poveri perché tenuti nascosti nella credenza fino all’Epifania e tirati fuori per poche ore di celebrità. Stanno vicino al Redentore, al centro della scena, ma il pomeriggio del 6 il presepe si smonta, e a loro tocca aspettare un altro anno.
Mi piace, il presepe.