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La signora Ikea contro Mister Mondoconvenienza

ikeaStiano tranquilli gli avvocati dei due gruppi commerciali citati nel titolo di questo post, i loro seguigi a caccia di articoli che minino la reputescion o anche semplicemente gli appassionati di arredamento: non ho intenzione di parlare della qualità dei prodotti di questi due fornitori. Peraltro sono un cliente piuttosto soddisfatto di entrambi, per quanto non faccia testo perché posso spaccare il capello ed essere un cliente molto esigente quando si tratta di tecnologia, ma quando si tratta di un tavolo o di un armadio per me l’importante è che stia su.

Sono le filosofie di acquisto che ruotano intorno a questi marchi che mi interessano, l’acquirente ludico e l’acquirente funzionale di flochiana memoria.

Al cliente ludico piace fare acquisti. Gli piace mettersi in macchina il sabato mattina, ritrovarsi nel traffico della tangenziale con altre centinaia di ludici come lui, forse gli piace persino il salmone che mangia durante la sua gita al centro commerciale. Gli piace muoversi tra gli ambienti colorati, scegliere il mobile di cui ha bisogno tra una sala e l’altra e nel frattempo magari comprare posate e piatti di plastica dai colori talmente vivaci che la lavastoviglie quando li vede arrivare indossa gli occhiali da sole, curiosi ciappetti che dovrebbero servire a chiudere i pacchi ma che funzionano solo in Svezia (in Italia ce ne vogliono tre per fare il lavoro di una dignitosa molletta), marmellate fuxia che di notte diventano fosforescenti (e se ne mangiate tanta in effetti potrebbe servire come colonoscopia). È risaputo che Ikea come altre catene della grande distribuzione analoghe basino una fetta rilevante del proprio business proprio su questi accessori.

Pazienza se poi occorre portarsi a casa, due piani senza ascensore, un oggetto imballato lungo due metri e spesso 40 cm senza alcuna maniglia, che pesa dannatamente e le cui tracce nella tromba delle scale allieteranno il dibattito della prossima riunione di condominio. Pazienza se alla fine di un pomeriggio estenuante l’armadio montato in casa barcolla vistosamente e vi è avanzata una mensola e tre viti. Tanto fra una settimana è di nuovo sabato e si riparte, abbiamo giusto dimenticato di comprare due lampadine.

Al cliente funzionale il prodotto serve. Punto. Ne ha bisogno, prima arriva e meglio è: se risponde alle sue esigenze, è contento. Non ha tempo da perdere, il cliente funzionale, e non è particolarmente interessato neanche alla possibilità di scegliere tra un ventaglio di alternative diverse. Il cliente funzionale si mette al computer – ma i nostalgici del mondo analogico potranno sfogliare un catalogo riportando alla memoria i bei tempi andati di Postal Market e Vestro), verifica le misure, ordina. E include nel prezzo la consegna e il montaggio, cosicché un paio di giorni dopo due omaroni suonano a casa, entrano con l’oggetto imballato lungo due metri e spesso 40 cm (ma loro sono in due, eh!), in venti minuti l’hanno montato e messo al suo posto, si sono fatti pagare e hanno salutato.

In casa mia, l’avrete capito, Mister Mondoconvenienza sono io. Per me l’idea di fare una telefonata e avere qualcuno che mi risolve il problema senza impicci è un lusso a cui non so rinunciare. Ovviamente la signora Ikea è mia moglie, che invece trova assurdo spendere qualche decina di euro per la consegna e il montaggio quando possiamo fare da noi (e usarli magari per comprare i maledetti piatti e ciappetti psichedelici). Magari in un’altra coppia le parti si invertono; oppure ci sono coppie che pascolano felici per l’Ikea mano nella mano con il carrello pieno di caramelle al lampone. Non lo so, ma ho la sensazione che l’ipotesi funzionale (o pigra, se vogliamo dirla tutta) sia molto maschile, e quella ludica molto femminile. Tranne il caso patologico di quei viri dal petto villoso che si comprano tre assi di legno e una motosega perché pensano di costruirsi la camera da letto da soli (che però mi pare una moda decisamente in calo).

PS Ovviamente i mobili potete ordinarli online o farveli montare anche dall’Ikea, così come potete visitare un negozio di Mondoconvenienza e andare a ritirare la merce al magazzino. Ma è qualcosa di intrinsecamente innaturale, come festeggiare l’addio al celibato a Parigi e andare in viaggio di nozze ad Amsterdam. Non si fa.

Io non odio Ikea

Immagine tratta dal sito Ikea

Io non odio Ikea per i suoi mobili montabili. In fondo montarli può essere divertente se si supera l’angoscia della vite che avanza – e non dovrebbe – e la si nasconde in fretta in un cassetto.

Io non odio Ikea per le sue librerie, che si adattano agli ambienti e permettono di sfruttare bene gli spazi.

Io non odio Ikea neppure per i suoi menù al salmone o le bevande gassate ai mirtilli (sebbene un italiano che mangia in un ristorante svedese è uno dei segni ineludibili dell’avvicinarsi dell’apocalisse come le automobili di lusso indiane e gli svizzeri campioni di vela).

Io non odio Ikea perché ritira dal mercato seggiolini che si sganciano o tende che rischiano di decapitare gli ospiti: certo sarebbe meglio non sbagliare, ma ammettere i propri sbagli è segno di maturità.

Io odio Ikea per le posatine colorate, i bicchierini fosforescenti, le scatoline, le lampadine, le ciotoline e  tutto ciò di piccolino che scivola lascivamente nelle borse delle mogli che partono con l’idea di farsi un giro (con la tranquillità dei mariti che sanno che FRAMSTA o KLINGSBO non ci stanno agevolmente nel carrello) e tornano “senza aver comprato quasi niente”.

E’ in quell’avverbio “quasi” che si concentra il mio odio per Ikea.

Ahia che male

Il giovane papà, tra il primo e il quindicesimo anno di vita si è fatto male in praticamente ogni centimetro del proprio corpo, dalla testa alla punta dei piedi.
E se li ricorda ancora i rimproveri e le sconsolate scrollate di spalla dei genitori che lo portavano al pronto soccorso. E consapevole che qualcosa di quella naturale predisposizione all’infortunio può essere passata alla figlia, cerca di incollare ovunque orribili para spigoli dell’Ikea che quando gli stacchi ti rimane un pezzo di legno in mano (ma quando fanno i paraspigoli gli svedesi dimenticano il materiale con cui hanno fatto gli spigoli? Mah…), sparge tappeti ovunque, propone giocattoli di gomma e stoffa.
Come il padre ex-alcolista che impedisce ai figli di assaggiare lo spumante a capodanno, così io vorrei un mondo dove è impossibile farsi male. Per il momento, inciampando sui giocattoli e lanciandomi dai divani, quello che si fa male continuo ad essere io, e per una volta sono contento di incerottarmi.

Ci vediamo all’angolo salotti

Una volta avevamo il rito della domenica pomeriggio. Celebrato da film e canzoni, rappresentava il trionfo della mascolinità distratta nel resto della settimana: (riuniti in circoli, salotti, club, automobili (quando l’autoradio era un lusso, sembra ieri) e, i più fortunati, negli stadi, ci si incontrava per il rito del campionato di calcio. Chiave di accesso a quel mondo era la schedina, ripiegata nel portafogli, che ostinatamente per i più si fermava all’11, esitante sulle soglie dell’orgasmo. Quel mondo non c’è più: dilatato nell’anticipo, nel posticipo, nella Champions, nelle dirette criptate, oggi chi volesse seguire il campionato di calcio con gli amici dovrebbe trascorrere con loro tutta la settimana. Troppo, decisamente.
Non ci resta che fare come le donne, e vederci per fare shopping all’Ikea.
L’importante è non farsi scoprire mentre si piange di malinconia sulla libreria in faggio laccato.

British tales

Gli inglesi – pardon: i britannici – non sembrano particolarmente interessati alla notizia dell’eterno principe che si risposa con Camilla. Tutto sommato è una cosa che risulta ovvia a tutti, poi, diciamoci la verità, Qui se resemble s’assemble, i due sono una bella coppia proprio nella loro ostentata bruttezza. Chi non pensò – siate sinceri – quando Carlo sposò Diana che lei era troppo bella e troppo giovane per lui? Chi non si chiese come mai quella fanciulla bella, elegante, intelligente si fosse innamorata di un uomo non proprio aitante ma di buona, buonissima famiglia? Allora si poteva insinuare. Oggi no, cavolo, se Carlo vuole stare con Camilla non può che essere per amore, non vedo altre spiegazioni. E allora che si sposino e siano felici, questi due nonnetti, anche perché ormai figli non ne possono certo avere, e questa è la buona notizia per i sudditi reali. Che però hanno altro a cui pensare: non solo seguire le vicissitudini più interessanti dei coniugi Beckham (e come dargli torto, nell’era dell’immagine) quanto picchiarsi e accoltellarsi a mezzanotte per l’apertura di un nuovo negozio Ikea dove – si dice – facciano degli sconti eccezionali sulle lampade da tavolo. Saperlo prima prendevo un areo low-cost e ci facevo un salto…