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Come si scrive una fiction – terza puntata

Siamo arrivati alla terza puntata, e possiamo occuparci dei comprimari, degli attori di secondo piano.
Facendo riferimento al protagonista abbiamo già detto che incontrerà una donna bellissima che si innamorerà di lui praticamente in ogni puntata.
Poi ci sarà l’assassino, l’unico ruolo per il quale non ci sono preferenze di genere, con l’unica eccezione di evitare se possibile assassini anziani. Le fiction le guardano soprattutto i vecchi, e non vorrete mica mettere strane idee. I boss di terza età sono sempre saggi e prudenti, sono le nuove leve che fanno le ammazzatine, tenetelo presente. E poi un assassino vecchio è patetico.
Tutto ciò riguarda personaggi che appaiono in un singolo episodio; ma siccome nella fiction poliziesca ci sono anche elementi seriali, vediamo di disegnare anche quelli. Gli assistenti dell’eroe maschio sono quasi sempre maschi anche loro, però una donna in gamba non guasta, specie se mette un po’ di pepe sulla guerra dei sessi e se soprattutto è un po’ innamorata anche lei dell’eroe superfigo.
Poi ci vuole uno zuccone, di solito di grado inferiore, che con la sua lentezza di compendonio metterà in luce quanto sia astuto invece il protagonista, che capisce tutto e glielo deve spiegare.
Se la vostra fiction strizza l’occhio alla commedia, come succede spesso, ci vorrà anche la macchietta: il personaggio ridicolo messo lì solo per far ridere. La macchietta non viene quasi mai coinvolta dalle storie, è un usciere, un portiere, un collega particolarmente stupido e ripetitivo nelle sue gag. Al pubblico piacciono le ripetizioni, abituatevi ad accontentarlo.
Se volete, poi, potrete inserire il deus ex-machina. Personaggio odiato dagli scrittori seri, è invece uno strumento essenziale per gli sceneggiatori dimezza tacca perché risolve un sacco di problemi. Il deus ex-machina è un personaggio quasi sempre simpatico che sa tutto di tutti: una anziana pettegola, una parrucchiera, un autista. Un personaggio quasi sempre di umili origini che però dà all’eroe quel dettaglio, quell’osservazione che gli permette di risolvere il caso. Il deus ex-machina è uno stratagemma per uscire da storie complicate e risolverle in quattro e quattr’otto. Non siate snob, potrà esser comodo ricorrervi; magari non tenetelo nella squadra ufficiale, ma usatelo solo negli episodi che servono.

10.000 a.C.

Ecco un film che non dovete assolutamente perdervi, forse il più divertente dell’anno. Il consiglio sincero però è quello di vederlo con amici o conoscenti, perché avrete bisogno di qualcuno che testimoni che ciò che state vedendo è vero e non il frutto di allucinazioni.
Ho riso per due ore fino alle lacrime, ma purtroppo per gli autori, questo non vorrebbe essere un film comico. Dovrebbe raccontare le leggendarie gesta di un popolo di rasta giamaicani che vivono in una specie di Groenlandia fatta di fondi del desktop (forse il Kilimangiaro, ma se vi state ponendo queste domande non avete capito che genere di film vi aspetta) diecimila anni avanti Cristo. Ovviamente esistono mammuth e altre specie che secondo gli scienziati si sarebbero estinte qualche decina di migliaia di anni prima, ma questi sono dettagli. Il popolo fricchettone – la cui tecnologia non ha conosciuto n’è l’età del bronzo nè quella del ferro e arriva a qualche lancia di osso e qualche corda – è costretto a lasciare il suo paese per seguire dei predoni che li condurranno in Egitto.
Qui gli sceneggiatori osano l’impensabile perchè arrivano a mostrarci mammuth guidati da uomini che trascinano i massi ecessari a costruire le piramidi sotto l’occhio vigile di un re extraterrestre.
Aggiungete alla storia una voce fuori campo tronfia e alcuni momenti letteralmente indimenticabili come quando l’eroe uccide un mammuth perché la bestia inciampando si conficca da sola la lancia in petto (nessun dubbio che si siano estinti se erano così stupidi) e avrete il fim più demenziale, stralunato e delirante degli ultimi dieci anni. Non occorre essere degli storici o degli antropologi per rimanere allucinati dalla faccia tosta con cui gli autori stravolgono le nostre conoscenze (ma in fondo è una favola e va presa come tale, con la stessa accuratezza scientifica di Cappuccetto Rosso). Ma non occorre nemmeno aver studiato semiologia del cinema per rendersi conto che chiamare il grande capo, il guerriero a cui tutti fanno riferimento “Tic Tic” è veramente masochistico, così come avere un personaggio che si chiama Pago che va in giro ripetendo “Io Pago… Io Pago” dimostra che anche i curatori della versione italiana non hanno un master alla Sorbona. Oppure ce l’hanno e ci stanno prendendo per i fondelli. In ogni caso, aspetto il sequel in cui mi aspetto la comparsa di Zorro tra i Babilonesi e la lotta dei gladiatori nel Colosseo contro i dinosauri.

La pubblicit? rotonda il nonnetto mi sfonda

In questi giorni Bologna ? presa d’assedio dai pettorali dell’Arcuri. Con una campagna pubblicitaria aggressiva come non ne ricordavo da tempo, la Manuelona mostra il suo straripante davanzale agli automobilisti con una serie di cartelloni sparsi per la citt?.
Non solo i tradizionali 6×3, posti nelle posizioni strategiche per generare maxi tamponamenti: ma anche una sfilza di cartelli pi piccoli, appesi uno dietro l’altro, cosicch? se ti perdi il primo c’? il secondo, e poi il terzo, e poi il quarto, quasi a sperare che ci sia, come dire, un’evoluzione nell’abbigliamento intimo della soubrette.
Ebbene, la domanda che mi ronza in testo da qualche tempo ?: ma questi manifesti, hanno successo anche sulle donne, che poi sono il target primario delle campagne? A meno che non si rivolgano agli uomini affinch? regalino quella biancheria alle loro compagne (ma mi sembra contorta come strategia di marketing), non me li spiego.
Anche perch? io avr? visto decine di volte il manifestone dell’Arcuri (non sono un maniaco, giuro, ma ? davvero ovunque), e nemmeno mi ricordo che marca di lingerie pubblicizza. L’occhio umano seleziona, ed evidentemente quello maschile in questi casi non si sofferma sul marchio.
E quello femminile? Care lettrici, voi comprate la biancheria perch? la reclamizza l’Arcuri mezza nuda? Se ? cos?, i pubblicitari hanno ragione. Se non ? cos?, ditegli di smettere, prima che un vecchietto abbia un coccolone e mi finisca addosso con la macchina…

Mamma li videogiochi!

In questi giorni si è tornato a discutere di videogiochi in seguito ad un’inchiesta di Panorama che puntava in particolare il dito contro Rule of Rose, un gioco sadico e violento.
Ora, a parte qualche precisazione (il videogioco è vietato ai minori e la protagonista non è una bambina ma una diciannovenne), non ho motivo per dubitare che si tratti di una porcheria. Non lo conosco, ma leggo che si tratta di un gioco che mescola orrore, sadismo, violenza, strizzando l’occhio alla pornografia senza mai avvicinarsi, come tipicamente fanno i prodotti giapponesi.
Ma il punto è un altro: parlamentari, consumatori e benpensanti uniti hanno cominciato a scagliarsi contro il videogioco, regalandogli una visibilità insperata. Ma perché queste stesse anime pie non fanno lo stesso anche contro i giornali, i film, i romanzi e la televisione che veicolano gli stessi contenuti?
Per il vetusto luogo comune per cui i giochi, in specie quelli elettronici, sono per bambini. Non è così. Il gioco è altro da sé, è finzione, e fingere di essere quello che non si è, e di ciò si ha bisogno sempre, non solo da bambini. Sono d’accordo che certi estremi vanno censurati, perché neanche un adulto ha il diritto ad accedere, per esempio, a contenuti pedopornografici, neppure se sono virtuali.
Però ricordiamoci che è un gioco, e se sparo ad un astronave, sfascio un palazzo o investo un passante in un videogioco, non vuol dire che lo farò anche nella vita reale.
C’è un gioco antico in cui si uccide la moglie del rivale, se ne distruggono torri e cavalli, si massacrano i suoi soldati e i suoi uomini di fiducia. E però non venite a dirmi che tutti i giocatori di scacchi sono guerrafondai, suvvia…

Librincontro, Bologna, 25 giugno 2004

Con l'incredulo amico Andrea Antonazzo
Con l’incredulo amico Andrea Antonazzo

Siamo onesti: qualcosa non ha funzionato. Dalla città in cui vivo, e in cui ho sinora venduto più copie, era lecito attendersi qualcosa di più. Non che la presentazione sia andata male: io me la sono spassata e e (dicono) anche i partecipanti.

Anzi, le partecipanti. Che però, come dire, non erano numerosissime. Colpa dell’orario, del caldo, degli impegni, dell’effetto serra. Apriamo il dibattito? Non è il caso. La verità è che io di presentazioni a Bologna ne tengo ogni giorno: alla macchinetta del caffè in ufficio, in casa mia, a casa di altri, la sera in pizzeria, in autobus. C’è stato, come dicono i mass-mediologhi, un effetto sovraesposizione.

Anche se non molto numeroso, il pubblico è stato tra i più competenti: ad occhio e croce, senza entrare nei dettagli per questioni di privacy, c’erano una decina di lauree almeno in sala. Giovani, colte, interessate e interessanti: come insegna la teoria della comunicazione di massa, alla presentazione di Bologna, diciamolo pure, c’erano delle opinon leader che già staranno diffondendo il messaggio del mio romanzo in giro per il mondo. E se il medium è il messaggio, permettetemi di dire che ho delle gran belle medium!!!Alla faccia dei maschietti che non sono venuti.

A parte Andrea Antonazzo, conduttore di Vurp la domenica sera su Radio Città 103, c’era anche, dietro l’occhio della videocamera, il valente Francesco Lenoci, che approfitto per ringraziare.

PS Se qualcuno cerca il libro, mandatelo alla Libreria Librincontro, via San Vitale 4!