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Sabato pomeriggio -prima parte

Il giovane papà sa che rinunciare al sabato pomeriggio è uno degli atti che il suo ruolo prevede e che gli garantirà la retta dell’ospizio in cui la figlia lo rinchiuderà prima del previsto.
Per cui offre alla giovane mamma la possibilità di uscire per distrarsi, garantendo di occuparsi della piccola. Cosa vuoi mai che accada, si chiede il giovane papà? Illuso. Me ne starò sul divano a leggere il giornale mentre la piccola dorme. Povero illuso. La bimba comincia a lamentarsi appena la giovane mamma ha chiuso il portoncino. Il colorito roseo modello angelo caduto dal cielo viene sostituito da uno rosso tendente al bordeaux modello angelo caduto dal cielo e atterrato di faccia. Il giovane papà spera che basti il succhiotto a calmare la pargola.
Povero patetico illuso. La piccola, dopo un attimo di esitazione, si guarda intorno e espelle l’innocuo oggetto di plastica con aria di disappunto e un tantino snob. Non può avere fame, ha mangiato da pochi minuti. E il ruttino? Ha fatto anche il ruttino. Allora è aria. La solita, maledetta, insopportabile aria. Indispensabile per vivere, ma quando ce l’hai nell’intestino, è veramente rognosa. Il giovane papà la mette lunga distesa a pancia in giù. Un minuto di silenzioso rispettoso, poi di nuovo urla. Dondolarla, occorre dondolarla. Non basta. Allora in piedi di fronte, in piedi di spalle, verso l’alto, verso il basso, scuotere con dolcezza ma decisione. Niente. Povero patetico illuso e un po’ scemo. Massaggio: un bel massaggino alla pancia. E poi magari la bicicletta, muovere cioè la gambine su e giù, di solito le piace.
La piccola ha un sussulto, sembra tranquillizzarsi. Forse ce l’ho fatta, adesso torno sul divano. Povero, patetico, illuso, un po’ scemo e tonto. L’odore è nauseabondo, arriva dritto come un colpo di karate in mezzo allo sterno, ti scuote i sensi e per un attimo ti fa perdere i contatti con la realtà.
La bimba ha fatto pupù. (continua)

Felicit?…

Tra le tante definizioni più o meno valide di felicità, c’è quella che spiega che nessuno è più felice di chi ritrova qualcosa che aveva perso. In fondo è il concetto evangelico della pecorella smarrita: più prosaicamente, ci si ripete che invece che desiderare qualcosa che non abbiamo dovremmo concentrarci sulle ricchezze che già possediamo per essere lieti. Oggi ho vissuto dieci minuti di felicità. Arrivato in ufficio mi sono accorto di essere senza portafoglio. Per carità, non porto mai contante nè ho carte di credito: ma chi ha perso la patente (a me capità una decina di anni fa) sa che tra carabinieri, motorizzazione, denunce e foglie provvisori in Italia è più facile procurarsi un passaporto falso che rifarsi una patente vera. Per cui, ho vissuto davvero il dramma della perdita, già mi vedevo in fila da qualche parte privo dei miei documenti, della mia identità, magari imbarcato in un aereo con qualche povero clandestino diretto in Romania. Invece il portafoglio era sotto il letto. Felicità. Felicità. Me lo accarezzo, ci guardo la patente sgualcita e la carta d’identità rifatta da poco, e sono felice.

È proprio vero che l’inizio e la fine della nostra vita sono segnati, ma sta a noi decidere se congiungerli con una frettolosa linea retta o goderci gli sbalzi di alti e bassi…