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Quo vadiz, baby?

Salvatores torna al cinema di “genere” e questo è un bene per un cinema italiano che si inaridisce nei canoni ritriti della commedia. Il genere stavolta non è rischioso come per Nirvana di qualche anno fa (la fantascienza) ma è comunque impegnativo, il noir psicologico. Come al solito è un maestro nel muovere la cinepresa, nel dirigere gli attori, nel calibrare il linguaggio con toni ora drammatici ora ironici. Come spesso, però, ne è troppo consapevole, induce nella cinefilia, nel gusto della citazione autocompiaciuta, esagerando talvolta sino che scadere in passaggi di lirismo velleitario (soprattutto nelle riprese della defunta protagonista troppo velina per l’88 e quel suo insopportabile “Roma è come una pxxxxna, bla bla) e nella fotografia calligrafica a buon mercato (so benissimo mio malgrado che Bologna è una città piovosa e cupa ma questa sembra la Londra di Jack lo Squartatore).
Tra alti e bassi è soprattutto la sceneggiatura a incespicare: non ho letto il romanzo da cui il film è tratto, ma le coincidenze e i passaggi poco naturali sono troppi per farsi perdonare, e i colpi di scena sono imprevedibili come una pernacchia nei film di Pierino. In sintesi, caro Salvatores, bene la sperimentazione, bene gli attori (tutti bravi, dalla protagonista ai ruoli minori), bene le musiche. Bene anche aver visto tanti film e aver studiato tanto. Però non c’è bisogno di ricordarcelo ad ogni inquadratura…

Felicit?…

Tra le tante definizioni più o meno valide di felicità, c’è quella che spiega che nessuno è più felice di chi ritrova qualcosa che aveva perso. In fondo è il concetto evangelico della pecorella smarrita: più prosaicamente, ci si ripete che invece che desiderare qualcosa che non abbiamo dovremmo concentrarci sulle ricchezze che già possediamo per essere lieti. Oggi ho vissuto dieci minuti di felicità. Arrivato in ufficio mi sono accorto di essere senza portafoglio. Per carità, non porto mai contante nè ho carte di credito: ma chi ha perso la patente (a me capità una decina di anni fa) sa che tra carabinieri, motorizzazione, denunce e foglie provvisori in Italia è più facile procurarsi un passaporto falso che rifarsi una patente vera. Per cui, ho vissuto davvero il dramma della perdita, già mi vedevo in fila da qualche parte privo dei miei documenti, della mia identità, magari imbarcato in un aereo con qualche povero clandestino diretto in Romania. Invece il portafoglio era sotto il letto. Felicità. Felicità. Me lo accarezzo, ci guardo la patente sgualcita e la carta d’identità rifatta da poco, e sono felice.

È proprio vero che l’inizio e la fine della nostra vita sono segnati, ma sta a noi decidere se congiungerli con una frettolosa linea retta o goderci gli sbalzi di alti e bassi…