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Delusione Coliandro (prima parte)

Non c’è nessuno che sappia meglio esprimere la delusione quanto un fan della prima ora deluso.
MI riferisco al primo episodio della terza serie de L’ispettore Coliandro, a mio modo di vedere il peggiore di quelli sin qui trasmessi. E per me, che ho amato questa fiction come poche in passato, è stato quasi doloroso assistere ad un episodio di una mediocrità imbarazzante.
Ci sono almeno una quarantina di motivi per cui non amo la regia dei Manetti Bros, primo fra tutti il peccato originale di tutti i registi presuntuosi, e cioè l’interruzione della sospensione di incredulità. Quando guardi un loro film, cioè, ad un certo punto capisci che stai guardando un film, a causa di una carrellata virtuosistica o di una steadycam fuori luogo. Ma loro sono fatti così, prendere o lasciare, e bisogna ammettere che sono al di sopra della media degli sceneggiati televisivi,sopratutto sono tra i pochi a saper gestire una scena d’azione sulla scia non tanto di Tarantino, citato spesso a sproposito, quanto dei migliori poliziotteschi anni settanta di Di Leo. Ma non sono stati loro a deludermi, anche se inscenare una rapina ad un portavalori sulla salita che porta a San Luca può risultare estremamente inverosimile per chi conosce Bologna. Ma immagino che sia costato meno girarla lì (di fatti è una strada praticamente deserta nei giorni feriali), e poi i portici fanno scena, e pazienza. Poi non li amo perché riempiono sempre i loro episodi di attori e intrepreti romani: risulta veramente insopportabile che in una serie ambientata a Bologna praticamente non ci siano bolognesi fra gli interpreti principali. Ma questo valeva anche per gli episodi precedenti.
A deludermi profondamente stavola è stata la sceneggiatura, da sempre il punto di forza di questa serie. (continua)

Sabato pomeriggio -prima parte

Il giovane papà sa che rinunciare al sabato pomeriggio è uno degli atti che il suo ruolo prevede e che gli garantirà la retta dell’ospizio in cui la figlia lo rinchiuderà prima del previsto.
Per cui offre alla giovane mamma la possibilità di uscire per distrarsi, garantendo di occuparsi della piccola. Cosa vuoi mai che accada, si chiede il giovane papà? Illuso. Me ne starò sul divano a leggere il giornale mentre la piccola dorme. Povero illuso. La bimba comincia a lamentarsi appena la giovane mamma ha chiuso il portoncino. Il colorito roseo modello angelo caduto dal cielo viene sostituito da uno rosso tendente al bordeaux modello angelo caduto dal cielo e atterrato di faccia. Il giovane papà spera che basti il succhiotto a calmare la pargola.
Povero patetico illuso. La piccola, dopo un attimo di esitazione, si guarda intorno e espelle l’innocuo oggetto di plastica con aria di disappunto e un tantino snob. Non può avere fame, ha mangiato da pochi minuti. E il ruttino? Ha fatto anche il ruttino. Allora è aria. La solita, maledetta, insopportabile aria. Indispensabile per vivere, ma quando ce l’hai nell’intestino, è veramente rognosa. Il giovane papà la mette lunga distesa a pancia in giù. Un minuto di silenzioso rispettoso, poi di nuovo urla. Dondolarla, occorre dondolarla. Non basta. Allora in piedi di fronte, in piedi di spalle, verso l’alto, verso il basso, scuotere con dolcezza ma decisione. Niente. Povero patetico illuso e un po’ scemo. Massaggio: un bel massaggino alla pancia. E poi magari la bicicletta, muovere cioè la gambine su e giù, di solito le piace.
La piccola ha un sussulto, sembra tranquillizzarsi. Forse ce l’ho fatta, adesso torno sul divano. Povero, patetico, illuso, un po’ scemo e tonto. L’odore è nauseabondo, arriva dritto come un colpo di karate in mezzo allo sterno, ti scuote i sensi e per un attimo ti fa perdere i contatti con la realtà.
La bimba ha fatto pupù. (continua)

Il cd brul? di Elio e le Storie Tese

Ieri sera ho comprato un cd e, devo ammetterlo, era da tanto che non accadeva.
L’ho comprato perché l’idea è semplice ma geniale, ed è una risposta alle case discografiche che si piangono addosso: il cd brulè di Elio e le Storie Tese. Appena finito il concerto, infatti, ci si può recare presso una bancarella con le magliette del gruppo (bellissima quella con la scritta “Autoerotismo” oltre che al doveroso tributo a Mangoni), e comprare a 12 euro un cd contenente le prime dodici canzoni… di quella sera.
Un live qualitativamente impeccabile, in cui ti riascolti,grazie a masterizzatori possenti e ottimi microfoni, lo spettacolo (o meglio la prima parte) a cui hai appena partecipato. Elio e le Storie Tese (a proposito, almeno una volta nella vita bisogna guardarli dal vivo) lo fanno già da tempo, ma solo ieri ho potuto testimoniare che l’iniziativa è davvero buona. Anche se merita una riflessione: se io ho ricevuto direttamente dai musicisti un cd con un’ottima resa e qualità audio (lontano anni luce dai bootleg di una volta) spendendo poco più di dieci euro e senza l’intermediazione di editore, produttore, direttore marketing, fonico, manager…
Siamo sicuri che tutta sta gente serva davvero?

…ma la tua festa, c’anco tardi a venir, non ti sia grave

Ieri per molti ragazzi ci sono stati gli esami di scuola media. I primi veri e propri esami, visto che quelli della scuola elementare sono stati cancellati per non “stressare” i pargoli. (come se essere circondati da genitori ossessivi con il senso di colpa e la sindrome dell’amico non fosse uno stress peggiore: ma questa è un’altra storia).
Ho nostalgia degli esami.
Gli esami erano bianco e nero, dentro o fuori. Sapevi il giorno in cui ti toccava, ti preparavi, avevi l’adrenalina a mille ma poi il gioioso svacco di dopo, un piacere difficile da recuperare. Gli esami davano un risultato certo, magari ingiusto, ma c’era. L’opaco grigiore del mondo del lavoro, invece, fatto di valutazioni strategiche, aspettative crescenti, investimenti sulla produttività, ti inaridisce giorno dopo giorno. Come un liceo che non sai quando dureraà: cinque anni, forse sette, forse trenta. Dipende dal mercato, dalla congiuntura economica, dal consiglio di amministrazione. Mai un bel voto, mai uno cattivo: tu pensi di aver superato un esame, ma in realtà bluffavano, quella era solo la prima parte, poi ci sarà la seconda, poi forse una terza.
Ho nostalgia del bianco e nero, del dentro o fuori.
E soprattutto di quello svacco del giorno dopo che ormai non arriva più…

Tu la conosci Claudia?

Un fiasco prima o poi capita anche ai migliori. Solo che Aldo Giovanni e Giacomo c’avevano già regalato un mediocre “La leggenda di Al..” per cui ci si aspettava una ripresa, e invece. Invece Mi presenti Claudia è il più brutto film dei tre comici, ha tutti i difetti dei precedenti (regia artigianale, personaggi macchiettistici, colpo di scena a tutti i costi) senza averne le qualità (brio, ritmo, colonna sonora). I tre sono sempre gli stessi, il pignolo, il grezzo e il timido, ma questo non è un problema: anche Totò interpretava sempre se stesso. Semmai il problema è che mentre Totò viaggiava nel tempo e nello spazio cambiando continuamente contesti, sperimentava senza paura di rischiare, si confrontava con altri attori straordinari, guardava sempre ciò che gli accadeva intorno, i nostri tre si sono rinchiusi nel loro mondo di quarantenni che non hanno volgia di crescere e ci propinano per l’ennesima volta la solita minestra dell’amore conteso. La povera Cortellesi è ridotta a comparsa, fa quel che può nei panni del personaggio più logoro mai visto negli ultimi anni – Vanzina e co. esclusi – ma proprio non funziona, e persino Ottavia Piccolo è ridotta al turpiloquio più inutile (almeno De Sica fa ridere, qui siamo proprio alla parolaccia per mancanza di idee). Tutta la prima parte è una sequenza di stucchevoli sequenze con musica malinconica insopportabile sul mondo difficile dei quarantenni borghesi milanesi, con l’unica eccezione di Aldo che se non altro anima un po’ con il personaggio del tassista (ma che idea! Ma dove li pescano?). Finalmente c’è un po’ di vita quando i tre tornano a fare se stessi nel viaggio (aldo al volante, Giacomo dietro e Giovanni che borbotta accanto): la malinconia per tre uomini e una gamba diventa fortissima, ma questa è solo una sbiadita fotocopia ricca solo di turpiloquio e deja vù, con Aldo che ricorre persino al “miii, non ci posso credere..:” per ricordarci che è sempre lui e non una controfigura. Si arriva così al finale che dovrebbe essere imprevedibile e che invece risulta l’ennesimo buco nell’acqua di una scenggiatura imbrazzante e dilettantesca.
Se non avete ancora visto Mi presenti Claudia, non fatelo: piuttosto noleggiate Chiedimi se sono felice, quello sì che era un film. Se invece volete spendere un’ora e mezza di noia e volgarità con quelli che sono stati tra i milgiori comici italiani, fate pure. A me non resta che sperare che i tre finalmente si affidino ad un regista che sappia valorizzarli e ad uno sceneggiatore che porti qualche idea nuova. Perché questa minestra riscaldata comincia a puzzare di andato a male…