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Sanremo 2024: le pagelle ai testi

Anche quest’anno mi accingo alla mia analisi critica di Sanremo, che però trascura completamente le melodie, gli arrangiamenti e l’esecuzione, per i quali non ho alcuna competenza che mi consenta di esprimere un giudizio che valga la pena condividere. Mi concentro sull’uso delle parole, alle quali, dopo tanti anni di scrittura, ho cominciato ad affezionarmi.

“Fino a qui”. Alessandra Amoroso

Ci si sono messi in dieci per scrivere la storia tragica di un suicidio, con un testo non particolarmente originale ed evidentemente al servizio della melodia.

È vero che la vicenda è ambientata in piena notte, ma un freddo cane a Roma può sentirlo solo una salentina. Come se non bastasse poi arriva anche il vento e il temporale. Mettiamo che sia tutta una metafora, però buttarsi giù da un grattacielo sarebbe stato più credibile da Milano.  Per scrivere questa canzone senza infamia e senza lode ne bastavano un paio di autori.

Voto 6

“Vai”. Alfa

Canzoncina innocua piena di buoni propositi e voglia di vivere, peccato per quell’espressione usurata, “il cielo sarà il limite”, traduzione italiana di una frase idiomatica anglosassone molto usata sia nella musica che nella pubblicità. A un certo punto si cita addirittura Icaro, considerando il livello medio questo ragazzo è praticamente un intellettuale. Speriamo in futuro legga qualcosa di più rispetto ai Baci Perugina e alle citazioni sul muro alla fermata del tram.

Voto 6

“La noia”. Angelina Mango

Una canzone dedicata alla noia che finisce per adagiarsi su questo sentire, visto che i concetti chiave sono ripetuti più volte. Carino l’uso di termini stranieri con tono sarcastico quali business e princess, per non parlare della cumbia della noia del ritornello. Oltre tutto la frase  “Una corona di spine sarà il dress-code per la mia festa” è molto efficace, peccato solo per quelle notti bruciate che puzzano tanto di frase fatta.

Voto 6,5

“Sinceramente” – Annalisa

Innamorarsi e soffrire per uno che spegne sigarette sul velluto blu è francamente un po’ troppo, persino per una canzoncina orecchiabile scritta per le radio commerciali. Per fortuna la tizia della storia non si sogna di tagliarsi le vene per questo campione però piange, caspita se piange. La storia finisce con “sinceramente tua”. Per lo meno noi speriamo finisca perché soffrire per uno così pesante, ragazze mie, non è proprio il caso.

Voto 6,5

“La rabbia non ti basta” – BigMama

Canzone impegnata ma non troppo, nel senso che si parla di bullismo: “È facile distruggere i più fragili, colpire e poi affondare chi è solo, copri le lacrime segreti da tenere, non farti scoprire, lo sai che a casa non devono sapere, cosa dovrai dire”, però l’impressione è che le manchi il coraggio di fare un passo avanti, di denunciare, di non nascondersi dietro una prosa priva di intuizioni e immagini efficaci. Insomma, ottime intenzioni, esiti così così. La rabbia non ti basta, infatti servirebbe anche un po’ di inventiva.

Voto 5

Governo punk” – Bnkr44

“Scrivo dentro un garage, la mia testa è un collage” è una frase che grida vendetta, una rima che da sola meriterebbe un tre in pagella. Dicono di ascoltare i Queen e i Blur, ci provano anche a essere spiritosi “in provincia la nebbia è la stessa dal 2003”, ma poi scivolano di nuovo in un paio di passaggi da dimenticare in fretta, come quel lavarsi i denti con il gin o quell’anno che verrà me ne vado un anno al mare. Anche citare richiede rispetto, quando si scrive maluccio. Riprovateci, e magari andatevelo a studiare davvero, il punk.

Voto 4,5

“Diamanti grezzi” – Clara

Purtroppo anche questo testo fa tombola quando si tratta di individuare i luoghi comuni del pop italiano: c’è il correre a fari spenti, ci sono le ali spezzate dalle ferite, c’è persino la frase a effetto che cercheremo di dimenticare in fretta (“L’amore è una sala slot”: nel senso che è pieno di anziani ludopatici? Chissà, meglio l’amicizia allora).

Il ritornello torna spesso su un concetto: siamo diamanti grezzi, cadono in mille pezzi. Figlia mia, se cadono in mille pezzi non erano diamanti, ma volgari imitazioni. Un po’ come questa canzone acerba.

Voto 5

“Onda alta” – Dargen D’Amico

“Sta arrivando, sta arrivando l’onda alta, stiamo fermi non si parla non si salta”. Il bello della musica leggera è che, quando è scritta bene, disvela un universo in poche strofe. E questa canzone è scritta dannatamente bene. Non tanto per i contenuti, perché affrontare una tematica sociale come l’immigrazione e i morti in mare non è una scelta vincente, se poi non sai portarla a compimento. Invece il brano è un susseguirsi di lampi che illuminano il dramma: siamo più dei salvagenti sulla barca. Cos’altro c’è da aggiungere? Peccato solo che il testo scivoli un po’ nel moralismo quando lascia la burrasca in mare e si sposta nelle nostre città “Come faccio a volere una vita in incognito. Se parlo solo di me? Se basta un titolo a fare odiare un intero popolo?” anche perché non è che si diventa razzisti per un titolo, basta molto meno. “Tutta questa strada per riempire un frigo” è la frase più triste dell’intera manifestazione, altro che ragazzotti che blaterano per un amore finito.

Voto 9

“Ti muovi” – Diodato

Diodato è un artista d’altri tempi, un cantautore che non cerca di stupire con effetti speciali, non azzarda rime o metafore fuori contesto. Il risultato finale però sa di compitino senza troppa passione sull’ennesima storia d’amore finita male. Si può fare di meglio, su, se esiste una parte che crede ancora sia possibile tanto vale farla emergere, no?

Voto 6 +

“Apnea” – Emma

“Se avessi un telecomando non ti cambierei mai”.  L’essenza del pop è tutta qui, sentimenti condivisi, immagini efficaci. La storia è sempre la stessa, la relazione è in bilico per colpa di lei, lui però ha occhi che uccidono e le toglie il rispiro (ah, il bello e impossibile torna sempre). Si incontrano per i corridoi, lei gli chiede se si ferma tutto il week-end e se vuole fare tutto con lei. Insomma, non un inno all’indipendenza femminile e all’autodeterminazione, ma si sa, quando lui ha occhi che uccidono…

Voto 5,5

“Mariposa” – Fiorella Mannoia

Casualmente passiamo dalla donna infoiata che brama di donarsi carnalmente a un tizio fighissimo di Emma, a un’autentica poesia che ci riappacifica con l’universo femminile. La canzone si ispira alla vicenda delle sorelle Mirabal assassinate dal regime di Trujillo della Repubblica Dominicana il 25 novembre 1960. Tecnicamente perfetta, certo la struttura aiuta, ma questa è una canzone che spero verrò ricordata fra trent’anni quando si parlerà di questo festival. “Sono la strega in cima al coro, una farfalla che imbraccia il fucile”. Imparate, ragazzotti che pensano che basti parlare di periferie e bullismo per essere impegnati!

Voto 10

“Il cielo non ci vuole” – Fred De Palma –

Sparami adesso sparami ora, ma tu promettimi che staremo bene anche all’inferno, il cielo non ci vuole, pieni di rimpianti fino all’overdose”.

Sono contro la violenza e non voglio mandare nessuno all’inferno, ma certo se queste canzoni sparissero non avrei alcun rimpianto, visto che l’unica overdose è quella di luoghi comuni e frasi trite.

Voto 4

“Tutto qui” – Gazzelle

Si può vivere bene senza l’ennesima storia d’amore che finisce a Roma Nord? Certo che sì, ma ormai la canzone è stata scritta, tanto vale dargli un’occhiata. Autocommiserazione, rimpianto, filosofeggiare un tanto al chilo (e questa vita non impara mai), ennesimo testo che probabilmente ChatGPT avrebbe scritto meglio, che però si salva in calcio d’angolo grazie a una chiusa efficace: “Vorrei guardare il soffitto con te, stesi sul letto col raffreddore, chiudere gli occhi e vedere com’è”.

Se non altro sappiamo che all’origine di tanta sofferenza c’è un raffreddore, che a Roma Nord, si sa, sono terribili.

Voto 5,5

“I p’ me, tu p’ te” – Geolier

Si può essere banali e sciatti anche usando il dialetto (l’incipit è da horror: siamo due stelle che stanno precipitando…) e Geolier lo dimostra. Non è che tutti possono nascere Pino Daniele, per carità, ma la cultura napoletana merita di più un cielo che piange perché i due pischelli si sono lasciati.

Voto 4

“Casa mia” – Ghali

Quando una canzone diventa un inno durante le manifestazioni senza essere dichiaratamente politica, vuol dire che coglie bene il sentimento contemporaneo. Ghali prosegue nel suo autobiografismo di fuorisede un po’ integrato un po’ no (è più facile però essere immigrati quando si ha il fisico di Ghali, o quello di Mamhood) ma lo fa con pudore, senza eccessi retorici. Il verso “Dal cielo è uguale, lo giuro” è piaciuto anche a monsignor Ravasi, per cui il voto non può che essere abbondantemente positivo, anche perché era ora che qualcuno dicesse che siamo tutti zombie con il telefono in mano,

Voto 8

“Fragili”, Il Tre

Siamo fragili come la neve, tu sei libera come un’isola, e ancora sei la sete nel mio deserto, sei come le fiamme bruciano nell’inferno, lui si sente come un naufrago in mare aperto. Allora, le metafore possono funzionare, i paragoni anche, ma possono insaporire un testo, non essere la portata principale. Nessuno al ristorante ordina un piatto di cannella e fiori di garofano. Sarebbe indigesto, come questa brutta canzone.

Voto 5

“Capolavoro” – Il Volo

Signori, ci siamo. Anche quest’anno rimaniamo senza fiato di fronte all’apoteosi della stramberia, al trionfo dell’immagine agghiacciante, talmente brutta da mettere paura, a quel verso che si fa spazio come un rutto dalla profondità delle viscere: cadi dal cielo come un capolavoro. Ora, dal cielo cadono sovente le defecazioni degli uccelli, maledetti. Talvolta, se si è sfortunati, un vaso, o un pezzo di intonaco. Se va ancora peggio cadono gli aerei, ma quelle sono tragedie. Chi ha mai visto cadere dal cielo un capolavoro? Un dipinto agreste ottocentesco, magari? Un componimento scultoreo che richiamava il Canova? Al limite potrebbe cadere un libro, magari dalla finestra di un bibliotecario distratto, ma chi potrebbe mai paragonare la caduta di un tomo con l’apparizione dell’amata? Il resto del componimento è scialbo e si dimentica in fretta, c’è la prevedibile vela in mare aperto, c’è l’innamorato che va al cinema per sognare l’America o casa della ragazza (e dove mai abita, a Versailles?), ma sono piccoli sprazzi di luce di fronte al bagliore del capolavoro che si schianta al suolo. Straordinario.

Voto 1

“Tu no” – Irama

Di questo testo si ricorderà soprattutto la consapevolezza dei propri limiti: “Bastasse solo una stupida canzone per riuscire a riportarti da me…”. Evidentemente non basta, eppure risponde ai requisiti, pare. Lo stoico interprete non lascerà che la sua donna – che l’ha mollato, come mai? – lo lasci vedere crollare. Cade, ma in fondo dice di meritarselo. Come dargli torto?

Voto 4

“Autodistruttivo” – La Sad

“Nessuno resta per sempre tranne i tattoo sulla pelle” è il massimo che riesce a produrre questa canzone, di nuovo impegno sociale all’acqua di rose, di nuovo esiti che in confronto certi romanzi Harmony erano Leopardi: “E vomito anche l’anima per sentirmi vivo dentro ‘sto casino. Affogo in una lacrima perché il mio destino è autodistruttivo”. Il soggetto in questione, il solito maledetto che si ubriaca nel bar trafitto dal dolore, sostiene di aver imparato come si sopravvive là fuori molto più dagli errori che dai suoi professori. Considerando la povertà lessicale e le immagini da diario di terza media, noi suggeriremmo un ripensamento e un ritorno dai professori, che da imparare c’è ancora tanto.

Voto 5

“Pazza” – Loredana Berté

“Sono sempre la ragazza che per poco già s’incazza”. Già l’apertura fa capire che qui siamo di fronte a un testo scritto da chi sa scrivere. Il ritornello è uno dei migliori, nella sua semplicità arriva dritto al punto senza inutili orpelli: “Non ho bisogno di chi mi perdona io, faccio da sola, da sola, e sono pazza di me. Sì perché mi sono odiata abbastanza”. A volte basta un verso per scrivere un’autobiografia: “Prima ti dicono basta sei pazza e poi, poi ti fanno santa”. Conciso e nitido. Peccato solo per quel cuore spremuto come un dentifricio, una immagine che ci saremmo risparmiati e che fa perdere qualche punto a uno dei migliori testi di quest’anno.

Voto 7,5

Tuta gold” – Mahmood

“Mi hanno fatto bene le offese, quando fuori dalle medie le ho prese e ho pianto, dicevi ritornatene al tuo paese, lo sai che non porto rancore”. Essere menati da ragazzini apre le porte di Sanremo, questo ormai è evidente. Accenni al bullismo a parte, il testo ricorre un po’ troppo a termini inglesi gergali di cui oggettivamente non si sente l’esigenza, però l’immagine maranza di cinque cellulari in una tuta dorata, da sola, mette a tacere una decina di canzoncine insulse.

Voto 6,5

“Spettacolare” – Maninni

Ecco un testo scritto con molto mestiere, che in perfetta tradizione sanremese non dice niente, ma lo dice bene, “C’è chi cerca soltanto diamanti, o la formula giusta per la felicità, ma siamo spesso tutti troppo distratti, o troppo convinti per riconoscerla”. Concetto banalotto ma espresso con termini adeguati e senza il ricorso a figure di significato logore. Meno bene quel “Tutto il mondo è una gabbia di specchi, una partita a scacchi con la verità” che osa un lirismo di cui non si sentiva il bisogno. Non so se qualche adolescente ricopierà questo testo del diario di scuola come facevo io con quelli di De Gregori, ma se lo fa ha la mia approvazione. Confrontato con il deserto intorno, avercene di oasi di italiano corretto come questo.

Voto 7

“Due altalene” – Mr.Rain

Il titolo è probabilmente il migliore di questa edizione. Dietro l’immagine di due altalene c’è già una storia. Peccato che però poi gli autori, anziché rimanere su un piano evocativo, si prodighino nel tentativo di spiegare questa immagine “Sospesi in aria come due altalene, quante volte ci siamo trovati sul fondo”.  Detto questo, la canzone è una spettacolare sequenza di quadri bruttarelli, con un uso della lingua anonimo e il solito ricorso al dolore in prima persona che dovrebbe rendere più simpatico il protagonista. Puoi urlare quanto vuoi, ma “Griderò, griderò il tuo nome fino a perdere la voce” non si può sentire, altroché. “In mezzo al temporale abbiamo unito i nostri lividi come due oceani indivisibili”. Ma perché? A chi può venire in mente di ospitare nella stessa frase lividi e oceani? La geografia torna anche nella frase “Anche un’alba diventa un tramonto a seconda di dove ti trovi nel mondo” ma almeno c’è la correttezza scientifica. Insomma, con una bella ripulita avrebbe potuto essere un bel testo, così è un guazzabuglio talmente saporito da risultare poco digeribile.

Voto 5

“Ricominciamo tutto” – Negramaro

“E chi se ne fotte di tutti quei sogni, di una canzone o uno stupido testo?! Io, qui, ti aspetto!”. Ecco, un passaggio così da solo merita un bel voto, perché tra citazioni più o meno esplicite di Battisti e uso semplice ma efficace del lessico colloquiale “Quanto tempo ti manca per esser pronta? Io sono sotto che ti aspetto, così ti porto al mare” questo lavoro dà l’impressione di non prendersi troppo sul serio. Sono solo canzonette, cantava Bennato, i Negramaro lo sanno, e sanno scriverne di buone. Una serenata di chi si gode l’attesa dell’incontro senza frignare come certi cantantucoli piagnoni già citati. Bravi, ma cio sono ottimi sinonimi per “fottere” e “chi se ne frega”.

Voto 7

“Pazzo di te” – Renga Nek 

Renga ha cantato canzoni meravigliose, però gliele scriveva Omar Pedrini. Quando si è messo in testa di fare il cantautore ha prodotto qualcosa di grazioso o poco più, ma non è questo il caso. Magari c’entra anche Nek, ma “L’amore è nobile, è  fatto di un metallo indistruttibile ma è così fragile” è troppo anche per questa coppia in evidente crisi di andropausa. “Amarsi è semplice, ma ingovernabile, indispensabile”: una canzone scritta con un rimario, come tanti se ne trovano in rete: parole che finiscono con “ile”. Eccole, scrivi. Non manca neanche il mantello di cielo, evviva. Però qualche punto il duo lo recupera con la frase  “L’amore è un giudice, è un miserabile, lo trovi in tasca ma non lo puoi spendere” . L’amore come una moneta fuoricorso è un tratto discutibile ma almeno originale che salva questa canzone dall’oblio.

Voto 5,5

“Ma non tutta la vita” – Ricchi e Poveri

“Anche la più bella rosa diventa appassita. Va bene, ti aspetto, ma non tutta la vita”. Cosa gli dici a due che ti mettono in piazza una rima così nel ritornello, peraltro molto orecchiabile? Che ci sarebbe molto da imparare da questi autori che disegnano il dialogo tra due amanti: si conoscono bene, giocano, scherzano, si provocano a vicenda, ogni tanto filosofeggiano “Lo sanno tutti che, il tempo vola via neanche te ne accorgi, che giorno siamo oggi” ma senza esagerare. Indipendentemente dall’età anagrafica dei cantanti e dalla demenza senile incipiente, si capisce che è un pezzo pensato per una coppia diversamente giovane che non sopporta la confusione del sabato, si perde di vista (non metaforicamente), poi decide di ballare perché di tempo non ne è rimasto tanto: ti giri un momento e la notte è finita.

Voto 7

“Finiscimi” – Sangiovanni

Non sono un perbenista che si scandalizza facilmente, ma le parolacce in una canzone, proprio per la loro portata, devono avere un senso preciso. Qui non ce l’hanno e diventano insipido turpiloquio. Brutta canzone che fa a pugni anche con la costruzione della frase “Ti ho scritto mille lettere e non dirti neanche una parola” è da matita blu. La storia di un uomo bugiardo  che tratta male una donna e poi scrive per chiedere scusa già è irritante di per sé, se poi è infarcita di giustificazioni “Io non so come si controllano le emozioni” “A mia discolpa dico che ero perso” allora diventa proprio fastidiosa. Speriamo di sentirla poco.

Voto 3

“L’amore in bocca” – Santi Francesi

Altro che santi, il titolo sembra tratto dall’opera di Rocco Siffredi, e torna nella solita canzone di un amore finito e autodistruttivo (ma cos’è, un festival a tema)? “Ti rivedrò in un quadro, in un ricordo vago, in un porto sicuro, in un mare stanco” potrebbe anche funzionare, ma perché seguire un filo di lana? Si è forse scucito il maglione? Non è strano, è scemo. Anche perché sta piovendo e i protagonisti scivolano sopra i tetti prima di cadere a pezzi.  Se fossero caduti prima di scrivere questa canzone forse sarebbe stato meglio,

Voto 5

“Un ragazzo una ragazza” – The Kolors

“E lo sai, l’amore non si può cantare in una strofa da otto”. Come con i Negramaro e Irama, anche in questo caso si fa apprezzare la consapevolezza dei propri limiti. Che ci sono eccome, perché “Vorrei parlarti ma ho paura di ghiacciare” è una frase che lascia interdetti, magari però i giovani d’oggi parlano così, chissà, spero però che non dicano “E comprerei per te la luna se c’avessi money”. Tutto sommato il racconto, nella sua ovvietà, funziona: un ragazzo incontra una ragazza. È tutto lì. Peccato però per quel verso di oscena bruttezza: la notte poi non passa, la notte se ne va. O passa o pure no, decidetevi. A meno che non aveste dato appuntamento alla notte (Ci vediamo alle due al parcheggio del supermarket?), solo che poi la notte tira il bidone, non passa e se ne va. Ecco, così avrebbe senso. Forza ragazzi, che vi costa riscrivere un verso meglio, per evitare uno scivolone così pacchiano?

Voto 5

Sanremo 2023: le mie pagelle

Anche Sanremo 2023 è andato via. Il mio parere sulla musica posso condividerlo al bar con gli amici, ma credo non abbia alcun valore intrinseco, è una opinione come un’altra. Non parliamo poi ci commentare l’interpretazione o peggio ancora il look dei cantanti (ma chi? Io?).
Qualcosa di sensato però penso di poterlo dire sui testi, visto che con le parole bene o male ci lavoro da più di vent’anni. Nessuna canzone mi ha fatto gridare al miracolo ma qua e là qualche perla c’è, a volerla cercare.

Sali, canto dell’anima. Anna Oxa

Canzone con echi millenaristici, qualche paragone facile “Libera l’anima come rondini la sera”, un’invocazione che non si capisce dove andrà a parare. Anche le storie new age avrebbero bisogno di una trama per stare in piedi. 5

Mare di guai. Ariete

L’amore lesbico si chiama così grazie a una straordinaria poetessa e all’isola in cui nacque. Qui però poesia ce n’è poca, “la notte è solo un giorno che riposa”, siamo più dalle parti della posta del cuore di Cioè. “Non voglio più perderti nel chiaro di luna”, figuriamo nelle notti di luna nuova. 5+.

Un bel viaggio. Articolo 31

Anche morire giovani non puoi più perché, adesso c’hai la family e dipende da te” è uno devi versi più efficaci di tutto il festival. L’autobiografismo a cinquant’anni è un po’ prematuro, e anche questo brano arranca, ma lo stile per il calembour un po’ triviale c’è sempre (“siamo stati due coglioni infatti funzioniamo in coppia”). Quanto avrebbero da imparare i giovani sedicenti rapper!  7.

Splash. Colapesce Dimartino

Finalmente un testo che non ha paura delle parole: il vento che arpeggia una ringhiera, io lavoro per non stare con te, “Ma che mare ma che mare, come stronzi galleggiare, per non sentire il peso delle aspettative”. Efficace, variopinto, divertente. Anche il titolo funziona. 8

Non mi va. Colla zio

I rapper dovrebbero essere agevolati nell’uso della lingua, libera da solfeggi e ritmiche che ingabbiano, ma se il massimo che riesci a produrre è che “non ho fame finché sei sfinita, minchia, ma che sesso mi fai, ma che sesso mi fai” allora bisogna proprio che tu legga di più, anche perché del mare si può dire tutto, ma che indirizzi alla savana proprio no. 4

L’addio. Coma_Cose

Curiosamente tornano in questa canzone le ringhiere, la delusione delle aspettative, il raccontarsi. La qualità c’è, è un po’ altalenante, “in viaggio su respiri più leggeri, chissà se piloti o passeggeri” funziona, altri passaggi convincono di meno “ce ne andremo via come uno stormo che con l’autunno poi farà ritorno”, però la chiusa è la migliore. Una frase è perfetta se sta bene stampata su una maglietta, e io uno t-shirt con scritto “L’addio non è una possibilità” la comprerei. 8

Due. Elodie

“Che rumore fa Il silenzio alla fine di tutte le nostre telefonate interrotte”? Compitino professionale, pulito, con una chiusura azzeccata “Per me le cose sono due, lacrime mie o lacrime tue”, c’è un po’ di svogliatezza, se scrivi che un amore appena nato è già finito male ma che rifaresti gli stessi errori è ovvio che il tuo pubblico di riferimento non va oltre la terza pagina di un romanzo, ed è un peccato. 6+

Quando ti manca il fiato. Gianluca Grignani

Premetto: la melodia non mi convince e il modo di cantare non mi piace affatto. Ma questo è il miglior testo di Sanremo 2023. L’unico che racconta bene una storia, seppure negli spazi esigui di qualche verso. Siamo ancora sui terreni scivolosi dell’autobiografia (questo Sanremo passerà alla storia come quello delle canzoni selfie”). “Ma no che non sto male, ma quando accadrà, tu verrai o no al mio funerale”? In questo passaggio c’è un romanzo compiuto con attori, sentimenti, vicende. Peccato solo per quei coltelli che cadono dal cielo e fanno sanguinare anche l’uomo più duro, un brutto scivolone stilistico senza la quale la canzone sarebbe stata da 10 e invece 9.

Mostro. Gianmaria,

No tu non sembri un mostro ma il tuo testo è mostruosamente piatto, senza uno spunto, senza un’invenzione, senza uno scatto originale. “Ti ho lasciato sopra il letto un mio libro, così sai che tornerò”. Se l’avessi prima letto, quel libro, oggi forse conosceresti due o tre aggettivi in più. 4

Giorgia

Buona la chiusura, “Ricordo le ultime parole, quelle dette male, maledette”, ma è l’unico passaggio che si ricordi. Per il resto è una lunga lista di immagini già viste: la mia pelle è un foglio bianco e ci scrivo su, il cielo che crolla e io non ragiono più. Tutto corretto, tutto dimenticabile in fretta. 6

I Cugini di Campagna. Lettera 22

C’è la terribile rima fiore-amore, c’è in assoluto il peggior ritornello di Sanremo, non lasciarmi solo, non lasciarmi qui. Caspita, chi l’ha scritta, Baudelaire? Ma in fondo le figure utilizzate nella strofa non sono malvagie, c’è mestiere e poche pretese. “Credo, credo anch’io, che non puoi darmi il mondo, se non guardi il mondo come lo guardo anch’io” è il massimo che si può chiedere loro, ma d’altronde non ci aspettavamo De Andrè. 5,5

Lazza. Cenere

“Pezzi di vetro”, “Nel buio balli da sola”,” Vorrei che andassi via, lontana da me, ma sei la terapia “. Tra citazioni consapevoli o meno, anche in questo caso da un rapper ci si aspettava qualcosa di più di un’agghiacciante “sei bella come Venere”. A tratti sembra uno di quei testi generati al computer copiando qua e là. “Ormai nemmeno facciamo l’amore, direi piuttosto che facciamo l’odio” è una frase da premiare se non altro per l’uso del condizionale. Poco altro. 5,5

LDA. Se poi domani

“E mi manca disegnare con lei sulla spiaggia due iniziali in un cuore di sabbia”: basterebbe questa frase devastante a meritare un 3 incondizionato. In realtà il testo in questione cerca addirittura qualche vezzo poetico, come quel grazioso “tu che disegni i silenzi a matita” e tutti quei riferimenti all’insonnia che fanno poeta maledetto. Però se ti presenti a una ragazza con un “Ti prego ascoltami” “Oh oh dammi le mani” lei sarà una bugia ma tu sei una lagna. 4

Leo Gassman. Terzo cuore

L’idea del terzo cuore funziona. Eravamo abituati a becere terze gambe, invece l’immagine su cui è costruita la canzone è una delle più interessanti. Non si capisce bene cosa c’entrino le strade di Parigi, il trasformare le sfide in sfighe fa un po’ alzare il sopracciglio del critico, ma insomma, rispetto al livello medio, qui la sufficienza è raggiunta a piene mani. Certo, se non ci riducesse sempre a zerbini dell’amante che ci respinge sarebbe meglio: “Non mi importa di avere ragione se poi resto sempre da solo, meglio avere torto con te”… 6,5

Vivo. Levante.

Ritornello indovinato, si sposa con la melodia senza essere piatto, un paio di passaggi memorabili “Bacio rime, bacio bene, ti bacio dopo”, ma anche “Addio a tutti i “dovrei”, a tutti i “se poi”, a tutti i miei “perché?”: semplice ed efficace. Manca forse il guizzo che rende una canzone memorabile, e lei ne sarebbe capace. 6,5

Il bene nel male. Madame

Ecco un’altra canzone che ha il coraggio di raccontare una storia – il rapporto tra cliente e prostituta che si ritrovano sentimentalmente coinvolti –  che vada oltre il “ti prego torna con me”. Alcuni passaggi raggiungono elevati livelli di drammaticità “Amore, tu sei, sei l’errore più cattivo che ho commesso nella vita” non è una frase da Bacio Perugina. Ogni tanto si fa un po’ troppo saccente “L’amore è solamente di chi prova amore, non è di chi lo riceve” , ma resta un testo che si distingue per profondità. Bravi. 7

Duemila minuti. Mara Sattei

I temi sono quelli cari ai giovani d’oggi: l’amore e la violenza, il dolore esibito (i lividi), la dannazione nel vizio (i fiumi d’alcol), l’amore che amore non è. Però il tutto sa di una messa in scena studiata ad arte, manca il sentimento, manca l’emozione.  Sarebbe stato più appagante se la vittima di questa storia alla fine mandasse a spendere questo farabutto, invece scopriamo che è lui che è scappato. Pure. 6-

Due vite. Marco Mengoni

Il caffè col limone contro l’hangover sinceramente non l’avevo mai sentito e probabilmente sarà l’unica cosa che ricorderò di questa canzone rapidamente destinata all’oblio. Va bene usare delle allegorie, ma servirebbe anche un senso: cosa vuol dire che siamo un libro aperto in una casa vuota? E perché mai la luna dovrebbe esplodere? Va bene la megalomania, ma davvero si può dire “Siamo i soli svegli in tutto l’universo” senza scadere nel ridicolo involontario? 5

Lasciami. Modà

Lo spunto sarebbe anche interessante: trattare la depressione come se fosse una donna, e lasciarla, e riscoprire la vita senza di lei. Peccato però che dal testo non si capisca. È come una barzelletta che devi spiegare, come un finale giallo che nessuno ha previsto. La povertà lessicale non aiuta, anche la chiusura lascia interdetti, anziché l’entusiasmo per il ritorno alla vita sembra quasi emergere la nostalgia per le ore più buie. Boh. 4

Supereroi. Mr Rain

Se questa fosse una classe del liceo, controllerei il compito del compagno di banco. Perché la canzone è in bilico tra la citazione colta e il plagio furbesco. «Siamo angeli con un’ala soltanto e riusciremo a volare solo restando l’uno accanto all’altro” infatti è una frase di Luciano De Crescenzo ripresa da don Tonino Bello (o forse è vero il contrario), e anche qua e là il testo ricorda altro. Ma siccome anche copiare è un’arte, il ragazzo merita un 6+.

Polvere. Olly

Si chiama “Polvere” una straordinaria canzone di Enrico Ruggeri, struggente e tecnicamente perfetta. Ahimè qui voliamo molto più basso, quasi rasoterra. L’esordio fa tremare i polsi: “Innamorato come i ciechi con gli odori, come i muti coi rumori”. Dopo va pure peggio: “Vedo Dio mentre pittura, che sorride perché sa che se fa una sbavatura poi non la cancellerà”. Il padreterno forse sarà di buonumore, noi meno. Piano americano, e sfioro il tavolo con una mano… Ah, saper scrivere. Ritorni quando avrà studiato, Olly. 4

Furore. Paola e Chiara

“In questa notte di sole, furore, furore”. Certo non ci aspettavamo Steinbeck, ma in confronto anche Fedez sembra Steinbeck. Testo estremamente esile, senza pretese, senza acume, senza brio, completamente al servizio della musica (e anche quella…). “Ballare, ancora ballare, come se fosse l’ultima, se fosse l’ultima canzone”. Hai visto mai. 4

Made in Italy. Rosa Chemical

Ecco la dimostrazione che anche un brano di musica leggera senza troppe pretese può essere scritto bene, con sagacia, ironia, gusto del tratteggio satirico. Riferimenti pop “Io voglio morire da italiano, io voglio una vita come Vasco, stringere la mano a Celentano”, oscenità più o meno palesi “Ti voglio nuda col calzino bianco”, persino riferimenti colti “L’uomo vitruviano, io sono il tuo Leonardo”. A proposito di frasi a effetto, qui vince a mani basse “da due passiamo a tre, più siamo e meglio è”. Peccato solo per il ritornello, quel Made in Italy ripetuto non aggiunge molto ed è forse l’unico neo di una composizione riuscita. 7-

Cause perse. Sethu

Ecco, io questi giovani che scrivono “Ma qua fuori è una guerra” vorrei mandarli davvero a vedere cos’è la guerra, prima di parlare a vanvera dei loro “Sogni troppo grandi per queste tasche”. Concentrato di cliché di certo trap contemporaneo, c’è la voglia di successo, c’è la tristezza perché niente cambia col tempo, il compiangersi, l’autolesionismo “Brucio questi anni come se non li avessi, come siga spente sui polsi”. Il tutto però dà l’impressione di essere autentico come una banconota da 3 euro. La peggiore canzone del festival, e con un certo distacco anche. 3–

Egoista. Shari

Un’altra canzone fluida in cui si amano donne, uomini, purché entrino dentro i jeans. Ma nessuno fa più sesso in frescolana? “Solo qualcuno d’amare per poi fargli del male”. Anche in questo caso l’ottimismo e l’entusiasmo sono travolgenti “Dal divano osservavo in silenzio la vita crollarmi davanti” ma se non l’altro l’autore si rende conto che forse questi comportamenti, se non psicopatici, sono perlomeno egoisti. “Mentre stappo sta birra che sa di the” però è una frase che da sola vale quasi la sufficienza. 6

Tango. Tananai

Qui torna il problema visto già con i Modà: se vuoi fare il testo impegnato, abbi il coraggio di andare fino in fondo. Io, per esempio, ho dovuto leggerlo sui giornali che era una canzone dedicata a una coppia di amanti nell’Ucraina attuale. Bella l’idea, anche se alcuni passaggi sono da shock anafilattico lessicale, come il terribile “Eravamo da me, abbiamo messo i Police, era bello finché ha bussato la police”, altri balbettano nei luoghi comuni “Non c’è un amore senza una ragazza che pianga”: in questo Sanremo a dire la verità i piagnoni sono tutti maschi. Più coraggio, dai. 6-

Alba. Ultimo

Forse la canzone emblema della scrittura contemporanea: lirismo facile (l’alba, la rima lividi e brividi, il camminare senza meta), nessuna evidente sbavatura ma nessun guizzo. Quale frase di Ultimo scrivereste voi sul diario se foste un adolescente? Io mi troverei sinceramente in imbarazzo, ma forse perché sul mio diario di sedicenne c’erano De Gregori e Baglioni e forse sì, sono io che chiedo troppo. 6

Stupido. Will

Siamo dolori che canterò e so che se torni non basterò” è un ritornello intelligente e accurato, poi da standing ovation l’ammissione “E divento pure un po’ banale, come dirti che se non ci sei non so che fare”. Finalmente uno che sa di non essere un poeta ma almeno lo ammette. Mi sarei risparmiato quel terribile “ruberò le lacrime che ti porta via il vento” da fotoromanzo rosa, ma insomma, il compito è svolto con profitto. 7–

 

Sanremo 2022

1 febbraio

Quelli che guarderanno Sanremo da una parte, quelli che legittimamente non lo guarderanno dall’altra, lì in fondo che c’è parecchio spazio, si accomodino quelli che non vedranno il festival, ma ci tengono a far sapere al mondo che trascorreranno la settimana ascoltando rumba congolese, assistendo a performance di teatro sperimentale scandinavo e riscoprendo il troppo trascurato folklore kazako. No, mi dispiace, non c’è una pedana o un palco rialzato per voi, non c’è.

Non faccio in tempo ad avviare la lavastoviglie che mi ritrovo Achille Lauro in mutande che si battezza da solo circondato da coriste di colore. Ma che ci metteranno in questo brillantante da provocare certi effetti collaterali dico io…

La società Pantone© ha comunicato che due squadre di tecnici sono al lavoro per individuare con esattezza il colore dei capelli di Noemi. Si attendono i primi risultati già nella giornata di domani.

“Stai andando forte
Apri tutte le porte
Brucia tutte le scorte”.
Niente da fare, il risparmio energetico non è proprio nelle corde delle generazioni che ci hanno preceduto.

I Manowar arrivavano in teatro sulle Harley Davidson, i Maneskin sul trenino elettrico del portantino che carica i bagagli. Sono scelte.

Votantonio, votantonio, anzi no. La rappresentante di lista che evoca la fine del mondo con una canzone fatta con i piedi, con le mani ma soprattutto col c**o è lo specchio della crisi parlamentare dei nostri giorni.

Ma se vince Ranieri apre lui il prossimo concerto dei Rolling Stones?

La coraggiosa decisione di Blanco di tatuarsi sul collo la marca del suo frigorifero preferito.

2 febbraio

Papo, ti sei perso San Giovanni! Ah, ma io sono già battezzato, era ad Achille Lauro che serviva.

Stavo per fare una battuta sulla canottiera di Truppi, ma poi ho deciso di non scriverla perché era nera. No al suprematismo delle canottiere bianche!

Laura Pausini: le mie figlie non vogliono che faccia body shaming.
Giusto.
Vabbè.
In Emilia Romagna si mangia bene.
L’ho detto.

Da Sangiovanni decollato a Santa Emma décolleté è un attimo

Iva Zanicchi conduceva “Ok il prezzo è giusto” negli anni in cui per comprare un giornale servivano 800 lire, Bertolucci vinceva gli oscar con l’Ultimo imperatore e io ancora credevo che il Taranto prima o poi sarebbe andato in serie A.

Anch’io appena svegliato ho quell’aria li, poi mi lavo, mi rado, mi pettino e un po’ le cose migliorano #fabriziomoro.

Se non sapete cosa regalarmi, compratemi la t-shirt dell’artista che stasera mi ha colpito di più: RAGADI.

3 febbraio: riepilogo

Riepilogo prime due serate sanremesi (considerando che sono troppo vecchio per vedermi i cantanti dopo le 23 e troppo snob per rivedermeli su Raiplay):?

Sugli scudi

Iva Zanicchi: la canzone è brutta e fuori moda (semmai le canzoni brutte siano mai di moda), ma cavolo, ci voleva una signora che a 82 anni parlasse di sesso in terza età. Magari non lo faremo automobile o sulla lavatrice, ma fra trent’anni saremo tutti vegliardi – si spera – arzilli: in qualche modo dovremo pure passare il tempo, no?

Sui ceci

Achille Lauro ha questa straordinaria capacità di proporre soluzioni visive di impatto con appena trenta, quarant’anni di ritardo rispetto a musicisti di ben altro calibro che le hanno messe in scena prima e meglio. A questo punto ci aspettiamo il concerto non autorizzato sul tetto della casa discografica, la chitarra sfasciata in diretta e lo spuntino  dark con il pipistrello (era pollo, ndr).

3 febbraio

Smettetela di ridere di Giusy Ferreri. Anche a me una volta si è strappata una giacca e sono momenti imbarazzanti

Ma questi due scappati di casa con il nome di un farmaco per la prostatite non sono i due che ieri accompagnavano Checco Zalone con i Ragadi? “Abbi cura di te”. Soprattutto dopo i cinquant’anni, sennò goodbye.

Fabrizio Moro è il Mandaloriano che si toglie il casco dopo cinque anni. Questa battuta è di mia figlia Martina che sta venendo su molto bene.

“Dove si balla” è la prima canzone che mi fa alzare dal divano. Solo per questo merita un premio.

L’idea di Irama di incatenarsi i capelli può essere un’idea contro l’allopecia.

Sarà una precauzione sanitaria perché quel microfono se lo smanazzano tutti, ma non ricordo un Sanremo con tanti guanti come questo.

Se sei stonato come una campana e vai a Sanremo, scegliere un nome d’arte come Rkomi per non farti riconoscere non è una cattiva idea.

Ma poi perché non si è trovato l’accordo su Gianni Morandi presidente della Repubblica che ero distratto?

“È questione di chimica” gliel’ha detto il chirurgo plastico alla Rettore per sconsigliarle di avvicinare troppo le labbra al fuoco

Io comunque spero che l’Europa ci consenta di spendere una quota del PNRR per tornare ad avere dei superospiti.  Da “Enjoy the Silence” a “50 Special” fa male.

4 febbraio – Miglior testo

In attesa nella serata in cui, seppure indirettamente, le mie figlie – e i vostri – ascolteranno finalmente, seppure indirettamente, un po’ di Battisti, De Andrè, Bertoli e tanti altri artisti, ho deciso di stilare la mia classifica.

Siccome di musica non ne capisco niente e siccome sono uno che ancora crede che chi non ne capisce niente fa meglio a state zitto, non valuterò le canzoni, ma solo una parte di esse: i testi.

In fondo, con le parole ci lavoro da vent’anni, qualcosa avrò imparato. Eccole quindi in ordine inverso dalla quarta alla prima posizione.

Lettera al di là del mare” di Massimo Ranieri

La notte non finisce mai
L?America… lontana
Di là dal mare
Dove piove fortuna, dov’è libertà
E l’acqua è più pura di un canto.
Ed è silenzio tra due sponde
La terra un sogno altrove…

Finalmente una canzone che ha il coraggio di raccontare una storia che non sia la solita vicenda “amore mio perché non mi vuoi?” intrisa di melensaggini e romanticismi d’accatto. Che poi è la storia di tanti di noi, un secolo fa o giù di lì.

“Abbi cura di te” di Highsnob e Hu

(…) i sogni come te qualcuno aveva detto
che la mattina sveglio neanche li ricordi
e vincere battaglie non mi serve mica
perché questa è una guerra in cui si perde sempre
e lo perdo la testa come Oloferne
ho trovato la calma però non è niente di che
non ha niente di me

Ammetto che la citazione di Oloferne mi ha dato un brivido vero (altro che i falsetti di quei due in cima alla classifica veri come una banconota da 3 euro), ma in generale il testo è scritto con competenza metrica e un paio di immagini indovinate.

“Apri tutte le porte” di Gianni Morandi 
A forza di credere che il male passerà
sto passando io e lui resta
mi devo trascinare presto fuori di qua
dal miei pensieri pigri nella testa
fare qualcosa
oppormi all’inerzia e alla sua forza
che rammollisce il corpo mio da dentro
mantenendo rigida la scorza…

Jovanotti è uno dei migliori parolieri in circolazione, e anche stavolta non si smentisce. Parole semplici, concetti profondi soprattutto nella strofa, il ritornello così così. Bravo.

“Dove si balla” di Dargen D’Amico

(…) Dove si balla
Fottitene e balla
Tra i rottami
Balla per restare a galla
Negli incubi mediterranei

4 febbraio

Uno che porta De Andrè a Sanremo per me può presentarsi sul palco anche con la mia canottiera di riserva della piscina, gli voglio bene lo stesso. Per quanto voi vi sentiate assolti, sarete sempre coinvolti.
Uno ci prova a non farsi trascinare dai luoghi comuni per i quali le canzoni di una volta sarebbero più belle, poi ti propongono una serata così e scopri che che uno dei trascinatori più incalliti sei tu.
Che ste povere Vibrazioni il mestiere lo conoscono, se solo avessero una canzone decente…
Sangiova’ mettiti il grembiulino sulle gambe che il pantalone è bianco, non sia mai si va a sporcare che figura facciamo…
Checco Zalone, Emma, Maria Chiara Giannetta.
I pugliesi sono i toscani del terzo millennio.
Gianni Morandi, Jovanotti, Tananai.
Il darwinismo ha i giorni contati.
Bisogna riconoscere che una cosa buona Cesare Cremonini a Sanremo l’ha lasciata: Malika Ayane
Grignani si è mangiato Irama in un boccone. E non solo lui, vedo.
L’agenda 2030 propone di mettere al bando gli elettrodomestici energivori: le lampadine a incandescenza, le asciugatrici e il phon della Rettore.
Orietta Berti, Iva Zanicchi. Altro che Lourdes, io voglio l’acqua di Reggio Emilia.

5 febbraio

Se due indizi fanno una prova penso di poter dire che il sarto di Giusy Ferreri ha un grosso problema a ricalcare i modelli di Burda.
Ci fossero stati dei punti nel Fantasanremo anche per la floridezza tricologica, qualche posizioncina sti giovani senz’arte né parte l’avrebbero scalata. Almeno quello, almeno ora.
Aka Seven finalmente si ascolta cantare e si inginocchia davanti al pubblico. Sei perdonato figliolo, va’ e non cantare più.
[EDIT Mia figlia mi fa notare che si scrive Aka 7even. Anche peggio, se possibile.]
Attualissima Noemi, la prima cantante a presentarsi alla serata finale di Sanremo vestita di fotovoltaico.
“Sei tu che attraversi il mio ossigeno quando mi tocchi”. Fabrizio Moro racconta i dissidi in famiglia ai tempi del saturimetro.
Una volta ho provato a montare le catene sotto la neve e sono finito come Irama.
Prevedo che la canzone della Rappresentante di lista ai balli di gruppo della festa dell’Unità di questa estate si piazzerà benissimo, avanti alla Macarena e seconda sola a “Muove la colita”.
Sapete perché i calciatori quando si mettono in barriera si coprono davanti con le mani? Perché se arriva una pallonata violenta poi cantano “e mi vengono i brividi, brividi, brividiiiiii”

Arrivederci, Irene, ciao

Cara Irene,
noi non ci siamo mai visti personalmente, però un po’ ti conosco perché sono il papà di Martina, che mi ha spesso parlato di te.
Come Martina ti avrà sicuramente già detto sono un imbranato nei lavoretti di casa, per appendere un quadro mi serve un pomeriggio, e anche nei rapporti interpersonali ho tanto da imparare.
Però la mia professoressa delle scuole medie diceva che ero bravino a scrivere, magari non era vero ma sono stato in gamba nel convincere gli altri, perché da vent’anni lo faccio per mestiere.
È per questo che ho deciso di scriverti, anche se non so di preciso se e quando potrai leggere i social network. Magari qualcuno ti avviserà.
 
So che sei una bambina intelligente e coraggiosa, che avevi pochi anni quando hai scoperto di avere un mostro nella pancia. Uno vero, non come quelli che nei film puoi fare fuori con un raggio laser. Credo si chiami neuroblastoma, ma tu non ti sei arresa, con il supporto dei tuoi genitori e dei medici l’hai sconfitto, anche se ti avevano dato solo il 25% di possibilità di farcela.
 
Purtroppo, però, come se questo non bastasse la terapia ha avuto un brutto effetto collaterale. Può succedere, è raro ma succede. La nostra vita è piena di effetti collaterali. Una battuta che pensiamo divertente e invece ha l’effetto di fare soffrire qualcuno. Una zuppa di fagioli saporita che tiene svegli i compagni di camera.
Per non parlare del fatto che molti di noi, senza saperlo, sono l’effetto collaterale di un momento di passione (se siete terzi figli è matematico, dai).
 
Quell’effetto collaterale ti ha costretta ad anni di sofferenza, perché anche il minimo virus avrebbe potuto ucciderti. Per fortuna, accanto a te c’è sempre stata la speranza di un trapianto. Intanto i tuoi compagni di classe, compresa Martina, si sono vaccinati contro l’influenza, per poterti stare vicini almeno un po’.
Poi è arrivato il maledetto coronavirus, di nuovo rinchiusa in una bolla, di nuovo da sola.
 
Ho deciso di scriverti pensando a tutti quelli che in queste ore fanno i loro calcoli miserabili sugli effetti collaterali, su quanto gli conviene o no farsi vaccinare. Senza pensare a chi, come te, questa scelta non ha mai potuto farla. Perché sei stata vittima di un effetto collaterale, ma non avevi alternative.
E non hai potuto nemmeno scegliere se usare o no la mascherina, se mangiare dentro o fuori.
Chi invece può scegliere, per un attimo dovrebbe smettere di fissarsi l’ombelico, alzare lo sguardo verso l’orizzonte e guardare verso gli altri, quelli che hanno più bisogno del nostro vaccino.
Non puoi saperlo, ma ti scrivo con il cerotto al braccio, mi sono appena vaccinato.
 
Cara Irene, temo che il nostro incontro di persona dovrà essere rimandato.
Da qualche giorno sei volata via, uno stupido adenovirus, di quelli che a noi provocano un semplice raffreddore, ti ha portata via prima che arrivasse il trapianto.
Io lo so che ci sei ancora e hai meglio da fare che leggere i miei stupidi post, ma spero che a leggermi siano quelli dell’ombelico, del me ne frego, dell’andate avanti voi. Avete una vita, fate qualcosa per meritarla. Amate, ridete, viaggiate, proteggetevi e proteggete anche per chi, come la cara Irene, non ha avuto la stessa fortuna.
 
Ciao cara Irene.
Per il prossimo festival di Sanremo, che ti piaceva tanto, io e Martina alzeremo un po’ il volume, così potrai sentirlo anche tu

Sanremo: cantano tutti (e poi patteggiano)

musicaE comunque il colorito di Carlo Conti non esiste in natura. Io c’avevo un Big Jim di quel colore, ma era perché lo lavavo con il sapone da bucato.

Tutti “Je suis Charlie”, tutti liberi e libertini, poi Siani fa una battuta infelice su un bambino sovrappeso (ciccione non si può dire) e apriti Cielo siora Maria dove mai andremo a finire.

Certe nuove proposte sono talmente vecchie che per televotarle serve il piccione viaggiatore.

Ciribiribì Kodak! Ah, no, è Nesli.

Dopo la Premiata Forneria Marconi posso anche andare a dormire

Qualcuno sa come si fa a televotare il tatuaggio più tamarro a Sanremo?

Sanremo: vincono tre giovani che fanno cose che nemmeno due secoli fa. La perfetta sintesi dell’era renziana.

Sanremo, il papa e le elezioni. Troppa roba

Mengoni, Modà e Annalisa in testa a Sanremo? Capperi, se alle politiche si votasse con il televoto avremmo i Gormiti al governo…

È impossibile con gli strumenti tecnici impedire gli abusi durante la pratica del voto (Sanremo). Io lo scriverei anche nella cabina elettorale.

Quella di Mengoni non è un un’acconciatura ricercata. È che è arrivato a Sanremo con un volo Carpatian Air

Il papa si dimette. Il guaio è che in Vaticano non gli hanno mai versato i contributi. Un altro esodato…

Grave violazione della par condicio. Il Cagliari ha osato fare goal al Milan in piena campagna elettorale.

In momenti di tensione e domande inevase come questi si avverte la necessità di una puntata di Voyager che spieghi come dietro le dimissioni del Papa si celi un complotto dei Templari che dopo essersi nascosti nell’Area 51 ritornano coperti dai servizi segreti moldavi. E Nostradamus aveva già previsto tutto.

Berlusconi odia l’Imu perché non è ancora riuscito a trasferire la Sardegna alle Cayman.

Al Milan non lo dicono, ma nel contratto di Balotelli c’é una clausola che dice che se Berlusconi non vince le elezioni lo danno in prestito alla Pro Patria.

Il bello di non avere un euro da parte è che non hai un euro da parte in Monte dei Paschi.

Il vero problema della politica italiana sono gli elettori impresentabili.

Dicono che Clooney abbia fatto un lifting allo scroto talmente efficace che gli ha risolto anche il problema del doppio mento

Prima ancora che per i falli Mexes andrebbe espulso per l’acconciatura

Ti fai un mazzo così per darti un tono da giornalista di qualità, e cosa ottieni?  La rete ti taglia il programma per gli scarsi ascolti, tuo marito fa il mentore di Renzi e si fa trombare alle primarie, e tutto mentre tua sorella batte ogni record di vendite pubblicando ricette su come friggere le uova in padella.
Coraggio Cristina, passerà.