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L’orizzonte di Peppa Pig

Peppa_Pig
Dal sito www.peppapig.com

Uno degli argomenti di discussione nelle piazze virtuali e reali degli ultimi giorni, complice lo stop del campionato, la mortale noia della politica e la mediocrità dei cinepattoni, è il successo di Peppa Pig, un programma televisivo dedicato ai bambini in fascia prescolare. Sono già state scritte tante analisi sul programma, e non sarei in grado di aggiungere molto di interessante a quanto riportato per esempio da questo articolo.

Condivido l’apprezzamento verso le scelte stilistiche degli autori: disegni bidimensionali, colori netti e senza sfumature, durata (5 minuti) sufficiente a raccontare una storia ma non tanto da annoiare i più piccoli, il commento sonoro puntuale e mai ornamentale. Mi piacciono anche gli elementi tipici della modernità (il papà che cucina mentre la mamma lavora, l’incontro con la famiglia dei conigli, che hanno abitudini “diverse” ma in fondo condividono i valori di base dei maialini, il ruolo diseducativo ma affettuoso dei nonni).

Sottoscrivo anche l’opinione di chi considera il merchandising intorno a questo prodotto eccessivo e invadente: scadente, aggiungo io, nel senso che i prodotti editoriali che sfruttano l’immagine di Peppa Pig non hanno nulla della geniale gestione dei contenuti del programma, ma si limitano a riproporre stancamente soluzioni che prima sono state di Winnie The Pooh, delle Principesse, di Topolino. Fin qui ribadisco concetti già ampiamente risaputi.

Ad un certo punto però ho sentito l’esigenza di aggiungere qualcosa al dibattito, in particolar modo dopo l’articolo sul tema di Gramellini. Ora, da sempre considero Gramellini uno scrittore e non un giornalista: in quanto tale tende a usare elementi e informazioni per raccontare le “sue” storie, per condirle e renderle saporite, per ammaliare il lettore e condurlo lungo un percorso che ha preparato per lui. Comportamenti ineccepibili per uno scrittore ma deontologicamente discutibili per un giornalista. In questo caso almeno Gramellini ha l’onestà intellettuale di ammettere la sua ignoranza sul tema, e il fatto di aver cercato di recuperare con una full-immersion di episodi della maialina rosa e della sua famiglia. Ora, Gramellini apprezza la famiglia così politically correct e rassicurante penstata dagli autori dopo anni di provocazioni, cinismo, sarcasmo e cattiveria. E così scatenando le ire di una certa sinistra radical chic per la quale se un programma non contiene incesto, tossicodipendenza e tratta delle bianche allora è mistificazione della realtà, è neofascismo edulcorato, è oppio per le coscienze da narcotizzare con immagini tranquillizzanti.

A parte il fatto che mi piacerebbe che la sinistra tornasse a cercare di risolvere i problemi invece di limitare a raccontarli con dissimulato compiacimento, in una catarsi consolatoria da piccolo borghesi che discutono di Darfur durante l’apericena, il punto è che sia Gramellini che trova Peppa Pig rassicurante sia i suoi oppositori che denunciano l’assensa di mafia e stupri durante gli episodi non mettono a fuoco il fulcro del programma. Che è il punto di vista narrativo, che è quello di una bambina di 4 anni.

Non so se avete presente cosa sia un diorama. Si tratta di una riproduzione ambientale che sfrutta le regole della prospettiva per rendere maggiormente realistici e avvolgenti gli scenari. Tipicamente si usa per il presepe o per altre scene di ambientazione religiosa: per godere però a pieno degli effetti pensati dall’autore bisogna vederli ponendo lo sguardo all’altezza dell’orizzonte del diorama. Infatti quando vengono mostrati al pubblico sono di solito presentati in modo che l’occhio dello spettatore raggiunga l’altezza delle statuine e che il campo visivo sia limitato. In questo modo – se l’autore è stato bravo – si può rimanere affascinati dai paesaggi tridimensionali, dagli ambienti paesaggistisci sullo sfondo, dal gioco di luci e di colori, dall’impressione di essere di fronte ad una fotografia in 3d. Se però un diorama lo si osserva lateralmente, o da un punto troppo alto o troppo basso, allora tutto il gioco si perde, e la magia è sostituita dall’osservazione sciapita di una specie di plastico stretto e lungo.

Per capire Peppa Pig bisogna osservarla come si osserva un diorama: dal punto di vista di un bambino. Che non è quello del critico televisivo e nemmeno quello del vicedirettore di un giornale. Io credo di aver imparato da Peppa Pig più dall’osservazione delle mie bimbe, fedeli spettatrici, che dalle mie limitate competenze analitiche. Non è corretto dire che Peppa Pig è rassicurante, perché non parla di buco dell’ozono, malattie invalidanti o crisi economica: questi temi sono estranei anche al più sfortunato bambino di tre anni (tra gli spettatori di Peppa Pig, ovviamente: quando hai lo stomaco gonfio per la fame hai problemi più seri ma di certo non guardi la tivù). Però questo non vuol dire che a due anni non si soffra: a quell’età si soffre per la rottura del giocattolo preferito, per la gelosia nei confronti del fratello o della sorella minore, per una gara all’asilo in cui non si riesce a primeggiare.

Voglio sperare che i miei 25 lettori non si siano ariditi al punto tale di aver dimenticato che per queste situazioni si può piangere, essere intimiditi, avere paura e in’ultima analisi soffrire a quell’età. E questi elementi sono tutti presenti in Peppa Pig: perché un bambino di tre anni nel mondo occidentale non ha paura del cybercrimine, ha paura di salire in cima ad uno scivolo. Però il batticuore, l’adrenalina e i tremori sono gli stessi, anche se certi grandi l’hanno dimenticato. Rassicurante per me è il manga giapponese in cui un orsacchiotto venuto dal futuro risolve tutti i guai infilando la mano in una tasca magica, non quello in cui Peppa impara che se vuole imparare a pattinare deve seguire i consigli della mamma, perché se non sai frenare poi finisci a terra, e ti fai male.

Se volete capire Peppa Pig, prima abbassatevi per porre lo sguardo all’altezza dell’orizzonte giusto. Fate ancora in tempo.

Un anno di pensieri del giovane papà

bimbe_in_bibliotecaBarbapapà – anni 70 – era un vero capofamiglia rispettato. Papà Pig – anni 2000 – è un imbecille deriso da tutti i familiari. Nella rappresentazione della figura paterna nei cartoni c’é la chiave per comprendere il declino dell’impero culturale occidentale.

A Fiabilandia con la famiglia. Nel castello di Mago Merlino giurerei di aver visto Alfano che gridava “pacificazioneeeee!”Infatti siamo usciti terrorizzati sia io che mia figlia.

Ho la casa talmente in disordine che stanno appassendo anche i fiori di plastica.

Papà, ma se diamo i miei giocattoli ai poveri poi divento povera io… Mia figlia ha un futuro da dirigente del PD.

Cinema? Sono un papà io, non guardo i film. Leggo le trame.

Dopo il ritorno di Fiona ed Hello Kitty, che sono ormai habitué, quest’anno fanno il loro ingresso nel presepe Peppa e Peppo (Peppo è George, Serena non riesce a chiamarlo così)

Sono le tre del mattino.
Uno sguardo femminile mi fissa ai piedi del letto, la sagoma nell’oscurità appena accennata, il movimento incerto. Una mano si muove verso di me.
Poi si tradisce:
– Papà, e il ciuccio?

Un parco senza bambini è come una pentola senza maccheroni. Però ogni tanto fa bene rinunciare ai carboidrati.

Aspetto da un momento all’altro che un ispettore dell’Onu bussi alla mia porta e mi chieda di analizzare un pannolino di mia figlia.

Dopo due ore di Peppa Pig anche Mr Bean sembra Kubrick.

Giuro che il prossimo mio mini pony, kitty club o quello che è che trovo in giro lo decapito con lo schiaccianoci.

Non è il fatto che la piccola abbia di nuovo nascosto il dentifricio a darti fastidio. É il dover chiudere la giornata lavandoti i denti con il dentifricio della grande che sa di marmellata di Big Bagol che proprio non si affronta…

Umiliato 32 a 16 dalla primogenita nel memory delle principesse. A mio discapito c’è da dire che non ho ancora capito la differenza tra Cenerentola, la Bella addormentata nel bosco (che è sempre Bella ma non è quella della Bestia) e la Sirenetta quando è in abiti civili.

A quindici mesi suonati nel sorriso di Serena è spuntata la prima sagoma di un dentino. “Vigliacco, l’hai fatto per la diaria” hanno commentato gli altri 31.

Messaggio per tutti i ragazzi che vogliono studiare comunicazione. Verrà il giorno in cui vostra figlia vi chiederà: che lavoro fai tu papà? E quel giorno invidierete profondamente i vostri amici insegnanti, medici o carabinieri.

Ma Martina, non puoi uscire con il pantalone del pigiama. Papà, quello è rosa! Perché invece quello che indossi di che colore è? È fucsia papà. Ecco. Dovrebbe essere impedito ai mezzi daltonici come me allevare figlie femmine.

[A proposito del referendum contro il finanziamento pubblico delle scuole private]Non c’è posto sull’autobus? Non ti piacciono? Sono scomodi? Sono poco efficienti? Non vuoi condividerli con persone diverse da te? Bene. Chiama un taxi e pagatelo, non ho nulla in contrario se usi un mezzo privato e te lo finanzi tu. E perché mai allora dovrei pagare io per la tua scuola privata?

“Papà, credo che essere grossi aiuti a tirare pugni forti”. Martina alle prese con la delusione di essere stata sopraffatta da una compagna di scuola materna anagraficamente più giovane ma evidentemente ben piazzata,

Sono sempre più intimamente convinto che prima dell’homo erectus venne la mulier erecta che si mise in piedi per raggiungere più agevolmente i giocattoli della sorella

“Papà hai i capelli bianchi” “Eh, Martina, mi state facendo diventare vecchio” “Non preoccuparti papà, più diventiamo grandi noi bimbe meno serve il papà”

 

Trapanature

sassolinoC’è una drammatica puntata di Peppa Pig di cui sento il bisogno di parlarvi. E siccome credo l’abbiano trasmessa almeno 600 volte, non corro il rischio di rovinare il finale a nessuno. Ebbene, durante l’episodio, quell’inetto, supponente, incapace suino che dovrebbe rappresentare il ruolo paterno (anche conosciuto come Papà Pig) per piantare un chiodo fa un buco nella parete grande quanto una finestra. Siccome del papà ha almeno la capacità di iniziativa, munito di calce e mattoni rimette tutto a posto e trova persino il tempo di fare il bagnetto ai due piccolini.

Ebbene, chi mi conosce sa che mi sento a mio agio con una matita, una penna, o – per essere più al passo con i tempi – con tastiera e mouse. Anche macchina fotografica e videocamera sono strumenti a me familiari, e non disdegno certo scopa, aspiravolere, pentole e ferro da stiro. Eppure.

Eppure con un trapano in mano tutte le insicurezze di una adolescenza mediocre riemergono da un passato che credevo sepolto. Non fa per me, il trapano. Il trapano non ha il tasto “annulla”, non permette di fare prove o correggere errori. Con il trapano è sempre “buona la prima”, e se non è buona ti arrangi. Diciamola poi tutta: fare un buco in una parete non è che sia poi un’impresa così difficile. Prendi le misure, acquisti una posizione quanto più eretta possibile, vai. Cosa diamine potrà mai succederti?
Potrà succederti di trovare sulla tua strada un sassolino. Praticamente, ogni tre buchi che faccio a casa mia, uno è interrotto da un incontro ravvicinato con un sassolino. Nel dopoguerra i costruttori non si facevano troppi scrupoli, e per tirare su una palazzina usavano quel che avevano. Non escludo di aver incrociato anche la sagoma di un cranio risalente al mesozoico e un frammento di un armatura medievale, nelle mie attività di perforatore. E insomma, quando trova il sassolino, il giovane papà deve trovare una soluzione, un workaround, come dicono gli informatici. Già immagino alcuni saputelli tra voi che fanno spallucce, pensando: dilettante, con il mio Diamond Seek and Destroy Professional nessun sassolino avrebbe opposto resistenza. E va bene, il vostro Trapanik Kill’em All 2000 probabilmente non si lascia impressionare, il mio è sindacalizzato e di fronte ad un sasso di traverso comincia a cianciare di mansionario e indennitò e incrocia le braccia. Per cui ho dovuto estrarre il maledetto sassolino prima che mi consumasse la punta come una matita colorata, e alla fine non dico di aver fatto una finestra come Papà Pig, ma di certo avevo un buco un po’ più grande del fisher che avevo pensato di usare. Ce ne sarebbero stati tre o quattro e neppure troppo stretti.

Vista la scarsa credibilità nei confronti delle figlie della sua immagine di intellettuale (e non solo delle figlie, ahimè), il giovane papà ripensa a Papà Pig, se ce l’ha fatta quel grassone perché dovrei fermarmi io, si dota di cemento a presa rapida e risolve la questione. Ta-dah. Sono soddisfazioni.

Per la signora del piano di sotto: se un forte rumore dovesse svegliarla nella notte, non sono i ladri. È il televisore delle mie figlie che ho appeso io.

 

Cortili

Era il Maracanà esaurito in ogni ordine di posti dove vinsi la Coppa Intercontinentale con il Taranto, segnando di testa, in rovesciata e persino di tacco. Era la tana dei gangster dove alla guida della mia squadra di agenti speciali sventrai le organizzazioni criminali consegnando alle patrie galere i miei nemici giurati. Era il pianeta azzurro (o forse lillà, i colori non sono mai stato il mio forte) dove atterrai con la mia astronave riorganizzando la rivolta contro l’impero di Mingor e i suoi druidi assassini.

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Era il cortile di casa mia.

Se devo identificare un luogo della mia infanzia, non avrei dubbi nell’indicarlo. Complice una fantasia ipertrofica, in quel cortile ho trascorso intere giornate, vivendo avventure mozzafiato di cui ero regista, interprete e unico spettatore. Quando qualcuno mi vedeva saltare, gridare o addirittura prendere a calci palloni immaginari, chiedeva a mia madre se andava tutto bene, e lei sì, rassicurava che quel figlio non era affatto matto, non del tutto almeno, solo giocava in maniera piuttosto originale.

Crescendo ho affiancato alla fantasia una serie di discipline sportive reali: ciclismo – con i miei cugini e i mie fratelli giravamo in tondo quel cortile per giornate intere, e vinceva chi metteva i piedi per terra per ultimo – calcio – la porta era sotto la finestra di mia sorella, ma quando studiava non si potevano chiudere le persiane e quindi toccava tirare solo rasoterra – pallacanestro.

Come nelle migliori tradizioni hollywoodiane, mio padre assecondò la mia passione mettendo un canestro in cortile. Solo che il cortile era un po’ sghembo, per  cui ero bravo a tirare da fuori da sinistra, mentre da destra potevo riuscire solo con il sottomano. E però dovevo giocare con un ridicolo Super Santos, troppo leggero, perché le piante di mia nonna soffrivano troppo i rimbalzi di un vero pallone da basket.

E poi ancora in quel cortile hanno visto la luce piste per le gare di ciclotappo, epiche sfide con le biglie, persino partite di pallavolo (alle ragazze piaceva). Era in quel cortile che mio padre installava il suo enorme plastico per treni elettrici, e rimaneva deluso nel rendersi conto che non mi entusiasmava vedere il treno girare in circolo e preferivo mettere un po’ di pepe alla sceneggiatura lasciando una macchinina bloccata sul tragitto e guardandolo deragliare.

Se c’è un frustrazione che provo come giovane papà è il fatto di non poter dare alle mie figlie un cortile. Negli appartamenti non ci sono. Alcuni hanno il giardino, altri uno spazio condominiale, ma un cortile è un’altra cosa. A Bologna i cortili sono quei giardini meravigliosi all’interno di palazzi signorili dove si affacciano studi notarili e cliniche odontoiatriche per vip,  e dove un bambino con una palla verrebbe allontanto con male parole e rinchiuso in riformatorio, in caso di recidiva.

Per fortuna per ora per Natale mi hanno chiesto bambole, pupazzi e altri regali prevedibili. Se un giorno mi dicessero: papà, vorrei un cortile, sarei costretto ad ammettere che Babbo Natale non può permetterselo.

Il marketing ai tempi di Peppa Pig

bimbeLa mattinata di sabato scorso è stata piuttosto intensa e abbiamo sfiorato un piccolo dramma familiare, ma se non altro mi è servita per ripassare due o tre concetti di marketing che credevo di aver dimenticato.

  1. Se operi nel commercio, devi analizzare il mercato e orientarti verso la clientela le cui caratteristiche la rendono per te più vantaggiosa. Trascura quelle meno redditizie, se necessario, ma non trascurare i tuoi clienti più affidabili. in un periodo di crisi un papà può rinunciare al giornale e al caffé, ma non rinuncerà ad allietare il fine settimana di sua figlia. Per cui devi avere assolutamente le patatine con la sorpresa.
  2. Non basta; devi avere le antenne sempre alzate e captare le tendenze dell’opinione pubblica. Cioè devi avere assolutamente le patatine di Peppa Pig. Perché se ci sarà in futuro un’etichetta per il secondo decennio del secolo, sara “l’era di Peppa Pig”.
  3. Le scorte vanno riassortite in fretta, e il magazzino gestito con flessibilità e raziocinio. Se avevi le patatine di Peppa Pig la settimana scorsa, ma per qualche motivo non ce n’è più traccia mentre quelle delle tartarughe Ninja sono ancora lì, svegliati! Le tartartughe sono il passato! Devi riempire in fretta la mensola di patatine di Peppa Pig! Se possibile, riempirne un settore intero.
  4. Se hai risposto affermativamente ai punti precedenti, allora devi comunicare alla clientela la tua condizione: hai una killer application, hai le patatine di Giuseppina Maialina, diamine tutti devono saperlo.

Il marketing nel mio quartiere è materia sconosciuta. La piccola Coop non ha mai avuto le patatine in questione, e nemmeno il negozietto di stranieri (magari sono pakistani e non mangiano il maiale, e nemmeno le patatine con l’effige del maialina. Hai visto mai. No, no, non ha senso, i pakistani vendono ettolitri di vinello, se è per questo). La Coop più grande ce le aveva, ma le ha finite. La Conad (siamo arrivati fino alla Conad! Alla fine mia figlia era esausta) ha una varietà di patatine assolutamente fuori dal mercato: Sponge Bob, Monster e Co., Hello Kitty. Sconfitti, abbiamo ripiegato su quest’ultima dopo un peregrinare di oltre un’ora.
Se qualcuno sa dove trovare le maledettissime patatine di Peppa Pig, me lo dica entro sabato prossimo. Fino a 200 km di strada posso farli.

Feste di compleanno

Festa di compleannoDomani festeggeremo il quinto compleanno di mia figlia. Come da suo desiderio, lo festeggerà insieme ai suoi compagni di scuola materna in un ex-stabilimento industriale riconvertito a ludoteca pieno di gonfiabili, piscine con le palline, giochi di varia natura, murales a tema.
Inevitabilmente il giovane papà in queste circostanze corre con la memoria ai suoi, di compleanni.

Per inciso, evitate le battutine argute, ho intitolato la sezione “Giovane papà” cinque anni fa, adesso non posso cambiargli nome in “Papà adulto”. Si tratta di una questione di search engine marketing, mica  per altro. Almeno sul mio sito, rimarrò giovane papà per sempre: chiuso inciso.

Ebbene, tanto per cominciare le mie feste di compleanno in età prescolare non prevedevano la presenza di compagni di classe. Un po’ perché io, come la maggior parte dei miei coetanei meridionali con la mamma casalinga, la scuola materna l’ho davvero frequentata dopo i cinque anni, e solo al mattino. Mia figlia invece con i suoi coetanei passa sette, otto ore al giorno, e ha conosciuto anche due anni di nido. Un po’ perché le feste di compleanno si organizzavano sempre ed esclusivamente in casa, e per quanto grandi potessero essere le abitazioni, questo voleva dire ospitare almeno una decina di cugini, più qualche vicino di casa e qualche altro parente alla lontana. E quindi lo spazio per tutti non c’era.

Benché le case dei meridionali avessero questa capacità magica di allargarsi, quasi fossero elastiche, in certe situazioni: un letto scompariva nascosto nello sgabuzzino, un tavolo finiva dietro l’armadio, i mobili si ritraevano timidamente negli angoli: le case sembravano persino più alte. E si faceva sempre e comunque posto per tutti: nonni, zii, cugini, amici. Talvolta capitava che gli uomini se ne andassero in una stanza a giocare a tresette, mentre le donne in un’altra si aggiornavano sulle eccitanti novità paesane. Noi bambini ce ne andavamo nella cameretta, e ci stavamo tutti larghi, anche perché, diciamoci la verità, il più ricco allora di noi aveva la metà dei giocattoli che hai il più povero dei bambini di oggi.

Quello che non mancava mai in quelle feste erano le sedie, ovunque, in sala, in cucina, nei corridoi, in balcone, e su ognuna c’era seduto qualcuno, la nonna sorridente con le braccia conserte, lo zio più giovane che collaborava nello sperimentare i giocattoli ricevuti in regalo, la cugina più grande con il completo nuovo a cui per la prima volta veniva autorizzata la presenza nel soggiorno, cerimonia tacita di iniziazione. Ovviamente le feste riuscivano meglio d’estate, quando si poteva sfruttare cortili e balconi, ma io sono nato a marzo, e per quanto la Puglia sia una regione tendenzialmente calda, se deve fare freddo lo fa a marzo. Eppure ci stavamo tutti ed eravamo felici, in quelle feste con le pizzette e la focaccia con le cipolle fatte dalla mamma, la torta con al massimo il nome del festeggiato e le candeline riciclate dall’ultima festa, i bicchieri con il nome scritto con il pennarello perché non bastavano mai.
E c’erano sempre tutti perché all’epoca non avevano ancora inventato il “mi dispiace ma ho già preso un altro impegno”.

Altri tempi, altri luoghi. Sono sicuro che mia figlia, con la sua torta preparata in pasticceria con l’effige della Bella Addormentata nel bosco (oddio ma era quella che voleva? O era forse Cenerentola?), con le centinaia di bicchieri comprati dal papà che esorcizza la povertà comprando bicchieri di plastica in eccesso, con i gonfiabili dove giocherà con i suoi amici, domani si divertirà.

In cuor mio spero se chi diverta almeno quanto mi divertivo io,  in quelle feste in casa di trent’anni fa.