Qualche anno fa vicino a casa mia è stato inaugurato un posto avveniristico e affascinante: un supermercato biologico. Tutto, dai detersivi naturali alla pasta, dai prodotti per diabetici e ciliaci ai libri sulla meditazione, sapeva di moderno e antico al tempo stesso, di innovativo e tradizionale, di genuino e di raffinato. Il negozio ha chiuso qualche settimana fa e verrà sostituito da un discount. Perchè? Semplice: personalmente andavo in quel supermercato per fare i regali, non la spesa, visti i costi proibitivi. Tutto costava molto di più, e se uno sforzo per prodotti non di largo consumo come creme, dolci o deodoranti era pensabile, di certo non si poteva comprare la pasta tutti i giorni ad un costo proibitivo. A questo, siamo arrivati, a non poterci permettere più il cibo naturale, perché quello tecnologico ha invaso i mercati. Magari nel caso del supermercato biologico di Bologna c’è stata anche scarsa cura manageriale, non so, ma di sicuro la sua chiusura deve far suonare un campanellino d’allarme.
Non siamo ancora alla pecora elettrica, ma la direzione è quella.
Oggi ho voglia di autocompiacimento, perdonatemi ma se non fossimo un po’ narcisi non perderemmo tempo con l’arte , e voglio godermi una breve recensione del mio racconto "il richiamo" leggibile qui http://www.kultvirtualpress.com/articoli.asp?data=223 in cui il mio testo viene definito "cupamente ironico". L’appellativo mi piace moltissimo, sa di chiaroscuro, di contrasto, di agrodolce. Non so se posso meritarmelo, ma caspita, ne sono fiero. Cupo e ironico. Uao. Come la vita. Lontano milioni di anni luce eppure sulla stessa strada che fu di grandi autori. Queste sono soddisfazioni. PS L’autore dell’articolo non è mio cugino. E non l’ho pagato. Anche se forse dovrei.
Oggi devo fare una dichiarazione dolorosa che riguarda la mia sfera privata, privatissima. Di solito non uso mai questo blog per toccare temi estremamente personali, ma questa volta gli eventi mi costringono a farlo. Farò un coming out, come si dice oggi. Comunque alcuni miei amici e parenti più prossimi già lo sanno, per altri immagino l’amarezza di venirlo a sapere tramite un blog, e mi scuso per il dolore che gli procurerò. Ebbene, credo sia arrivato il momento di annunciare al mondo che c’è stato un periodo troppo lungo della mia vita in cui sono stato juventino. Ecco. L’ho detto. Il Taranto veniva sempre prima, ricordo ancora come uno dei pomeriggi più belli quelli della vittoria 2-1 del Taranto contro la Juventus di Maifredi in coppa Italia (perdemmo 2-0 al ritorno), ma insomma, l’ho ammetto, sono stato juventino. Era la Juventus di Platini, l’idolo della mia adolescenza, avevo anche il suo poster. E poi Tacconi Favero Cabrini Bonini Brio… La sconfitta di Amburgo, la tristezza infinita dell’Hysel, le sfide contro la Roma di Falcao… Altri tempi. Il mio tifo juventino era assolutamente incompatibile con la presenza nella dirigenza di uno come Luciano Moggi. Credo di poter dire che la mia ultima partita da tifoso juventino sia stata la finale di Champion League vinta ai rigori con l’Ajax. Poi basta, poi lo scandaloso scudetto rubato all’Inter e tutte le altre magagne mi hanno allontanato al punto di gioire sinceramente quando la Lazio le portò via lo scudetto grazie alla pioggia di Perugia. Una squadra che vince tutto in Italia e viene mortificata all’estero ha qualcosa che non va. Non me ne vogliano gli amici che rimangono juventini, ma ieri ho visto 20 minuti della partita con l’Arsenal (di più non ne tollero più, il calcio ormai mi annoia) e ho capito subito che o l’arbitro inventava qualcosa come succede spesso in Italia, o si tornava a casa. Si è tornati a casa.
Non so se le barzellette sui carabinieri siano vere, di certo ci sono certe gustose vicende sui vigili urbani di Bologna che meritano di essere raccontate. Domenica sera, porta San Donato, svolto a sinistra per via Malaguti. Di fronte a me, una coppia di simpatiche e brillanti vigilesse uscite da un master in furbizia ad Harvard in mette la freccia per svoltare a sinistra in direzione opposta. Piccolo dettaglio: svoltare in via Irnerio per chi viene da viale Filopanti come le due talentuose giovani fanno è vietato. Lo fanno tutti perchè fare il giro è noioso, e lo fanno anche le due luminari universitarie in astuzia. Mi innervosisco, perché dovrebbero dare il buon esempio, ma tollero. Ma le due future premi nobel a questo punto danno il colpo di grazia: cominciano a sfanalarmi, mi costringono ad abbassare il finestrino indicando che non potrei svoltare a sinistra perché sarebbe corsia preferenziale. Spiego alle due scienziate che via Malaguti è preferenziale – e solo per una corsia – in senso opposto, e purtroppo non faccio in tempo a mostrare che sono loro che stanno compiendo un’infrazione. Che fare di fronte ad un vigile che imbocca una svolta proibita e riprende un automobilista corretto? Niente, raccontarlo sorridendo. O magari fare un appello a chi, al comune, le ha assunte. Non metto in dubbio i titoli per cui queste due principesse della scaltrezza hanno vinto il concorso. Solo, come cittadino, domando che facciano un corso di scuola guida dopo l’assunzione. Così, tanto per stare certi che i titoli fossero ben documentati.
Quale modo migliore di festeggiare le donne che citare il testo di quello che è considerato uno dei migliori autori italiani e che ha vinto a Sanremo nella categoria donne?
Essere una donna non vuol dire riempire solo una minigonna non vuol dire credere a chiunque se ti inganna. Essere una donna è di più, di più, di più, di più è sentirsi viva è la gioia di amare e di sentirsi consolare stringere un bambino forte, forte sopra il seno con un vero uomo accanto a sé Essere guardata e a volte anche seguita mi pesa. Certi complimenti se son rozzi poi ti senti offesa.
Oggi mi è arrivata una e-mail dal Brasile, potenza della rete. Trattavasi di un tale Daniel che è alla ricerca delle sue radici italiane, e voleva risalire ad un suo avo, Antonio Caputo da Salerno. Ha pensato bene di cercare in rete tutti gli Antonio Caputo disponibili (mio padre si chiama così, avrà visto uno dei suoi quadri) e di chiedere loro informazioni. Purtroppo non ho relazioni di parentela con Daniel (gli avrei fatto visita volentieri) però l’idea mi ha colpito. In fondo la rete è uno strumento formidabile per cercare informazioni, perché non provare a tracciare il nostro albero genealogico in questo modo? Io per esempio so di uno zio di mio nonno che in America c’è andato veramente, anche se quella del Nord. Magari dovrei mettermi a cercare i suoi discendenti. Già. E per dirgli che? Per chiedergli se gli piacciono gli spaghetti, il mare e le donne italiane? Per farmi raccomandare e trovare lavoro negli States? Per raccontargli il baratro in cui questo paese sta sprofondando da qualche anno a questa parte? Uhm. Evidentemente non sono preparato. Aspetterò. Che mi trovino loro, nel frattempo mi preparo un discorso intelligente…