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ll congegno antivecchiette

Non so se vi è mai capitato di accedere ad uno di quegli edifici dotati di controllo biometrico delle entrate. Quasi sempre si tratta di banche che, prima di farvi entrare, vi infilano in una cabina trasparente e vi chiedono cortesemente l’impronta digitale. Così, se svuotate il caveau e ammazzate le cassiere, almeno sanno subito che impronta avete. O magari hanno un sistema lombrosiano che rifiuta i clienti con le impronte riconducibili al carattere criminale.
Quale che sia l’obiettivo, questi strumenti sono fenomenali per bloccare una delle piaghe sociali di Bologna, e cioè il problema delle vecchiette salta fila. Le vecchiette si infilano ovunque, tu sollevi il braccio per indicare al panettiere lo sfilatino che ti interessa e loro pronte guadagnano spazio, si infilano nell’intercapedine e ordinano tre rosette; tu stai per chiedere un etto di prosciutto con il tuo numeretto salvafila in mano e loro, con un numeretto artefatto che conservano da decenni, ti scartano con indifferenza e ordinano 25 grammi di prosciutto non troppo salatino ma di quello buono. Contro gli accessi biometrici, le vecchiette non possono nulla: si entra uno alla volta. Per non parlare del fatto che il dito incartapecorito spesso e volentieri non viene riconosciuto dalla macchina insensibile che lo cataloga come tessuto inorganico.
 Uno alla volta, anche per chi ha lasciato le finestre aperte a casa o ha fretta perché sta per cominciare il TG4. Voglio l’accesso biometrico anche alla posta e dal medico, lo voglio subito!

Il tramonto del bio

Immagine di http://www.scottliddell.net

Qualche anno fa vicino a casa mia è stato inaugurato un posto avveniristico e affascinante: un supermercato biologico. Tutto, dai detersivi naturali alla pasta, dai prodotti per diabetici e ciliaci ai libri sulla meditazione, sapeva di moderno e antico al tempo stesso, di innovativo e tradizionale, di genuino e di raffinato. Il negozio ha chiuso qualche settimana fa e verrà sostituito da un discount. Perchè? Semplice: personalmente andavo in quel supermercato per fare i regali, non la spesa, visti i costi proibitivi. Tutto costava molto di più, e se uno sforzo per prodotti non di largo consumo come creme, dolci o deodoranti era pensabile, di certo non si poteva comprare la pasta tutti i giorni ad un costo proibitivo. A questo, siamo arrivati, a non poterci permettere più il cibo naturale, perché quello tecnologico ha invaso i mercati. Magari nel caso del supermercato biologico di Bologna c’è stata anche scarsa cura manageriale, non so, ma di sicuro la sua chiusura deve far suonare un campanellino d’allarme.
Non siamo ancora alla pecora elettrica, ma la direzione è quella.

Cupo e ironico

Oggi ho voglia di autocompiacimento, perdonatemi ma se non fossimo un po’ narcisi non perderemmo tempo con l’arte , e voglio godermi una breve recensione del mio racconto "il richiamo" leggibile qui http://www.kultvirtualpress.com/articoli.asp?data=223 in cui il mio testo viene definito "cupamente ironico". L’appellativo mi piace moltissimo, sa di chiaroscuro, di contrasto, di agrodolce. Non so se posso meritarmelo, ma caspita, ne sono fiero. Cupo e ironico. Uao. Come la vita. Lontano milioni di anni luce eppure sulla stessa strada che fu di grandi autori. Queste sono soddisfazioni. PS L’autore dell’articolo non è mio cugino. E non l’ho pagato. Anche se forse dovrei.

Faccio coming out

Oggi devo fare una dichiarazione dolorosa che riguarda la mia sfera privata, privatissima. Di solito non uso mai questo blog per toccare temi estremamente personali, ma questa volta gli eventi mi costringono a farlo. Farò un coming out, come si dice oggi. Comunque alcuni miei amici e parenti più prossimi già lo sanno, per altri immagino l’amarezza di venirlo a sapere tramite un blog, e mi scuso per il dolore che gli procurerò. Ebbene, credo sia arrivato il momento di annunciare al mondo che c’è stato un periodo troppo lungo della mia vita in cui sono stato juventino.
Ecco.
L’ho detto.
Il Taranto veniva sempre prima, ricordo ancora come uno dei pomeriggi più belli quelli della vittoria 2-1 del Taranto contro la Juventus di Maifredi in coppa Italia (perdemmo 2-0 al ritorno), ma insomma, l’ho ammetto, sono stato juventino. Era la Juventus di Platini, l’idolo della mia adolescenza, avevo anche il suo poster. E poi Tacconi Favero Cabrini Bonini Brio… La sconfitta di Amburgo, la tristezza infinita dell’Hysel, le sfide contro la Roma di Falcao… Altri tempi. Il mio tifo juventino era assolutamente incompatibile con la presenza nella dirigenza di uno come Luciano Moggi. Credo di poter dire che la mia ultima partita da tifoso juventino sia stata la finale di Champion League vinta ai rigori con l’Ajax. Poi basta, poi lo scandaloso scudetto rubato all’Inter e tutte le altre magagne mi hanno allontanato al punto di gioire sinceramente quando la Lazio le portò via lo scudetto grazie alla pioggia di Perugia. Una squadra che vince tutto in Italia e viene mortificata all’estero ha qualcosa che non va. Non me ne vogliano gli amici che rimangono juventini, ma ieri ho visto 20 minuti della partita con l’Arsenal (di più non ne tollero più, il calcio ormai mi annoia) e ho capito subito che o l’arbitro inventava qualcosa come succede spesso in Italia, o si tornava a casa.
Si è tornati a casa.

Vigilate sulle vigilesse!

Non so se le barzellette sui carabinieri siano vere, di certo ci sono certe gustose vicende sui vigili urbani di Bologna che meritano di essere raccontate. Domenica sera, porta San Donato, svolto a sinistra per via Malaguti. Di fronte a me, una coppia di simpatiche e brillanti vigilesse uscite da un master in furbizia ad Harvard in mette la freccia per svoltare a sinistra in direzione opposta. Piccolo dettaglio: svoltare in via Irnerio per chi viene da viale Filopanti come le due talentuose giovani fanno è vietato. Lo fanno tutti perchè fare il giro è noioso, e lo fanno anche le due luminari universitarie in astuzia.
Mi innervosisco, perché dovrebbero dare il buon esempio, ma tollero. Ma le due future premi nobel a questo punto danno il colpo di grazia: cominciano a sfanalarmi, mi costringono ad abbassare il finestrino indicando che non potrei svoltare a sinistra perché sarebbe corsia preferenziale. Spiego alle due scienziate che via Malaguti è preferenziale – e solo per una corsia – in senso opposto, e purtroppo non faccio in tempo a mostrare che sono loro che stanno compiendo un’infrazione. Che fare di fronte ad un vigile che imbocca una svolta proibita e riprende un automobilista corretto? Niente, raccontarlo sorridendo.
O magari fare un appello a chi, al comune, le ha assunte. Non metto in dubbio i titoli per cui queste due principesse della scaltrezza hanno vinto il concorso. Solo, come cittadino, domando che facciano un corso di scuola guida dopo l’assunzione. Così, tanto per stare certi che i titoli fossero ben documentati.

Essere una donna

Quale modo migliore di festeggiare le donne che citare il testo di quello che è considerato uno dei migliori autori italiani e che ha vinto a Sanremo nella categoria donne?

Essere una donna
non vuol dire riempire solo una minigonna
non vuol dire credere a chiunque se ti inganna.
Essere una donna è di più, di più, di più, di più
è sentirsi viva
è la gioia di amare e di sentirsi consolare
stringere un bambino forte, forte sopra il seno
con un vero uomo accanto a sé
Essere guardata
e a volte anche seguita
mi pesa.
Certi complimenti se son rozzi poi ti senti offesa.

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