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In coda su Internet

Da dicembre gli utenti Internet italiani, in particolare quelli che usufruiscono direttamente o indirettamente delle infrastrutture Telecom, stanno riscontrando da dicembre una serie di difficoltà nel navigare.
Durante le ferie natalizie ho potuto personalmente riscontrare questo problema, perché a casa dei miei l’adsl funziona solo quando non la usa nessuno. Dopo quattro giorni di telefonate e minacce al 187, finalmente ha ripreso a funzionare. Pensavo fosse un problema locale, e invece scopro dai quotidiani che il problema riguarda tutta l’Italia.
Gli espertoni spiegano che è colpa di virus, malware, e hanno risolto tutto chiedendo agli utenti di aggiornare l’antivirus, con la solita incredibile capacità di rovesciare le colpe che hanno certi espertoni. Come mai questi virus colpirebbero solo l’Italia? Sono autoctoni? Non parlano le lingue? Difficile da credersi.
E come mai si attivano soprattutto nel weekend, la sera e durante le vacanze come dimostrano i report? La verità è che da mesi i gestori vendono fumo: adsl a 20 mega a pioggia, costi fissi, tariffe scontate. Ma la rete è sempre quella, e di più non va. Altro che iptv, la televisione su Internet. Neanche le e-mail è possibile leggere, in certi momenti.
Se vi chiedessero di pagare una tariffa aggiuntiva in autostrada che vi promette di viaggiare sempre e comunque a 130 all’ora la comprereste? Certo che no, chi ha un minimo di esperienza sa che è impossibile viaggiare a quella veleocità quando c’è una coda, e poi ci sono i caselli, il maltempo.
Però l’adsl a 20 mega l’abbiamo comprata quasi tutti.
E adesso stiamo in coda.

Parole proibite

Orwell pensava,o forse temeva, un futuro in cui fossero proibite alcune parole come democrazia o libertà, e purtroppo in Cina qualcosa del genere già esiste, grazie anche alla compiacenza delle aziende americane pronte a difendere i diritti dell’uomo solo se non intralciano il loro business. Mi riferisco per esempio alla censura esercitata dalla versione cinese di Yahoo e Google, che non mostrano siti politicamente sgraditi.
Ma anche da noi, involontariamente, si sta diffondendo una sorta di censura nominalista: è quella dei filtri anti-spam. Stanco di ricevere e-mail spazzatura che propongono di vendere il viagra, io posso impostare il filtro affinché cancelli tutte le parole che contengono la parola viagra. E poi quelle che contengono Cialis, e penis, e così via. Solo che se un mio amico mi scrive facendo magari una battuta sul viagra che mi regalerà a Natale, io quella e-mail non la ricevo, perché il filtro è stupido.
Man mano che gli spammer aumentano i loro invii, noi registriamo i filtri, ma, non so a voi, a me la soluzione mi mette a disagio…

Intercettatemi!

Moggi non mi ha mai chiamato. Da Ricucci neanche un sms, niente, per non parlare di politici, i quali al limite mi hanno risposto con l’e-mail preconfezionata se sollecitati tramite posta elettronica per qualche campagna. Oggi per contare qualcosa devi essere intercettato, la vera intellighenzia al potere la si interpreta così.
 Molti si scandalizzano parlando di violazione di privacy, quando leggono di un designatore arbitrale che ripete "devi vedere anche quello che non c’è", oppure quando un direttore sportivo ricorda a chi deve giudicare che va bene una multa, ma la squalifica a suo figlio è fuori discussione.
Che vergogna, le intercettazioni, o quello che dicono gli intercettati?
E allora mi metto in ballo, e mi domando: e se intercettassero me? Bella roba. Discussioni con la mia fidanzata sul preventivo della veranda. Commenti sarcastici con mio fratello su Keith Richards che cade da una palma da cocco (e manda all’aria un tour mondiale per il quale mio fratello aveva i biglietti). Qualche sms (compromettente?) al mio capo per avvisare che arrivo in ritardo in ufficio.
Bah, non lo so, sarà una forma di pudore, l’educazione cattolica, la completa estreneità alle logiche di business, ma la verità è che se mi intercettassero non credo che mi sentirei in imbarazzo, si tratterebbe soprattutto di conversazioni private certo, ma poco piccanti, noiosamente affogate nel lecito. Non va bene. Stasera chiamo un amico e gli ricordo di quella volta che ci drogammo e rubammo un elicottero atterrando in Piazza del Popolo a Roma. Ovviamente non è vero.
Ma se un giorno pubblicassero le intercettazioni, che figura ci faccio senza un po’ di pepe?

Lo zio d’America

Oggi mi è arrivata una e-mail dal Brasile, potenza della rete. Trattavasi di un tale Daniel che è alla ricerca delle sue radici italiane, e voleva risalire ad un suo avo, Antonio Caputo da Salerno. Ha pensato bene di cercare in rete tutti gli Antonio Caputo disponibili (mio padre si chiama così, avrà visto uno dei suoi quadri) e di chiedere loro informazioni. Purtroppo non ho relazioni di parentela con Daniel (gli avrei fatto visita volentieri) però l’idea mi ha colpito. In fondo la rete è uno strumento formidabile per cercare informazioni, perché non provare a tracciare il nostro albero genealogico in questo modo? Io per esempio so di uno zio di mio nonno che in America c’è andato veramente, anche se quella del Nord. Magari dovrei mettermi a cercare i suoi discendenti. Già. E per dirgli che? Per chiedergli se gli piacciono gli spaghetti, il mare e le donne italiane? Per farmi raccomandare e trovare lavoro negli States? Per raccontargli il baratro in cui questo paese sta sprofondando da qualche anno a questa parte? Uhm. Evidentemente non sono preparato. Aspetterò. Che mi trovino loro, nel frattempo mi preparo un discorso intelligente…

Fisicamente

“Fisicamente” è un avverbio, e come tutti gli avverbi andrebbe usato con parsimonia; come un suo collega (quell'”assolutamente” che domina le nostre risposte affermative e negative) sta vivendo un momento di gloria in questa stagione della lingua italiana.
“Dobbiamo fisicamente dirgli…” “abbiamo bisogno fisicamente di un supporto” “questo sarà un’occasione per scambiarci fisicamente delle esperienze”. Le battute triviali si sprecano, in un tripudio di doppi sensi che finalmente riporta in auge il corpo, o meglio il fisico, ai danni dell’anima, con buona pace dei seguaci di San Paolo e dei mistici di tutto il mondo. Ma non è questo il punto: interessante è invece notare come in una società dove tutto è immateriale, si discute tramite videocellulare o conference call, si scrive solo con le e-mail e ci si innamora via chat, torna alla ribalta un avverbio che differenzia un’attività dalle altre proprio per il suo aspetto concreto, fisico, materiale. Una volta sarebbe stato pleonastico, adesso suona indispensabile. Come sempre, evitiamo di esagerare. Meglio “vorrei farle una proposta di persona, se ne avrò l’occasione” di “vorrei fisicamente farle una proposta”. A meno che l’interlocutore non sia una bella donna procace e la proposta qualcosa che di cui non si può parlare in un blog per bene come questo…