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Creatività precaria

uffici2001

  • Ma davvero hai mandato il curriculum a diverse aziende?
  • Certo.
  • E se poi ti chiamano, ci vai al colloquio?
  • Certo che sì.
  • Mah, io non potrei mai. Tutti i giorni la stessa vita, sveglia presto, timbri il cartellino, un capo che ti dà ordini tutto il tempo, le riunioni, gli straordinari. Per carità, non c’è niente di male per un operaio, o un ragioniere. Ma per un esperto di comunicazione è diverso. Noi abbiamo bisogno di stimoli, di allevare la nostra creatività, di viaggiare. Non possiamo inaridirci dietro una scrivania. Sono appunto stato ad un convegno sulla convergenza digitale, guarda il futuro è quello, verrà il giorno in cui i computer, i telefoni e le televisioni saranno connessi, e ci sarà un sacco di lavoro per chi produrrà contenuti. E un sacco di soldi.
  • Può darsi, non dico di no. Però io non ho il carattere per fare l’imprenditore e nemmeno i soldi. Se trovo un lavoro bene, altrimenti non so nemmeno quanti mesi potrò mantenermi a Bologna.

2005

  • Ciao come stai? Ehilà che eleganza, che bel vestito. Ma allora? Non dirmi che davvero ti sei fatto assumere in banca?
  • No, non in banca… Però sì, sono un impiegato.
  • Ma dai, non posso crederci, e davvero timbri il cartellino, poi vai in pausa pranzo con i colleghi, caffettino a parlare di vacanze, il sabato la spesa e queste robe qui?
  • Be’ più o meno…
  • E dai, con il tuo talento, sprecarti così per mille euro al mese, scommetto! Sono appena stato ad un workshop ad Amsterdam sulla nuova cittadinanza, le nuove reti di connessione, c’è un mondo di occasioni da sfruttare! Domenica parto per una serie di conferenze a Barcellona, in una sono relatore, perché non ci vieni?
  • Be’, veramente è novembre, prendere una settima di ferie in questo periodo…
  • Già, le ferie, che dramma! Ma scusa, non hai un po’ di flessibilità, tipo staccare per una settimana o due per fare un po’ di formazione, ricarburare, approfondire i tuoi interessi… Prenditi un anno sabbatico, no?
  • Per me la flessibilità vuol dire entrare tra le 8,30 e le 9,30…
  • Non me lo dire, ti prego, non me lo dire, non ti posso vedere sprecare così la tua vita. Molla tutto, dai, fai come me che sono un libero professionista, ho appena preso tremila euro per lo storyboard di un portale, sai io mi limito a definirne la corporate identity, le possibili redemption in termini di customer satisfaction, poi per carità la parte informatica la fanno altri che è una materia così arida io non potrei mai, poi se capita l’occasione magari organizzo qualche evento. Anzi, sai che ti dico? La prossima volta che organizzo una conferenza stampa ti chiamo, tu sei pubblicista, no?
  • Sì ma lavoro in un ufficio stampa… È un po’ diverso.
  • Vabbe’ dai però promettimi di pensarci. Ci mettiamo insieme, io ho già il mio giro di clienti, tu rispolveri un po’ le tue capacità, vedrai ci divertiamo. Mi raccomando cerca di viaggiare un po’ che dietro alla scrivania mi appassisci.
  • Non è che magari sei tu che vuoi mandare il curriculum dove lavoro io? Per un po’ ancora stanno assumendo.
  • Si, ti piacerebbe. Però ci penso, perché no, per qualche mese potrebbe anche essere interessante, però cavolo non con quegli stipendi lì, eh…

2014

  • Guarda chi c’è! Mamma mia come sei ingrassato! E i capelli bianchi!
  • Si in effetti gli anni passano, il tempo libero è sempre meno. E tu? I tuoi workshop?
  • Vengo appena adesso da una settimana di incontri tra creativi precari.
  • Ah. Interessante. Di che avete discusso?
  • Be’, di questo sistema del lavoro opprimente che uccide noi partite iva e garantisce sempre i soliti, quelli con il contratto a tempo indeterminato, e ferie, le malattie… Io l’anno scorso ho avuto una brutta influenza e se non mi aiutavano i miei nemmeno pagavo l’affitto. Ma dico io, si può continuare così? Basta i privilegi, basta l’articolo 18, azzeriamo tutto.
  • Vabbe’, ciao. Ho un po’ di fretta. Sai come siamo noi impiegati, orari, cartellini.
  • E già! Ma il curriculum l’ho mandato alla tua azienda, ma non mi hanno chiamato.
  • Da alcuni anni lavoro nel pubblico.
  • Ah, una bella raccomandazione, eh?
  • Veramente no. Però sai poi la noia delle scartoffie, contratti, delibere, burocrazia. Tutto molto freddo.
  • Vero. Mi avvisi quando fanno un altro concorso?
  • Certo. Ma sono bloccati da sei anni. E pure le consulenze. Non che ti potessero interessare, con i guadagni a cui sei abituato tu.
  • Già. Però avvisami lo stesso.
  • Ok.
  • Ciao
  • Ciao.

Aboliamo la burocrazia. E pure la proprietà privata?

ufficiNella recente convention alla Stazione Leopolda Matteo Renzi ha detto che essere di sinistra vuol dire essere contro la burocrazia. Come espressione mi sembra talmente banale da sfiorare l’ovvio, come dire che la sinistra è contro la pioggia nel weekend o contro la pizza con i bordi bruciacchiati e la pasta al centro cruda.

Ma tant’è, quello è il livello intelllettivo della platea a cui Renzi si rivolge, e non escludo che in un prossimo futuro, se si renderà conto che gli porta consenso, il sindaco di Firenze non apra una crociata contro i bordi bruciacchiati della pizza, di cui gli unici responsabili sono i sindacati dei pizzaioli, le pizzerie gestite da magrebini, le segreterie del partito e Rosy Bindi. (A proposito, Davide Serra, un finanziere amico di Renzi la cui società è nata nelle isole Cayman, ha tuonato che i sindacati hanno rubato ai giovani il loro futuro. Detto da uno che gestisce fondi di investimento, mi ricorda tanto la scena di Johnny Stecchino in cui si diceva che la Sicilia ha un grosso problema, ed è il traffico).

Ma veniamo alla questione chiave: la burocrazia. Da un punto di vista linguistico, la burocrazia è l’organizzazione che sovrintende alla gestione di un bene collettivo; l’insieme degli uffici che amministrano il potere, insomma. Ovviamente l’accezione negativa a cui fa riferimento Renzi è quel potere impersonale che si autoalimenta e che si accresce senza fine.

Per il populino antikasta, sono burocrazia quella montagna di carte che gli impiegatucci fanno riempire prima di concedere un diritto dovuto, e non c’è immagine più nitida del Processo di Kakfa per rappresentare bene questa perversione.
Ebbene, contro questi eccessi siamo tutti contrari.
Ma il punto è un altro.
Cosa genera e alimenta la burocrazia?
Se dovessi spiegarlo ad un bambino, direi che la burocrazia è la reazione del sistema immunitario di un organismo statale che si difende dalla tradizionale tendenza dei cittadini a cercare di fregarlo, in altre parole la reazione alla loro disonestà.
Proprio come i pollini che si sono modificati per difendersi dallo smog e hanno finito per generare in noi diverse allergie, così la burocrazia finisce a lungo andare per diventare tossica. Ma all’origine c’è il vero problema: la disonestà.

Caro sindaco di Firenze, essere di sinistra significa per me essere contro la disonestà, non essere contro la burocrazia.
Vediamo di fare un esempio facile facile.
Immaginiamo che un sindaco abbia le risorse (fantascienza) per aiutare le persone in difficoltà. In una comunità di persone oneste (e magari a Report faranno vedere che in una provincia di Copenaghen funziona così, dannati danesi!) le persone si recano dal sindaco e si distribuiscono le risorse disponibili. Tutti felici. A Copenaghen.
In Italia si presenterebbero tutti, compreso il sindaco stesso e il suo cugino venuto apposta da Canicattì, per spartirsi la torta. E allora come si fa? Ecco che nasce la burocrazia. Facciamo che i soldi li diamo in proporzione al reddito. Per cui ci servono le dichiarazioni dei redditi, che funzionano sul principio che chi più ha più mette a disposizione, e che sono quella burocrazia che i ricchi odiano, perché la verità è che chi più ha più vorrebbe avere.

Al di là del fatto che le dichiarazioni dei redditi sono eluse da tante classi disoneste (di nuovo), non basta, perché a parità di reddito tu che vivi da solo avrai meno esigenze di chi ha tre figli. Ed ecco che arriviamo a quel rapporto tra reddito e nucleo familiare che è l’ISEE, altre carte, altra burocrazia. Ma l’ISEE a sua volta si basa sul nucleo familiare: e l’italiani se possono fottono alla grande i loro pari (scusate l’espressione, ma così è) e mentono facilmente anche sulla composizione della famiglia. A seconda delle esigenze, c’è gente che dimentica di avere nonni e zio in casa quando deve pagare l’affitto, per poi vederli riemergere per chiedere altri sussidi. Per cui dobbiamo avere dei registri in cui annotiamo pedissequamente ogni nascita, ogni morte, ogni matrimonio; per noi l’anagrafe, lo stato civile e la carta di identità sono cose scontate, ma guardate che per altre nazioni civili, per esempio per il mondo anglosassone, non è così.
Credo che come esempio possa bastare. Più gli italiani imbrogliano, più lo Stato moltiplica la burocrazia per difendersi. Se per avviare un’attività ci vogliono certificati, pratiche, documenti e controlli, è perché se così non fosse avremmo ristoranti in capannoni di eternit dove camerieri bambini servono cani e gatti arrostiti in un garage. Rilasciando scontrino non fiscale con inchiostro simpatico.
Esagero, dite? Temo non conosciate a fondo i vostri compatrioti.
Per dare un taglio alla burocrazia, il governo Monti ha stravolto il procedimento del cambio di residenza. Prima occorreva presentarsi di persona nel Comune dove si dichiarava di andare a vivere, attendere una verifica da parte della polizia municipale che verificasse che davvero quell’appartamento era abitato dal dichiarante, e quindi poter richiedere una certificazione dopo 45 giorni. I geniali tecnici hanno detto che no, il cambio di residenza lo facciamo in tempo reale, poi al limite il controllo dei vigili servirà a confermarlo. E per chiedere il cambio di residenza basta una e-mail. Evviva.
Sapete o no che piccoli comuni settentrionali si sono ritrovati sommersi da e-mail inviate da broker assicurativi napoletani che fanno cambiare residenza ai loro clienti per ottenere premi assicurativi più vantaggiosi? E che c’è gente che chiede la residenza presso la casa al mare di un conoscente ignaro, si presenta all’anagrafe e ottiene subito il documento di identità con il quale se ne va in Spagna? Certo poi la pratica verrà annullata, ma intanto andate a riprenderlo e a farvi restituire la carta di identità regolarmente emessa. Andate a spiegare alle autorità spagnole che qui la residenza è in tempo reale, anche se falsa.

Caro sindaco, eliminiamo pure la burocrazia. Sappi però che quando non ci saranno più conservatorie, anagrafi e tribunali, in ultima istanza non ci sarà più nessuno a tutelare lo stato di diritto e la proprietà privata, garantita da quei burocrati che tanto odi.

Se al tuo amico banchiere di Londra va bene, that’s all right, puoi stare ben certo che andrà bene anche a noi.

Visi pallidi e musi neri

La tribù dei visi pallidi si aggira intorno al ferragosto nervosa, irritabile, con l’occhio fisso sull’orologio e una tendenza inconsueta a rimandare tutti gli impegni gravosi. Di tanto in tanto i suoi membri vengono sorpresi a fissare poster e cartoline con un sorriso ebete sul viso. Stanno bene con i loro simili con i quali conversano per ore dei vantaggi dell’aereo sul treno e degli hobby da riscoprire e valutare. Viceversa entrano immediatamente in conflitto con i loro acerrimi nemici, la tribù dei musi neri. Questi ultimi hanno un’aria riposata, capelli luminosi e pelle abbronzata, ma a contraddistinguerli è soprattutto il velo di malinconia che traspare da ogni loro azione. I musi neri sospirano continuamente, sotto il neon asettico dell’ufficio come di fronte alle polpette rosa della mensa, blaterano continuamente di mollare tutto e partire per aprire un pub in Costa Rica, la mattina inclinano la testa e fissano il monitor senza accenderlo. Anche loro stanno bene con i loro simili, con i quali discutono della scarsa lungimiranza di chi va in ferie tardi e prende sono cattivo tempo e del fatto che a luglio il mare, la montagna, i laghi e tutto l’universo (tranne gli uffici) è senz’altro più bello. Ovviamente si può passare da una tribù all’altra, ma solo in momenti specifici: questo fine settimana si aprirà l’ultimo portale spazio temporale che permetterà ai visi pallidi rimasti in giro di passare dalla parte dei musi neri, mentre questi ultimi, con il tempo, torneranno a essere visi pallidi. Per riaffrontarsi a settembre, quando i (nuovi) musi neri non avranno voglia di lavorare, e i visi pallidi invece smanieranno e si lamenteranno di tanta inefficienza. Ma questa è un’altra storia: adesso, se permettete, mi avvicino al portale…