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E dalle co ‘sto falsetto…

Il falsetto è quella tecnica di canto che produce suoni acuti e striduli e permette di raggiungere note molto alte; in alcuni casi, penso ai Cugini di Campagna, è diventata una specie di marchio di fabbrica, una caratteristica stilistica predominante. Da qualche anno è tornata di gran voga, ma se si tollerano volentieri le divagazioni di Bono su Lemon o i trucchetti dal vivo ci certi cantanti metal che non si sognano nemmeno di riprodurre gli acuti (ritoccati) incisi sull’album, quando si esagera con questo falsetto la faccenda diventa irritante. Penso a Irene Consoli, che sembra canti dopo aver fatto sei piani di scale e mi trasmette un po’ del suo isterismo, a Elisa, che sfiata con minore frequenza ma ogni tanto lascia partire un gridolino, artiste brave che secondo me non hanno bisogno di questi espedienti per farsi notare. Penso a questo James Hunt, che canticchia “High” con il tono di un undicenne effeminato. Ultimamente ho sentito una canzone che mi piace molto, “Mentre tutto scorre” (bellissimo il titolo eracliteo, un po’ ingenuo il testo ma cresceranno), di una band, i Negramaro, che è oltre tutto pugliese e per questo a me più cara; la canzone è bella, ma il cantante abusa platealmente di ‘sto benedetto falsetto, in alcuni momenti dà l’impressione di avere due mollettonni attaccati alle palle che lo infastidiscono non poco e gli impediscono di cantare serenamente. Cari cantanti, se la nota è troppo alta abbassate la tonalità, cambiate la melodia, cambiate mestiere, ma smettetela di imporci queste vocine gracchianti. Il falsetto è un nostro diritto quando cantiamo sotto la doccia: voi potete fare di meglio.

Fissazioni

La libertà dalle connessioni, dalla rete onniscente che ci cattura e ci ingloba, dal flusso indistinto di marmellata comunicativa, è una libertà da lupi solitari. Quando entri nel mondo sociale (leggi lavoro e famiglia) perché prima o poi tocca a tutti, perdi serenamente questa tua capacità di fluttuare senza vincoli. Ho comprato il mio primo cellulare quando ho cominciato a cercare lavoro alcuni anni fa: chi offre lavoro non lascia messaggi in segreteria (giustamente) e se non rispondi passa a quello dopo. Quindi, cellulare. Oggi sto cominciando a predisporre casa, perché prima o poi mi sposerò anch’io (sempre più prima e sempre meno poi): e quindi, telefono fisso. Una casa di studenti può stare senza telefono fisso, una famiglia no. Non ho ancora capito perché, ma la vita è troppo breve perc sprecarla cercando di dare risposta q questi enigmi, e insomma, nei prossimi giorni avrò un telefono fisso e una connessione al web meno leggera di quella del telefonino.
Lavoro fisso, telefono fisso, tasso fisso . Poi dice che uno vengono le fissazioni…

Musichette e libert

Mi piace molto l’ultimo brano di Moby, Lift me up, ha un bel ritmo e delle soronità pop eleganti che mi fanno pensare ai migliori Depeche Mode e a David Bowie (cioè quel poco che riesco ad apprezzare della musica pop). Mi piaceva molto anche Come stai di Vasco Rossi, probabilmente il miglior brano dell’ultimo album, un giusto equilibrio di rock e canzone d’autore senza però trascurare il testo (come invece accade in un Senso, capolavoro mancato, canzone inespressa che soffoca rigirandosi sullo stesso concetto fino alla nausea). E se continuo a ripensarci, mi rendo drammaticamente conto che le ultime canzoni che mi sono piaciute (a parte Bad Religion, Green Day, Ska-p che sono fuori competizione) sono quelle selte dalle pubblicità Vodafone. Il dubbio che a questo punto mi attanaglia non è essere o non essere (meglio essere, non c’è paragone, di gente che non è ma occupa spazio ne vedo sin troppa), ma: sono quelli della Vodafone che hanno buon gusto, o i miei gusti si sono tristemente spiacciati contro la livella massificante (uao, che bell’immagine da massmediologo) delle segreterie dei call-center? Non lo so. Mi angoscia, però, la questione.
Decido di chiamare Fastweb.
E poi Tim.
E poi pure un fornitore che in segreteria ha un brano a 8 bit di Beethoven (brrr).
Ascolto varie musichette.
Mi riprendo.
Non sono tutte uguali.
Meno male.
Siamo ancora liberi di scegliere, in fondo.

Stavolta non ci casco

In questi giorni sui giornali e in tivù sta passando la pubblicità di un nuovo film, “Manuale d’amore”. Il cast è veramente notevole: Carlo Verdone, Luciana Littizzetto, Sergio Rubini, Margherita Buy, e questa è una buona notizia perché secondo me il cinema italiano pecca molto di personalismo, una variante tipica delle province dell’impero dove il creativo fa da regista, interprete, produttore e autore dei film. Si pensi non solo a Verdone, Benigni, Nuti, Rubini, ma anche ai (tristi) episodi più recenti di comici televisivi che cercano di passare al grande schermo riciclando gag e battute con risultati desolanti.I casi di collaborazione tra autori sono rari, ma quasi sempre vincenti (mi vengono in mente il meraviglioso “Non ci resta che piangere” di Troisi e Benigni ma anche “Al lupo al lupo” con Verdone, Rubini e Francesca Neri). Ben vengano allora i film “cooperativi” che contrastino il filmoni americani, dove oltre tutto la presenza di più star è più una regola che un’eccezione. Tutto bene, allora? Non proprio. Penso che infatti non andrò a vedere questo film per tener fede ad un giuramento. Alcuni anni fa, promisi sollennemente che dopo una boiata pazzesca come “Il mio west”, un film riuscito malissimo che sprecò nomi come Harvey Keitel e David Bowie mescolandoli maldestramente a Pieraccioni e Alessia Marcuzzi, mai più dicevo promisi che avrei visto al cinema un film di Giovanni Veronesi. Sperando di sbagliarmi, aspetto il dvd.

GALACTICOS!!!!!!!!!

? più forte di me. Non riesco a farne a meno. L’unico risultato sportivo che mi dà soddisfazione quasi quanto una sconfitta del Milan, è una sconfitta delle merengues, o come si chiamano loro, insomma del Real Marketing Madrid. Che volete farci, sono uin tifoso del Taranto e come tale un autentico esperto in sconfitte, tanto da apprezzare quelle altrui. La Juventus non è squadra particolarmente simpatica, vedi quello che ho scritto sul doping, gli arbitri, eccetera. Però volete mettere la soddisfazione di vedere i GALACTICOS battuti e umiliati, da un gol per giunta di un panchinaro che viene dall’Empoli? Sono soddisfazioni. Non ci vuole un genio per dire che non basta mettere trequartisti forti insieme per vincere: è come fare un auto con 6 motori. Se la carrozzeria non regge, serve solo a consumare più benzina. Questi bellimbusti che palleggiano come indiavolati negli spot della Nike, questi fenomeni del marketing capaci di mirabolanti acrobazie e stratosferci ingaggi bloccati da un incubo per i pubblicitari, brutto, sporco e cattivo come Camoranesi? Il ciccione Ronaldo(“gordo”, lo chiamano così i suoi tifosi) vorrebbe tornare all’Inter, non lo dice ma lo lascia intendere, in cambio di Adriano. Ma neanche una squadra masochista come l’Inter potrebbe mai accettare il cambio. Forse.

Il fotoscioppismo

Photoshop è un programma straordinario che permette a grafici, creativi e in generale a tutti gli utilizzatori di computer di modificare e integrare immagini digitali con tecniche evolute che solo quindici anni fa sarebbero costate ore di lavoro e avrebbero richiesto un’attrezzatura costosa. Fin qui tutto bene. Qual è il problema, allora?

Il problema è che il proliferare di versioni economiche, gratuite o comunque di software accessibili con le caratteristiche di Photoshop hanno fatto sì che chiunque, anche persone digiune di competenze specifiche, possa mettersi a realizzare locandine o manifesti. Finché si tratta del solito fotomontaggio zozzone per festeggiare l’amico che si laurea, poco male; così come ognuno è libero di impreziosire le proprie foto delle vacanze con cornici arancioni viola e nere e scritte tridimensionali “Ecco papy” (nel caso qualcuno lo avesse confuso con il paesaggio o con il vicino di ombrellone, non so).

Il vero danno sorge quando questa smania prende anche i realizzatori di locandine pubbliche: laddove una volta c’era il nome dell’associazione, il titolo della conferenza in nero su sfondo giallo, al limite qualche asterisco, oggi è un proliferare di titoli con l’ombra (ma dove lo vedete tutto questo sole, sotto i portici?), scritte ondivaghe che seguono curve immaginarie, immagini trasparenti su immagini trasparenti, volti deformati, immancabili effetti 3d e clip-art (immagini insignificanti dall’inspiegabile successo) ovunque. Ieri ho dovuto avvicinarmi a meno di 30 cm per leggere l’orario di una conferenza scritto in bianco (3d!) su uno sfondo di fiori di bosco viola.

Ho deciso di rinunciare alla conferenza, chi appende un manifesto così non può avere cose interessanti da dire.