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Per amore di chi?

Quando guido ascolto spesso la radio, con particolare attenzione agli spot. Al contrario di quelli televisivi, che possono fare leva su colori vivaci, immagini ammalianti, donne e uomini bellismi, per la radio occorre usare di più il cervello. Non si può mostrare il prodotto, bisogna raccontarlo. Insomma, la radio è un mass-medium per sua natura più portato alla scrittura.
Di spot belli ce ne sono: ma da qualche giorno sono colpito dalle brutture. Non tanto la rima baciata facile facile da emittente locale o lo slogan canticchiato con il jingle, che in fondo si tollerano: ma veri e propri fuoripista talmente brutti da sfociare nel surreale. L’ultima: un coretto gioiso canta le lodi delle pere abata dell’Emilia Romagna, fatte “per amore, solo per amore”. MA CHE VUOL DIRE? LE PAROLE SONO IMPORTANTI! Vogliamo usarle come si deve? Che vuol dire coltivare le pere per amore? Che si è intrapresa l’iniziativa per far colpo su una donna con un debole per i coltivatori di pere? Che le si dona gratis? Non credo. Si scambiano, per un corrispettivo di denaro. Allora, dove questo folle sentimento che? Perchè le pere abate sono fatte per amore, solo per amore? Per la loro forma, come dire, sensuale?
Finché non me lo spiegate, o finché non vi affidate ad una agenzia di pubblicità seria, cari amici coltivatori di pere emiliane, non avrete i miei soldi. Comprerò le pere abate del Veneto. Anche loro lo fanno solo per dirty business, certo. Ma almeno non inflazionano il più elevato dei sentimenti con una pubblicità qualunquista…

L’Italia dei guru

La Fiera dei piccoli e medi editori di Roma 2005 ha offerto una serie di spunti su cui riflettere.
Scandalosa, oscena e imprevista scoperta per giornalisti, guru dei new media, massmediologi e intellettualoidi: c’è un sacco di gente che compra libri. Giovani, donne, anziani, bambini. Non solo: comprano libri di autori esordienti, di sconosciuti, libri di poesia o saggi di autori provenienti dal terzo mondo. Invogliati non da pubblicità, gadget e sconti, ma semplicemente da una frase, una suggestione, una quarta di copertina. Gli intellettualoidi si agitano, argomentano, si interrogano, disquisiscono: come mai questo non succede tutto l’anno? Come mai quest’anomalia di Roma? Che ci fanno queste migliaia di persone a Roma, che non c’è neanche Radio Dee-Jay? Semplice. Tutto l’anno ai lettori vengono proposti maghetti volanti, giovanissime prostitute, resoconti di trasmissioni televisive, barzellette e polpettoni fantareligiosi. Poi capita una boccata d’aria fresca come questa fiera, e la gente accorre numerosa. Ci sono tante Italie.
Quelle di mandrie di militari in licenza, liceali brufolosi e ragazzini innamorati delle veline che accorrono al MotorShow a gridare "faccela vede’" alle hostess massacrate e a contendersi ferocemente un cappellino, e quella di chi va a Roma a comprare libri di cui non ha mai sentito parlare.
Ci sono tante Italie, ma i guru sembrano guardare sempre la stessa.

 PS. Le copie del mio romanzo sabato pomeriggio erano esaurite. Come autore ed editore, che si mangeranno le mani per mesi…

Le regole di un buon blog

Prendo spunto dal blog del mestiere di scrivere, uno dei siti che rientra nella topo ten dei miei preferiti, per affrontare il tema dell’usabilità dei blog, e fare un po’ di autocritica. A parlarne è stato niente meno che Jacob Nielsen, http://www.useit.com/alertbox/weblogs.html. per cui bisogna davvero che mi metta in riga.

 1) Mancanza della biografia dell’autore.
C’e l’ho, nel senso che ce’è. Non proprio qui, ma nel sito "madre", di me si parla, pure troppo. Forse mancano dettagli particolareggiati, ma insomma, a chi interesserebbero? Non sono mica Albano, io.

 2) Mancanza della foto.
Ci sono, ci sono. Basta cercarle. E poi io faccio lo scrittore, mica il modello.
3) Titoli poco descrittivi
E qui devo ammettere qualche carenza. In effetti i miei titoli sono più evocativi che descrittivi, ricordano un po’ quei film anni 70 con titoli simpatici che poco però avevano a che fare con il film. Che volete farci, il blog è la mia stanza dei giochi. Se non posso trasgredire qualche regola professionale neanche qui…
4) Link che non dicono dove conducono.
Be’ insomma se qualcuno di voi c’ha il click facile e poi si perde non è colpa mia. Non sono mai stato un fanatico del ‘iperlink, non comincerò adesso
5) Vecchi articoli "seppelliti".
Direi proprio di no, ho una classifica, e semmai ad essere seppelliti sono quegli articoli in fondo che non riescono ad emergere.
6) L’unica navigazione possibile è quella tramite calendario
Ancora una volta passo l’esame, si può navigare anche per argomento. E converrete con me che non esagero con gli argomenti, come fanno alcuni blogger che aprono una categoria al giorno e poi l’abbandonano dopo pochi post
7) Periodicità irregolare
Ragazzi, la giornata è fatta di 24 ore e almeno 9 se le porta via il lavoro. Dopo, quando ce la faccio, scrivo. Di sicuro non scrivo mai quando non ho niente da dire.
8) Scarsa specializzazione
E qui casca l’asino. O il sottoscritto, se preferite. Si lo so, la rete non è generalista, occore limitare gli abiti, restringere gli orizzonti. Ma io proprio non mi ci vedo in un blog di fanatici della terza stagione di Friends, o di estimatori della liquirizia, o di appassionati di ocarine artigianali. Il mondo è vasto, e non voglio privarmi del piacere di raccontarlo. Tutto.
9) Dimenticare che chi ti legge potrebbe essere il tuo futuro datore di lavoro.
Questo è veramente agghiacciante. Sembra un inno all’autocensura. In realtà, è molto più semplicemente una nota di buon senso: se insulti, offendi, aggredisci verbalmente qualcuno, devi essere consapevole che il web non è una realtà virtuale e parallela, ma un pezzo della realtà. Per cui se domani qualcuno dovesse scoprire tramite il web che sei una testa calda, potrebbe decidere di non assumerti. Questa nota è molto americana. In Italia siamo ancora alla lettera di referenze in carta filigranata, altro che ricerche su google…
10) Essere proprietari di un nome di dominio
Concludo alla grande: ce l’ho. Non so fino a quando, che coi tempi che corrono anche 50 euro all’anno possono essere una spesa superflua da tagliare. Ma mi piace avere il controllo di quello che dico, e non mi piacerebbero dei banner che reclamizzano chissà cosa che svolazzano tra le mie parole come cartacce in mezzo al prato.

La tv del cavo

La mia generazione di studenti di comunicazione (metà anni novanta, praticamente i primi) è cresciuta nel mito della televisione a pagamento, presentata da alcuni ricercatori come la panacea per tutti i mali della squallida televisione generalista. La televisione a pagamento avrebbe portato cultura, documentari, film d’autore nelle case degli italiani. In particolare, era la tv via cavo il mito di una decina di anni fa: libera da concessioni pubbliche, avrebbe rappresentato la chiave di volta per l’evelouzione della televisione tematica. Ebbene, a parte il fatto che la tv a pagamento ci ha sommersi di calcio, porno e filmoni hollywoodiani (con delle ottime eccezioni tra i bouquet di Sky), la tv via cavo, di cui sono un utente via Fastweb, si è rivelata un’autentica delusione. Come si fanno a chiedere 6 euro 6 per una prima visione? 6 euro, quando acquistare un dvd ne costa una 10, noleggiarlo 3 (anche 1,80 per 6 ore)? 6 euro, quando il digitale terrestre Mediaset presenta delle alternative valide a 4 euro? E Rai Click? Anche qui, una buona idea, quella di accedere allo sterminato archivio Rai per rivedere con piacere, per esempio, Indietro Tutta. Peccato che anche qui i prezzi siano follia pura. Davvero, questi signori dimostrano di non averci capito un cavo di concorrenza: pensano che dopo aver piazzato un cavo e una videostation in casa di un cliente, questi debba necessariamente fruire dei servizi. Un poì come i vecchi monopolisti: portiamogli la corrente, poi vedrete che consumerà. Consumare, si consuma. Peccato che il cavo serva solo a telefonare…

Annunci d’amor

Sfoglio distrattamente un giornale di annunci, il mio sguardo cade sulla pagina degli annunci (non quelli soft-core della case d’appuntamenti, che pure meritano perché talvolta sono spassosi, ma quelli delle agenzie matrimoniali). E non ho potuto resistere alla tentazione di raccogliere alcune chicche. Prima del brano tratto fedelmente (ho solo saltato alcuni passi) trovate i miei commenti.
Attendi pure fiduciosa:
"30enne nel pieno della sua bellezza, sogna ancora il suo principe azzurro"
Ufficio reclami
"Vedovo vorrebbe riavere una moglie"
L’utero in affitto in Italia è vietato:
"42enne di belle maniere cerca ragazza che gli possa dare il figlio da lui sempre sognato"
Stirarsi prima la camicia:
"56enne tranquilla e romantica conoscerebbe uomo onesto e sincero, ordinato nel vestire
Oh, che poeta!
"La primavera più felice della mia vita spero abbia inizio con un tuo sorriso"
Cercasi colf alla pari:
"Ho una bellissima casa ma troppo vuota senza il sorriso di una donna"
Modesto e realista:
"Il mio lavoro mi appassiona ma vorrei concederti l’onore di averti al mio fianco"
Caspita, si è fatto tardi!
"Il mio lavoro mi ha talmente assorbita che ho compiuto 30 anni senza accorgermene"

Ti amo

Il San Paolo si affida niente meno che alla Gialappa’s Band, Alleanza Assicurazioni sceglie le interviste di Dario Vergassola, “Ti amo” dichiara la Genertel. Il mondo della comunicazione bancaria è in subbuglio, si torna finalmente a investire (se non investono loro, le uniche società a non essere in crisi in questo difficile contesto economico, chi?) in comunicazione svecchiando parecchio, scegliendo un tono colloquiale e ironico, abbandonando la freddezza istituzionale e un po’ burocratica.
Bene. Ci amano. Dopo la dichiarazione, nelle storie che si rispettino, c’è la prova d’amore. Il cavaliere che ha rivelato il suo amore deve dimostrarlo in qualche modo, superando qualche prova, facendo qualche regalo importante, vincendo un avversario fenomenale. Hanno dichiarato il loro amore per noi consumatori, scelta importante, performativa, direbbero i linguistici: un dire che è anche un fare, perché chi dice ti amo “fa” un azione importante. Adesso ci aspettiamo la prova di questo amore. Ci aspettiamo che i premi, per esempio, non continuino a crescere del 10% l’anno. Ci aspettiamo che depositare denaro in banca produca interessi, e non solo costi. Ci aspettiamo la stessa semplicità e chiarezza nei fogli illustrativi dei prodotti, che di solito illustrano poco e lo fanno in corpo 5. Ci aspettiamo degli sportelli aperti anche il sabato, che vengano incontro a chi non può andare in ferie ogni volta che deve andare in banca. Se ci amano davvero, che lo dimostrino.