Il titolo non vi spaventi, non sono un cleptomane (termine che molti italiani hanno scoperto grazie ad una canzone recente senza peraltro comprenderne il significato), capisco che ci siano strumenti per prevenire i furti nei supermercati. Come per esempio quelle placcone di plastica avvinghiate agli indumenti, quelle che di solito le commesse non sanno sbloccare e che se non fate attenzione vi ritrovate nel guardaroba ancora avvinghiate alla giacca. Ce le avete presenti? Staccarle è impossibile, indossarle fa più grattino (vedi cleptomane) che punk e se avete perso lo scontrino non potete neanche portarle indietro, rischiereste una denuncia. Ma non divaghiamo. Di placche, adesivi, custodie, ce ne sono anche sui cd. Il problema è che chi le appone non si pone minimamente il problema di dove le infila: il risultato è che leggere la track list di un cd è praticamente impossibile, diventa difficile scoprire l’anno di pubblicazione, per non parlare dei maledetti codici a barre sulle quarte di copertina, che impediscono di leggerne i contenuti. Perché non ci guardate, prima di appiccicarli? Un libro non è un pigiama! Per leggere la quarta di copertina di un libro che mi interessava in un ipermercato ho dovuto prenderne cinque, leggere una riga da uno, una dall’altro (gli impiegati per fortuna appiccicano gli adesivi a casaccio, mai nello stesso posto), recuperare le parole mancanti da un altro ancora. Alla fine ho deciso di comprare il libro. In libreria. Non mi sognerei mai di comprare un libro con una patacca collosa sulla quarta di copertina…
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Per le lettrici le dimensioni contano
L’altro ieri chiacchieravo con l’edicolante del Centro Lame, una persona molto cortese che ha deciso di vendere alcune copie del mio romanzo (vendute 13 su 15, ma non fa testo, le hanno comprate tutte i miei colleghi). Mi ha consigliato di scriverlo un po’ più lungo, la prossima volta: una ragazza si è lamentata di averci messo mezz’ora a leggerlo tutto. A parte il fatto che io mi lamenterei dei romanzi che non sono riuscito a completare o che ho completato in dieci anni, e non di quelli che leggo in poco tempo; però la faccenda mi ha fatto riflettere. Si perchè gli autori vorrebbero scrivere, scrivere, scrivere, non si risparmiano, sapete: sono gli editori che (giustamente, dal loro punto di vista) tagliano, tagliano, tagliano. Anche Bello dentro ha subito un bel po’ di dolorose ma necessarie sforbiciate. Che dire, alla ragazza che ha letto il mio romanzo in mezz’ora? Nella quarta di copertina avevamo azzardato un paio d’ore di lettura piacevole, in effetti 30 minuti sono proprio pochi. Prometto che il prossimo romanzo arriverò a scrivere 600 pagine. Almeno 200 dovrebbero pubblicarmele, no?
Il travaglio usato
Non è che io abbia una visione romantica del lavoro, per cui uno debba trovare motivazioni esistenziali dietro quello che fa per portare a casa lo stipendio: si lavora e basta. Non è che mi aspetti di trovare la poesia del sentirsi realizzati, l’attaccamento ai propri strumenti, la propria esistenza proiettata in quello che si produce. Però che cacchio, un minimo di coerenza: se fai il medico cerca di curare bene le persone, se sei scrittore cerca di scrivere con attenzione, se fai il muratore costruisci pareti solide. Ieri ho visto un netturbino che guidava uno di quei camion rumorosissimi che svuotano i bidoni della spazzatura con una gru. Già li odio perché mi svegliano ogni mattina facendomi sobbalzare e gridare all’invasore, ma questo è un altro discorso. Mentre la gru faceva il suo dovere, il tizio ha finito la sua sigaretta e ha buttato il mozzicone dal finestrino. Per terra. Insomma, la scena mi ha infastidito. Forse se la spazzatura si raccogliesse ancora con le scope, anziché seduti comodamente in un camion, non si sarebbe comportato così, il cafone. Ma non è colpa dei netturbini: se gli scrittori dovessero lavorare di polso o per lo meno con la macchina da scrivere (e lì se sbagli non cancelli), forse scriverebbero meno cavolate, e se i medici dovessero preparare i composti curativi, forse li prescriverebbero con meno facilità. So quello che mi direte: è il progresso, baby, ci stiamo muovendo. Ma non so se stiamo andando avanti.
Il giorno pi? lungo
I primi a fare casino sono sempre i piedi, da sempre la parte più proletaria e battagliera dell’organismo: alzi la mano chi si ricorda di avere avuto male negli ultimi tempi alle orecchie, alle anche o ai polmoni. Quelle sono parti sottomesse e servili, i piedi no, i piedi si lamentano e fanno male. Dicevo, i primi sono stati i piedi, a lamentarsi della scarsa frequenza con cui il sangue li riforniva di ossigeno. Tanto hanno fatto che mi sono svegliato, in effetti mi sono accorto che erano gelati, e mi sono domandato se per caso non si fossero bloccati i riscaldamenti. Ma è ancora prestissimo, posso dormire ancora, maledetti piedi, li muovo un po’ per riscaldarli senza esagerare che non voglio dormire del tutto. Un paio d’ore dopo sono in piedi, in un silenzio irreale. Sarà che da qualche tempo vivo da solo, ma un silenzio così non me lo ricordavo. Non si sente passare la maledetta macchina che pulisce le strade la mattina presto e fa più baccano di una sfilata rave, al piano di sopra non hanno ancora cominciato a spostare i mobili (o uno dei coniugi c’ha l’amante e ogni notte lo nasconde nell’armadio, o vivono tutti in divani letto che hanno bisogno di essere oliati, o vivono tutti nell’armadio, non vedo altre spiegazioni). Vado in bagno, cacchio se fa freddo se n’è accorto anche lui e protesta pigramente perché non apprezza questa boccata d’aria fresca, l’acqua calda fa una condensa che sembra un geyser
Mi avvio pigramente a fare colazione, sembra domenica mattina, che strano, ma non è che è davvero domenica e ho dormito cinque giorni di fila, apro finalmente la finestra, capisco…
M***a, nevica. Cioè, non è che nevica m***a, ma è come se lo fosse, bastano pochi centimentri a mandare in tilt la circolazione bolognese. Ci metterò due ore ad arrivare in ufficio. Sarà un lungo, lungo giorno.
Quesito spinoso
C’è un quesito spinoso che mi rode in questi giorni.
Del televisore, ormai, non si può proprio fare a meno, e se si vogliono evitare i reality show, si può sempre usare per guardare i dvd. Appunto: anche il lettore dvd è un oggetto sempre più diffuso. Poi c’è il vecchio videoregistratore, ancora comodo per registrare i programmi interessanti che la Rai manda di notte. Forse bisognerà sostituirlo con un dvd recorder, ma c’è ancora tempo. Non sarebbe male avere un decoder digitale satellitare per vedere i canali digitali stranieri e non (quelli della Rai sono ottimi, di gran lunga superiori al pattume generalista). E quello terrestre? Ha un che di berlusconiano, è vero, averlo in casa è come essere corresponsabile dell’ostinata presenza di Fede nell’etere, però, però, qualche canale gratuito comincia a farsi largo, e poi, a patto che funzioni, 3 euro per una partita di calcio (con la 7, giammai Mediaset) almeno una ogni tanto, non sono tanti…Se fai la connessione a Fastweb ti regalano la tv via cavo, c’è poco e niente ma qualcosa c’è, solo che ci vuole un altro decoder.Per non parlare poi dei maniaci (come il sottoscritto) a cui piacerebbe avere anche un bel amplificatore per ascoltare la musica e vedere i dvd con cinque canali.
Il quesito è: per mettere tutta questa roba in casa, rinuncio al letto e dormo in poltrona, o sacrifico il forno e mangio d’asporto tutta la vita?
Schermo nero
In autobus sempre più spesso ci sono schermi digitali con il tipico sfondo nero e una scritta bianca lampeggiante; nei centri commerciali ci sono console con joystick tristemente appesi e lo stesso identico schermo nero; mi è capitato di vederlo anche sul terminale di un impiegato postale, per non parlare dei totem informativi. Sto parlando della schermata di Windows in tilt, o in crash come si dice in gergo. Le molteplici versioni di Windows variano, si adattano all’ambiente, si aggiornano e si ramificano, ma finiscono inevitabilmente per piantarsi tutte alla stessa maniera. Siano ad alta risoluzione o 3d, al plasma o catodici, anche per i computer esiste una livella nera…