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I miracoli del fotoritocco

La foto qui sopra è una scansione tratta da City di qualche tempo fa, di proprietà dell’Ansa.
L’articolo presentava una serie gialla in sei puntate mandata in onda da Sky con la direzione artistica di Salvatores e con Angela Baraldi protagonista. Ed è proprio di questo di cui vorrei parlare: l’attrice a sinistra è nella sua versione reale, così come viene fotografata alla conferenza stampa, a destra nel poster della serie.
A me pare ci siano delle leggere differenze, non trovate? Se solo potessimo fotoritoccarci nella vita reale…

Rivoglio il mio giornalino gratuito!

Sono un discreto lettore di free-press. Mi riferisco a quei giornalini gratuiti pieni zeppi di pubblicità che vengono distribuiti in giro. Qualitativamente sono piuttosto scarsi (copiano e incollano pari pari molte agenzie e articoli di praticanti/stagisti/aspiranti), però a caval donato non si guarda in bocca. A dire il vero, non è solo il fatto che siano gratuiti a piacermi (in fondo un quotidiano costa meno di un caffé), anche perché erano gratuiti anche quei giornalini pieni di annunci che andavano di moda qualche anno fa e li prendevo solo per pulire i vetri.
La free-press mi piace perché risponde ad un’esigenza, quella di leggiucchiare qualcosa di fretta in autobus, o in pausa pranzo, o addirittura nel parcheggio. Non ti mette l’ansia delle novecento pagine di un quotidiano, tra le quali devi immergerti per trovare quello che ti interessa, sommerso come sei di editoriali, promoredazionali e chiacchiere da uffici stampa; e poi non ti lascia neanche lo scrupolo di coscienza di averne letto solo il 3%. C’è un risvolto della medaglia spiacevole, però. La free-press è imprevedibile: non nei contenuti, ma nella distribuzione. Rilanciando il ruolo strategico del vecchio strillone, sostituito da immigrati con i polmoni più grigi del sacchetto di un aspirapolvere, il giornale gratuito si recupera la mattina agli incroci. E allora può capitare di perdere la copia perché il verde scatta prima che arrivi il tuo turno: oppure perché il distributore è distratto. Oppure, e questa è la mi situazione, perché un giornale prende il posto si un altro. Questo è il mio caso: il semaforo di Via San Donato (otto strade che si intersecano e una porta medievale in mezzo, sembra un dungeon fant-horror più che un incrocio), da sempre presidiato da City, il mio giornalino preferito, da qualche tempo è stato conquistato da Metro. Il cambio non mi soddisfa, Metro praticamente non ha notizie locali, dedica spazi a viaggi e costume e sa molto di accrocchio (almeno City e Leggo una linea editoriale molto vaga ce l’hanno).
Rivoglio City.
Come? Dovrò cambiare strada, evidentemente.
Chissà che il traffico non si possa misurare anche da questo.

Concerto (finch? non me ne sono andato) dei Piano Magic

Il chiostro di Santa Cristina a Bologna è una perla che si dischiude brillante e avvolge nelle sue mura secolari i suoi fortunati visitatori. Un autentico gioiello nel cuore di Bologna, la risposta più efficace al degrado e all’abbandono del centro storico. Il restauro del convento del XIII secolo convertito poi in caserma (ma come si fa?) è stato reso possibile dall’Università che ha investito alcuni miliardi per allestire gli spazi del dipartimento di Arti visive e alcune aule di Scienze Politiche al piano terra e per ospitare i documenti della Fondazione Zeri  e la biblioteca delle donne al primo piano. 1600 mq di area monumentale che è possibile visitare in questi giorni grazie ad una rassegna di musica intitolata “Julive”.
Personalmente ho partecipato alla serata d’apertura dedicata ai Piano Magic, band inglese presentata strepitosamente da City, il quotidiano gratuito, descritta come gruppo raffinato che riscopre sonorità psichedeliche anni settanta e le affida ad atmosfere sognanti e misteriose. Dopo tre quarti d’ora di fracassamento minuzioso e doloroso dei gioielli di famiglia ho deciso che il chiostro era bello, ma c’erano modi migliori di rovinarsi la serata: anche uscire in strada e fissare per un paio d’ore, che so, un segnale stradale sarebbe stato più vario ed eccitante di quello spettacolo. Intanto nel programma si parlava di musica acustica, e i nostri distorcevano elettricamente anche il loro respiro. Poi si parlava di canzoni, e invece il cantante, un tipo pelato con la testa enorme le braccia corte e le spalle a bottiglia, non ha fatto altro che biascicare lamentele al microfono come se qualcuno nel frattempo stesse cercando di impalarlo. Magari era vero, non c’era abbastanza luce per dirlo, ma certo la prossima volta ci penserò a lungo prima di seguire una recensione di City. Quasi ogni “canzone” (sempre gli stessi tre accordi di basso, avrei potuto suonarlo anch’io, schitarrate a casaccio e una batteria che sembrava lì per errore) era anticipata da un commento tipo “this song is very sad”. Ora, se sei pelato con la testa enorme e le spalle a bottiglia avrai delle buone ragioni per essere sad, non lo discuto. Ma, con tutto il rispetto per i tuoi problemi e tutta la simpatia verso chi fa spettacolo contro le regole dello show-business, devi proprio coinvolgere anche noi?