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I generi letterari

bibliotecaChi mi conosce sa che secondo me esistono solo due generi di romanzi: i buoni romanzi e quelli cattivi. Però i generi letterai piacciono, piacciono sopratutto agli editori che si sentono rassicurati, piacciono ai lettori che non vogliono rischiare, piacciono alle biblioteche che si danno un ordine. Volete davvero i generi letterari? Li volete da uno che ha mescolato il noir con l’umoristico e il giallo con il fantasy, scatenando le ire degli ortodossi? Eccoli.

Giallo: c’è un cattivo che ammazza qualcuno, e alla fine viene catturato
Noir: c’è un cattivo che ammazza qualcuno, ma importa il giusto perché tutti sono cattivi e, a modo loro, ammazzano
Orrore: ci sono cattivi che ammazzano, ma con doverosa perizia di particolari
Rosa: c’è un lui bello e maledetto, c’è una lei forte e voluttuosa, e alla fine si amano
Erotico: c’è un lui bello e maledetto, c’è una lei forte e voluttuosa, e fanno sesso. Cavolo se ne fanno. Dall’inizio alla fine. Probabilmente si amano anche loro, ma non è rilevante
Epico: ci sono cavalieri, battaglie, miti, buoni e cattive, ma soprattutto tante pagine o, se l’autore ha fortuna, tanti libri
Fantastico: non si capisce se quello che succede è vero o falso
Fantascienza: non si capisce se quello che succede è verosimile o no, o se lo sarà in futuro
Avventuroso: succedono un sacco di peripezia al protagonista, almeno quante ne bastano a riempire un eventuale film di due ore
Romanzo di formazione: non è detto che accada qualcosa, ma se accade, accade ad un personaggio tra i quindici e i vent’anni
Fantasy: ci sono nani, elfi, principesse, maghi e draghi, e si menano le mani in terre misteriose e grandi abbastanza da starci in una mappa di una pagina disegnata da un bambino di cinque anni
Gotico: qualunque cosa accada, c’è da avere paura
Umoristico: qualunque cosa accada, c’è da ridere
Biografia: la storia di una persona che ha avuto una vita interessante
Autobiografia: la storia di una persona che millanta di aver avuto una vita interessante

L’armonia dei sogni spezzati, di Fabrizio Carollo

fabrizioLa morte è un tema ricorrente nella letteratura e non potrebbe essere altrimenti. Può essere un espediente da cui partire per svelare un delitto, come nel caso della letteratura poliziesca, può essere un’occasione per raccontare i sentimenti di chi sopravvive ad un lutto, può essere anche un modo di immaginare a cosa ci sia dopo, se un qualcosa c’è.

Parlare della morte serve in fondo a esorcizzarla, a parlare della vita, di cui la morte è solo una fase. Ebbene, “L’armonia dei sogni spezzati” è una raccolta di racconti di Fabrizio Carollo che mi ha colpito particolarmente proprio per la capacità di raccontare con uno sguardo originale delle storie in cui il tema della morte è preponderante. Non vi aspettate elucubrazioni filosofiche o melense pagine strappalacrime: qui siamo nell’ambito della letteratura fantastica dove il confine tra reale e sogno, fantasia e allucinazione, presente e futuro è labile.

E l’abilità dello scrittore sta proprio nel prenderci per mano con una lingua asciutta e accurata e accompagnarci in cinque storie che più che di paura sono intrise di malinconia. A proposito delle storie, non accennerò alle trame perché il gusto dell’autore è proprio quello di sorprendere con finali che capovolgono le nostre previsioni e i nostri pregiudizi. Ci sono personaggi sperduti in deserti sconosciuti e pugili sfiniti dalla vita, ci sono studenti che ripercorrono i corridoi della propria scuola e innamorati delusi che cercano una soluzione definitiva al loro dolore. I racconti, in definitiva, mi sono sembrati soprattutto un inno alla vita nelle sue innumerevoli forme. Perché, sembra dirci l’autore, se arriva il momento in cui, come un ladro nella notte, la morte interromperà il nostro percorso, allora questo è il motivo migliore per godercelo appieno, questo viaggio senza aspettare o rimandare a chissà quando.

Un autore nella cultura: Fabrizio Carollo intervista Carmine Caputo

intervista_FabrizioLa rubrica “Un autore nella cultura” a cura di Fabrizio Carollo chiacchiera con uno scrittore “galleggiante”, come lui stesso si definisce, per distinguersi dagli emergenti.
Nel romanzo “Chiamami legione” (Sesat Edizioni), Carmine Caputo non ha soltanto mescolato sapientemente generi diversi in una storia che racchiude azione, poliziesco, fantasy ed ironia ma ha anche spezzato la barriera del luogo comune per cui un libro grosso è noioso e difficile.
Nel suo libro (non il primo, perché Carmine ha all’attivo diverse pubblicazioni) l’autore utilizza un linguaggio che scorre bene ed interessa fin dalle prime pagine, catturando l’attenzione del lettore sulle vicende delle due protagoniste (eroine) al femminile letteralmente diverse l’una dall’altra.
Una conversazione piacevole per un tipo di narrativa che dovrebbe essere certamente riscoperta, in compagnia di un autore ed un amico che ha reso speciale questo secondo appuntamento dell’ottava edizione di UANC.

Guarda il video sul sito di Vimeo

Chiamami Legione

coverCi siamo.
Dopo cinque anni di silenzio (anzi, cinque anni di chiasso, vista la presenza delle mie due vivaci nuove coinquiline che hanno preso possesso del mio tempo e della mia casa), torno a pubblicare. Il romanzo si chiama “Chiamami Legione” ed è edito da Sesat Edizioni.
Presto riceverete maggiori informazioni su questa pagina. Intanto anticipo che il romanzo sarà presentato alle Librerie Coop il 28 novembre alle ore 18,15.

Aggiornamento: ecco la pagina dedicata a Chiamami Legione

 

Lo scrittore ai tempi di Google

scrivereFacile scrivere, oggi, ai tempi di Google.

Hai un dubbio, non ti ricordi un nome o un episodio, fai una ricerca e vai. Se vuoi descrivere accuratamente un posto non hai nemmeno bisogno di esserci stato, basta un giro su Google Street View. Addirittura, se come la maggior parte degli scrittori usi un computer per scrivere, non hai bisogno nemmeno di cambiare strumento, è tutto lì. Puoi mostrare conoscenze enciclopediche semplicemente con un utilizzo accurato del copia e incolla. Fantastico, vero?

Non proprio. Perché Google ce l’hanno anche i lettori. E lo usano. Non parlo di quelli che sospendono l’incredulità, si fidano dell’autore e si lasciano accompagnare nel percorso che questi ha previsto per loro. No, parlo delle simpatiche carogne che non si limitano (questo potevano farlo anche cento anni fa) ad accorgersi che un personaggio minore, che a pagina 15 dichiara di non fumare, a pagina 415 entra in una tabaccheria.
Non si limitano, gli amici lettori, a far notare le contraddizioni grossolane in cui l’autore può cadere perché magari in un romanzo storico fa mangiare delle patate ad un console romano (anche questo potevano farlo anche i lettori ottocenteschi). Niente di tutto questo, i lettori veramente tosti riproducono sulle mappe digitali i percorsi dei loro eroi di carta per verificare il rispetto dei tempi (e no, non ci può mettere dieci minuti per arrivare in Times Square! Al limite otto!), controllano che, se il protagonista prende un aereo, quella linea sia davvero coperta nell’epoca di svolgimento dei fatti, analizzano traittorie balistiche e percorsi delle metropolitane.
Già immagino i fiumi di inchiostro (anzi, le pagine di forum o social network, perché per fortuna oggi l’inchiostro lo risparmiamo) che si sarebbero spesi per verificare l’attendibilità delle capacità di resistenza di D’Artagnan, o le accurate ricostruzioni con il GPS dei movimenti di Phileas Fogg.

Capite che per lo scrittore vivere in un mondo così è angosciante. Mentre scrivevo “Ballata in sud minore”, produssi un brano abbastanza malinconico che si concludeva con il protagonista che rientrava a casa mentre il padre guardava una partita di calcio; il paragrafo si concludeva con un lapidario “L’Italia perdeva due a zero”. Il paragrafo nel suo complesso aveva una sua musicalità e mi piaceva molto. E però mi resi conto che l’Italia, nell’anno (1992) in cui era ambientata la mia storia, non era mai stata sotto di due gol; e anzi in quell’estate non giocò proprio perché non si qualificò per gli europei. Me ne accorsi in tempo e ripensai l’intero brano prima della pubblicazione, prima insomma che qualcuno si accorgesse del misfatto. Sempre nello stesso romanzo scrissi di un incontro nei pressi di un panchina, a Statte, ma una amica che mi aiutò nell’editing mi fece notare che le panchine in quella zona furono installate alcuni anni dopo.
Per fortuna però Street View non ha uno storico, e questo dato sarebbe sfuggito alla peggiore canaglia. Per ora. Perché prima o poi faranno l’archivio di Street View e ci spoglieranno anche dei ricordi.

PS. In realtà questi problemi ce li hanno i grandi scrittori autori di best-seller. Non ho di che preoccuparmi.

PPS Il mio prossimo romanzo che uscirà prima di Natale in larga parte è ambientato in un mondo che ho inventato io, dove valgono le regole che ho deciso io. Non si sa mai.

PPPS E però ora che ci penso c’è una scena che si svolge a Statte e parla di uno svincolo dove oggi c’è una rotonda. Cari lettori precisini, ve lo dico in anticipo, il romanzo è ambientato nel 2007, la rotonda l’hanno fatta dopo. Uffa.

L’opera struggente di un formidabile genio

Questo romanzo fa cagare. Ecco. L’ho detto. Natale è passato, possiamo anche essere un po’ meno buoni e dire le cose come stanno. Certo avrei potuto dire semplicemente che non mi è piaciuto, che è troppo lento, che le divagazioni stancano, sono poco interessanti e manifestano solo il delirio egocentrico dell’autore, che si identifica nel protagonista essendo il romanzo autobiografico. Ma non basta, perchè questo è vero di tanti romanzi, ma non tutti riportano in copertina la frase “Grande, grande scrittura. Un libro che non lascia scampo ” (a proposito, chi è il Wallace che ha dato questo commento? Devo scoprirlo).

Lo spunto di partenza è drammatico e interessante: tre fratelli e una sorella si ritrovano in pochi mesi la vita sconvolta dalla scomparsa per cancro dei due genitori. Le poche pagine non dico belle ma almeno di una qualche dignità letteraria sono proprio quelle dedicate agli ultimi giorni della madre dell’autore. L’autore e il fratello minore chiudono allora i ponti con Chicago, la loro città natale, e si trasferiscono in California.

E poi non succede più niente, perché per centinaia e centinaia di pagine è solo il continuo vaniloquio del protagonista che schiaccia gli altri personaggi, li riduce a macchiette quando non a semplici spalle del “formidabile genio”, uno che ci ammorba con discorsi insulsi che non conclude mai e con una scrittura che dovrebbe far ridere tutte le volte che ripete il turpiloquio in maniera ossessiva ma che già la terza volta stanca. Ho fatto una fatica indicibile a terminare questo romanzo, ma ci tenevo a farlo perché prima di stroncare un’opera bisogna essere sicuri che davvero non ci sia, su 369 pagine, almeno una frase degna di nota. E non c’è, ve lo assicuro. A parte il titolo, che è veramente bello, e che riesce a battere persino “La solitudine dei numeri primi” per contrasto tra un titolo promettente e una storia fiacca e deludente.