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…ma la tua festa, c’anco tardi a venir, non ti sia grave

Ieri per molti ragazzi ci sono stati gli esami di scuola media. I primi veri e propri esami, visto che quelli della scuola elementare sono stati cancellati per non “stressare” i pargoli. (come se essere circondati da genitori ossessivi con il senso di colpa e la sindrome dell’amico non fosse uno stress peggiore: ma questa è un’altra storia).
Ho nostalgia degli esami.
Gli esami erano bianco e nero, dentro o fuori. Sapevi il giorno in cui ti toccava, ti preparavi, avevi l’adrenalina a mille ma poi il gioioso svacco di dopo, un piacere difficile da recuperare. Gli esami davano un risultato certo, magari ingiusto, ma c’era. L’opaco grigiore del mondo del lavoro, invece, fatto di valutazioni strategiche, aspettative crescenti, investimenti sulla produttività, ti inaridisce giorno dopo giorno. Come un liceo che non sai quando dureraà: cinque anni, forse sette, forse trenta. Dipende dal mercato, dalla congiuntura economica, dal consiglio di amministrazione. Mai un bel voto, mai uno cattivo: tu pensi di aver superato un esame, ma in realtà bluffavano, quella era solo la prima parte, poi ci sarà la seconda, poi forse una terza.
Ho nostalgia del bianco e nero, del dentro o fuori.
E soprattutto di quello svacco del giorno dopo che ormai non arriva più…

6-6-2006

Six, six, six, the number of the beast…
La canzone degli Iron Maiden cara a chi è come il sottoscritto è cresciuto negli anni ottanta mi serve per introdurre l’argomento: oggi è il 6-6-2006. Una data fantastica, per esempio, per lanciare un film horror come Omen, e magari per organizzare qualche festicciola in tema sullo stile lugubre alla Halloween.
Sono cattolico e quindi credo nel demonio, ma credo sia ben diverso, e molto più pericoloso, della macchietta legata a simboli e figure attraverso cui gli uomini l’hanno raffigurato nei secoli, forse per esorcizzarlo. Il demonio non è una bestia con le corna, è quella forza che spinge gli uomini a scannarsi per sete di poter o semplicemente, come direbbe Reagan, perché non sono disposti a negoziare il loro stile di vita lussuoso e sprecone. Il demonio, è vero, si manifesta talvolta in maniera violenta: ma più a casi legati a problemi psichici spacciati per indemoniati, basta aprire un giornale nella pagina di cronaca per leggere di stupri, violenze su minori, associazioni a delinquere di vario genere. Sono lì, i demoni, sono dentro di noi, perché ciò che è male viene dal cuore dell’uomo, purtroppo, e non da fuori.
E soprattutto non aspetta il 6-6-2006 per manifestarsi…

Goduria giustizialista

Lunedì mattina, traffico intenso, gente irascibile e sonnacchiosa come si confa in una giornata di sole che sta per essere sciupata sotto il neon di un ufficio. Colonna di auto in fila. Arriva il dritto, non è giovanissimo dalle apparenze (capelli grigi) non è giovanissima neppue la sua macchina (una Peugeot 205 ancora scattante). Il dritto passa comodamente sulla corsia opposta tanto se viene qualcuno frena, supera agevolmente la coda e con agilità e destrezza dovuta probabilmente all’abitudine (il dritto fa il dritto alla posta, in auto, al supermercato, quando fa il 730: è un dritto, no?) tagli la strada al primo e si incunea davanti a tutti. Scene viste e riviste centinaia di volte a Bologna, nella totale impunità. A Taranto c’è chi si comporta così: ma c’è anche quel senso di giustizia sommaria per cui se lo fai ad uno suscettibile quello di segue fino a casa, aspetta che scendi dall’auto, insulta le ultime 6 generazioni della tua famiglia e poi ti gonfia come un canotto. Provate a superare a destra sui Tamburi, a Taranto: vi sparano. E poi dai balconi tutti a testimoniare che è stata legittima difesa e che la colpa è di quello strunz morto sull’asflato. Invece a Bologna no, a Bologna il dritto sguazza tra persone per bene che subiscono la prepotenza. Ma stamattina le cose sono andate diversamente: il dritto è stato sfortunato perché nei paraggi c’era la polizia comunale con la missione evidentemente di rimpolpare le casse di via D’Accursio: breve inseguimento, segnalazioni, accosti, multa. E anche qualche punto in meno, spero.
Al dritto tutto sommato è andata bene. Fosse stato a Taranto ci sarebbe stata una Peuget 205 usata con il vetro fracassato e qualche macchia sul sedile in più sul mercato dell’auto.

Intercettatemi!

Moggi non mi ha mai chiamato. Da Ricucci neanche un sms, niente, per non parlare di politici, i quali al limite mi hanno risposto con l’e-mail preconfezionata se sollecitati tramite posta elettronica per qualche campagna. Oggi per contare qualcosa devi essere intercettato, la vera intellighenzia al potere la si interpreta così.
 Molti si scandalizzano parlando di violazione di privacy, quando leggono di un designatore arbitrale che ripete "devi vedere anche quello che non c’è", oppure quando un direttore sportivo ricorda a chi deve giudicare che va bene una multa, ma la squalifica a suo figlio è fuori discussione.
Che vergogna, le intercettazioni, o quello che dicono gli intercettati?
E allora mi metto in ballo, e mi domando: e se intercettassero me? Bella roba. Discussioni con la mia fidanzata sul preventivo della veranda. Commenti sarcastici con mio fratello su Keith Richards che cade da una palma da cocco (e manda all’aria un tour mondiale per il quale mio fratello aveva i biglietti). Qualche sms (compromettente?) al mio capo per avvisare che arrivo in ritardo in ufficio.
Bah, non lo so, sarà una forma di pudore, l’educazione cattolica, la completa estreneità alle logiche di business, ma la verità è che se mi intercettassero non credo che mi sentirei in imbarazzo, si tratterebbe soprattutto di conversazioni private certo, ma poco piccanti, noiosamente affogate nel lecito. Non va bene. Stasera chiamo un amico e gli ricordo di quella volta che ci drogammo e rubammo un elicottero atterrando in Piazza del Popolo a Roma. Ovviamente non è vero.
Ma se un giorno pubblicassero le intercettazioni, che figura ci faccio senza un po’ di pepe?

ll congegno antivecchiette

Non so se vi è mai capitato di accedere ad uno di quegli edifici dotati di controllo biometrico delle entrate. Quasi sempre si tratta di banche che, prima di farvi entrare, vi infilano in una cabina trasparente e vi chiedono cortesemente l’impronta digitale. Così, se svuotate il caveau e ammazzate le cassiere, almeno sanno subito che impronta avete. O magari hanno un sistema lombrosiano che rifiuta i clienti con le impronte riconducibili al carattere criminale.
Quale che sia l’obiettivo, questi strumenti sono fenomenali per bloccare una delle piaghe sociali di Bologna, e cioè il problema delle vecchiette salta fila. Le vecchiette si infilano ovunque, tu sollevi il braccio per indicare al panettiere lo sfilatino che ti interessa e loro pronte guadagnano spazio, si infilano nell’intercapedine e ordinano tre rosette; tu stai per chiedere un etto di prosciutto con il tuo numeretto salvafila in mano e loro, con un numeretto artefatto che conservano da decenni, ti scartano con indifferenza e ordinano 25 grammi di prosciutto non troppo salatino ma di quello buono. Contro gli accessi biometrici, le vecchiette non possono nulla: si entra uno alla volta. Per non parlare del fatto che il dito incartapecorito spesso e volentieri non viene riconosciuto dalla macchina insensibile che lo cataloga come tessuto inorganico.
 Uno alla volta, anche per chi ha lasciato le finestre aperte a casa o ha fretta perché sta per cominciare il TG4. Voglio l’accesso biometrico anche alla posta e dal medico, lo voglio subito!