Archivi tag: papà

La spesa con papà

Fare la spesa non è di solito un’attività entusiasmante, ma con un po’ di organizzazione (lista della spesa, percorsi strutturati, scelta di orari non troppo frequentati) si possono raggiungere buoni risultati di rapporto costi/benefici.
Questo ovviamente se non si ha una figlia di tre anni accanto.
In questo caso l’approccio non è più funzionalista (faccio la spesa perché ho bisogno di determinate merci) ma ludico (faccio la spesa per far divertire mia figlia visto che fa freddo e non posso andare al parco).
Quindi l’obiettivo non è comprare quanti più prodotti nel minor tempo possibile, ma comprare quanti meno prodotti inutili nel tempo prestabilito. Non si pensi subito a giocattoli o caramelle: il giovane papà infatti evita con accuratezza quei settori, addirittura se può evita gli ipermercati preferendo i centri più piccoli privi dell’angolo (che più che un angolo è un piano sterminato) giochi. Il problema sono gli oggettini che per posizione (ripiani bassi) e dimensione (stanno in una manina) si rendono disponibili alla figlia volenterosa che vuole collaborare alla missione. Tonno, cibo per cani, lustrascarpe, bulloni finiscono pertanto nel carrello, e guai a ferire l’orgoglio dei piccoli rimproverandoli e mettendo via gli oggetti inutili sotto i loro occhi. L’unica soluzione è trovare un carrellino piccolo e affidarglielo. Attenzione, non quelli a forma di automobile in cui si siedono: funzionano una volta sola, poi i piccoli annusano la fregatura e li mollano.

Intendo proprio i carrellini piccoli di plastica: bassi, difficili e imprevibili da guidare, sbattono contro i piedi di tutti, creano confusione, perdono il contenuto che straborda, slittano. Insomma, il divertimento è assicurato. Certo ciò rallenterà di non poco gli spostamenti e non è detto che il rapporto con i vicini tragga beneficio dal fatto che il carrellino guidato dalla piccola insolente li faccia sbandare da una parte all’altra (i papà più ansiosi potrebbero utilizzare supermercati lontani dove non si incontrano i vicini, tranne gli altri giovani papà che vogliono evitare i vicini).

Ma raccoglierete i sorrisi di tutti, specie delle signore, a patto che spiegate alla figlia che il gioco è finito quando, nei pressi della cassa, rischia di intasare la fila con i suoi “io, faccio io” che accennano all’idea impraticabile che sia la piccola a disporre i prodotti sul piano. E insomma, anche dalle giostre più belle bisogna scendere, prima o poi

 

Il terzetto dei fuorisede – seconda parte

Il terzetto dei fuorisede purtroppo è vittima di ogni genere di abusi da parte della città ospitante. Paga prezzi spropositati in bar che gli indigeni non frequenterebbero neanche per aver perso una scomessa, compra molti più biglietti di autobus di quanti non ne sarebbero necessari e per non fare brutta figura li timbra tutti, finisce, esausto e sfiduciato dopo giorni di ricerca, a sistemare l’erede in camere triple ricavate in tuguri senza pavimenti e con il bagno in comune con l’appartamento due isolati più avanti. Sono ancora migliaia i terzetti che frequentano Bologna, talvolta anche nella versione coppia (la più efficiente, perché non c’è l’inutile ingombro del papà) o in quella familiare che comprende anche la zia che ha visto il mondo perché partecipa sempre ai pellegrinaggi in corriera organizzati dalla parrocchia o il fratello minore che pur di liberarsi del porimogenito è disposto a quel gironzolare senza meta.
Se incontrate un terzetto, a Bologna, Roma, Firenze o in qualunque altra città universitaria, siate accondiscendenti con loro.

E soprattutto spiegateli che no, non è normale pagare 500 euro in nero per un posto letto, e che se cercano un altro po’ forse troveranno di meglio.

Il terzetto dei fuori sede – prima parte

La stagione dei terzetti comincia con le prime avvisaglie nella tarda primavera, tra maggio e giugno. Si tratta tuttavia di apparizioni sporadiche, di manifestazioni che rappresentano solo un’anticipazione, per quanto ricca di contenuti, della stagione vera e propria che va dalla seconda metà di agosto fino alla fine di ottobre.
In questo periodo i terzetti sono rinvenibili nelle città universitarie per la classica formazione triangolare: studente davanti con aria sognante e distratta, mamma un paio di passi più indietro che scuote il capo con aria diffidente, papà in linea con la mamma – o appena un po’ più dietro – perso nella consultazione contemporanea e quindi assolutamente insoddisfacente di una mappa turistica, un giornale di annunci e un blocco di appunti. Questa figura negli ultimi anni ha conosciuto una certa evoluzione per cui al materiale cartaceo può sostituirsi un cellulare di ultima generazione con GPS e connessione ad Internet: in risultati sono, se possibile, ancora più deludenti, perché almeno tuttocittà non perdeva la connesione con il satellite e dal giornale di annunci si poteva evitare la pubblicità più invadente.
Il terzetto è quello delle famiglie dei fuorisede che cercano l’alloggio per la giovane speranza: e se ne parlo con affetto è perché anch’io, troppi anni fa, ne ho fatto parte.

Continua con la seconda parte

In biblioteca

Il giovane papà, consapevole di aver assecondato gli istinti primordiali della sua erede consentendole di sradicare innocenti fiorellini al parco e permettendole di usufruire con inaudita violenza di scivoloni, altalene, corde ed altri elementi di tortura (per i genitori ansiosi, mica per le piccole bestioline), decide che è arrivato il momento di accompagnare la piccola all’interno di uno dei suoi sacrari: la biblioteca.
La biblioteca della Sala Borsa di Bologna per fortuna offre un’ampio ambiente dedicato ai più piccoli. Piacerebbe dire che qui i fanciulli si immergono nelle pagine colorate e divertenti delle storie pensate per loro, ma la verità è che i primi gridolini sono generati da una piccola tribuna che consente all’erede di arrampicarsi e provare quindi indoor le proprie capacità di estensione e contusione esercitate nel parco. Poi ci sono sedie e tavolini su misura, e questo provoca la dignitosa approvazione di chi si è sempre domandato perché sedie e tavoli sono sempre così scomodamente enormi.
E poi ci sono i libri.
Il giovane papà ne propone vari, piccoli con le filastrocche, grandi con pagine variopinte, tenta persino con un paio di opere in tedesco finite lì perché qualche precedente avventore deve averle trasportate da chissà dove. Difficilmente però si supera la terza pagina, quella tribuna è troppo invitante. Allora il giovane papà cambia stanza, e qui c’è addirittura la possibilitò di togliersi le scarpe e gattonare tra i cuscini, la goduria raggiunge livelli parossistici. I libri si continuano ad occhiare con simpatia, forse compassione.
D’altronde, mi domando, se al centro della biblioteca per adulti ci fosse un campo di calcetto e qualche biliardino, probabilmente mi farei distrarre anch’io.
La giornata si conclude con un’altra fitta al cuore del giovane papà.
Vinto ma non domo, gioca la carta dell’omologazione culturale: tira fuori da uno scaffale dei libri che riportano immagini tratte da Shrek e Madagascar. Sono meno raffinati, meno curati, meno elaborati dei centinaia di libri che ha proposto precedentemente all’erede. Eppure stavolta fanno breccia, si arriva addirittura a sfogliarne due terzi.
Si torna a casa, la biblioteca all’erede è piaciuta, chissà se le sono piaciuti anche i libri, si domanda sconsolato il giovane papà che in un paio d’ore è invecchiato un bel po’.

Rileggere

Ci sono lettori a cui piace rileggere alcune pagine di un libro. Perché sono rimasti impressionati da un passaggio, perché hanno amato un personaggio, perché apprezzano una scena e vogliono rigustarsela. Il giovane papà no. Il giovane papà farebbe a meno di rileggersi continuamente pagine già lette.
Ma siccome uno dei divertimenti dei più piccoli è quello di rovistare in giro alla ricerca di segnalibri da sfilare, al giovane papà non resta che fare buon viso a cattivo gioco, e riprendere a leggere più o meno da dove si era interrotto.
Più o meno

Il lettino da campeggio

I genitori sono chiamati ad alcuni difficili e straordinarie prove.
Una delle più delicate riguarda il giovane papà, e si manifesta di fronte alle prime vacanze con il cucciolo.
Si tratta di un’esperienza dura che segna molti e riduce l’autostmia di tanti altri, fino a far domandare loro se sono in grado di essere buoni genitori. Mi riferisco al montaggio del lettino da campeggio.
Si tratta di una diavoleria mostruosa inventata da qualche genio del male che ha avuto sicuramente un’infanzia terribile. Esiste in colori, forme e marche diverse, ma la sostanza è sempre quella: quattro assi devono sbloccarsi contemporaneamente e irrigidirsi sostenendo una struttura su cui poi si innesta un piccolo materasso.
Facile a dirsi.
Basta una frazione di un millisecondo, una distrazione, un rallentamento nella respirazione con il diaframma dell’addetto al montaggio e il magico click blocca solo tre assi. Il quarto resta floscio e mette a repentaglio la stabilità del sistema e l’esistenza in vita del piccolo ospite.
Tre assi alla volta, e non sempre le stesse. (continua…)