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Felicit?…

Tra le tante definizioni più o meno valide di felicità, c’è quella che spiega che nessuno è più felice di chi ritrova qualcosa che aveva perso. In fondo è il concetto evangelico della pecorella smarrita: più prosaicamente, ci si ripete che invece che desiderare qualcosa che non abbiamo dovremmo concentrarci sulle ricchezze che già possediamo per essere lieti. Oggi ho vissuto dieci minuti di felicità. Arrivato in ufficio mi sono accorto di essere senza portafoglio. Per carità, non porto mai contante nè ho carte di credito: ma chi ha perso la patente (a me capità una decina di anni fa) sa che tra carabinieri, motorizzazione, denunce e foglie provvisori in Italia è più facile procurarsi un passaporto falso che rifarsi una patente vera. Per cui, ho vissuto davvero il dramma della perdita, già mi vedevo in fila da qualche parte privo dei miei documenti, della mia identità, magari imbarcato in un aereo con qualche povero clandestino diretto in Romania. Invece il portafoglio era sotto il letto. Felicità. Felicità. Me lo accarezzo, ci guardo la patente sgualcita e la carta d’identità rifatta da poco, e sono felice.

È proprio vero che l’inizio e la fine della nostra vita sono segnati, ma sta a noi decidere se congiungerli con una frettolosa linea retta o goderci gli sbalzi di alti e bassi…

Statte campione d’Italia

La pagina di oggi è molto “personal”, nel senso che questa notizia non apparità sulle pagine dei quotidiani nazionali nè ne sentiremo parlare in televisione, ma per la comunità dalla quale provengo e alla quale sono ancora affettivamente legato è un momento particolare: il Real Statte, squadra di calcio femminile, ha vinto 4-1 la finale scudetto contro il Palermo e si è laureato campione d’Italia. Per una volta quindi Statte non sale alla ribalta della cronaca per un episodio di cronaca nera, e il merito è di queste ragazze e del loro allenatore Marzella. Congratulazioni, siete la dimostrazione che quando c’è l’impegno e la determinazione i risultati arrivano anche senza grande risorse economiche o grandi strutture (a proposito, dove vi allenate? Vabbè che manco da tempo da Statte ma non ricordo sia sorto niente che somiglia ad un palazzetto dello sport…Se pensate che una quindicina d’anni fa giocavo a basket outdoor, e per tirare da tre dovevo calcolare la direzione del vento…) Una bella notizia, ci voleva.
Qualche detrattore dirà che in fondo il calcio femminile a 5 è una disciplina minuscola, che è praticata da poche persone e seguita da meno, che è facile essere primi quando c’è poca competizione.


Lasciateglielo dire: è tutta invidia.

Contro lo sporco si fa presto

Il metro per valutare una pubblicità deve’essere l’efficacia, non la bellezza. Anche perché la prima si può calcolare in soldini per l’azienda, la seconda è soggettiva. Detto questo, ieri, mentre ero in fila in auto, ho guardato la reclame (parola d’altri tempi, ma in questi casi ci vuole) di un detersivo appiccicata su un autobus. Sempre meglio di quelle di biancheria intima che mi fanno sbandare, questo è sicuro. La reclame diceva più o meno “Contro lo sporco si fa presto. Con BIO PRESTO”, o qualcosa del genere. Sulle prime ho avuto un moto di incredulità: essendo la sera del martedì grasso, ho pensato si trattasse di un carro allegorico. Invece no, ho guardato bene, la pubblicità recita proprio così, non è neanche una rima come hai tempi di Calimero, è proprio una tautologia, con Biopresto si fa presto, già allora mi aspetto i prossimi con Svelto fai più svelto e quante coccole con coccolino. Queste pubblicità sono il frutto di investimenti miliardari, non è che a uno viene una idea e si fa, sono il risultato di analisi, studi, ricerche. Evidentemente il produttore ha analizzato, studiato, ricercato, ha caoncluso che il suo cliente è un babbeo, ed ecco la pubblicità come logica conseguenza? Ma io non voglio comprare un prodotto per babbei! PS Mi sono documentato.
La pubblicità è una citazione di uno slogan tradizionale di molti anni fa.
Molto chic, retrò, citazione colta.
Ah. Be’.
Allora….


Non mi piace lo stesso.

Hero

Per fortuna c’è ancora gente come Tarantino capace di guardare cinema straniero (e per gli americani è davvero raro), innamorarsene, proporlo, dargli la platea che merita. Questo è il caso di Hero, capolavoro cinese che stupisce per la grazia con cui riesce a fondere i ritmi lenti e pacati del cinema orientale, una fotografia commovente, effetti speciali che riescono a non cadere mai nel ridicolo (anche se un paio di volte ci vanno vicino), gusto per il dettaglio (la fiamma delle candele, la sagoma lasciata dalle frecce, le foglie rosse…Da brivido). La storia è quella di un gruppo di eroi di Chao che, nell’estremo oriente di 2000 anni fa, si battono contro l’invadenza dei Chin, che poi effettivamente unificheranno i sette regni allora divisi che porteranno più o meno a ciò che noi chiamiamo Cina. Mentre sempre più spesso la televisione occidentale svilisce la tecnica di ripresa, il gioco di luci e la scelta originale del punto di vista (si pensi a sit-com con la camera fissa o alle fiction curate e precise ma senza una idea nuova che sia una), viene dall’oriente un maestro a ricordarci che la cinepresa è un pennello che può dipingere le nostre emozioni. Bellissimo film, che ci lascia tra l’altro una frase che rimarrà nella storia del cinema: pace sotto un unico cielo.

Fever Nights, fever nights, fiva’…

Cos’è che cambia, qual è la molecola che entra in circolo in un determinato istante della vita e che ci impedisce di smaltire facilmente una nottata di baldoria (ieri ho fatto le 4 ballando sulle panche della Buca delle Campane, un locale mitico per gli universitari bolognesi e non solo)? Perché dieci anni fa potevo fare le 4 tutti i weekend e adesso mi sento come se al posto della testa avessi uno di quei bottiglioni aziendali capovolti da sala riunione? Potrei dirmi che è colpa dell’età, sto invecchiando, sto perdendo forza, magari sto pagando le conseguenze degli eccessi di dieci anni fa. Potrei dirmelo, ma sarebbe una balla. La verità è che dieci anni fa per vivere dovevo leggere libri quasi sempre interessanti, ascoltare conferenze quasi sempre interessanti e poi una volta ogni tre o quattro mesi chicchierarne amabilmente con un professore. Al limite potevano chiedermi di scrivere qualche pagina. Oggi per vivere devo seguire spesso progetti
sconclusionati che infatti non avranno conclusione, risolvere problemi creati da altri e trovare giustificazioni convincenti per idee che mi hanno imposto e che trovo balorde.
Per forza arrivo cotto al venerdì sera…