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Faccioni in copertina

Una volta si distinguevano i libri più smaccatamente commerciali per la presenza sulla terza di copertina della foto dell’autore. Se il viso conosciuto di una star che non disdegna salotti televisivi ed è così simpatico nel promuovere l’opera vale più di quest’ultima, conviene puntare sul nome.
Niente di male, per carità, sono strategie di marketing che puntano soprattutto ad accalappiare il regalatore di libri, quello che non li legge ma li regala a Natale per darsi un tono.
Adesso però le case editrici hanno fatto un passo avanti, e il faccione dell’autore lo piazzano addirittura in copertina: mi è capitato di dare un’occhiata ad un libro con la Gruber, uno con Morelli e un altro con Signorini, lo specialista dei pettegolezzi.
Per quanto mi riguarda, si tratta di un bel passo avanti: adesso posso evitare i libri sgradevoli senza dover sbirciare la terza di copertina…

Mamma li videogiochi!

In questi giorni si è tornato a discutere di videogiochi in seguito ad un’inchiesta di Panorama che puntava in particolare il dito contro Rule of Rose, un gioco sadico e violento.
Ora, a parte qualche precisazione (il videogioco è vietato ai minori e la protagonista non è una bambina ma una diciannovenne), non ho motivo per dubitare che si tratti di una porcheria. Non lo conosco, ma leggo che si tratta di un gioco che mescola orrore, sadismo, violenza, strizzando l’occhio alla pornografia senza mai avvicinarsi, come tipicamente fanno i prodotti giapponesi.
Ma il punto è un altro: parlamentari, consumatori e benpensanti uniti hanno cominciato a scagliarsi contro il videogioco, regalandogli una visibilità insperata. Ma perché queste stesse anime pie non fanno lo stesso anche contro i giornali, i film, i romanzi e la televisione che veicolano gli stessi contenuti?
Per il vetusto luogo comune per cui i giochi, in specie quelli elettronici, sono per bambini. Non è così. Il gioco è altro da sé, è finzione, e fingere di essere quello che non si è, e di ciò si ha bisogno sempre, non solo da bambini. Sono d’accordo che certi estremi vanno censurati, perché neanche un adulto ha il diritto ad accedere, per esempio, a contenuti pedopornografici, neppure se sono virtuali.
Però ricordiamoci che è un gioco, e se sparo ad un astronave, sfascio un palazzo o investo un passante in un videogioco, non vuol dire che lo farò anche nella vita reale.
C’è un gioco antico in cui si uccide la moglie del rivale, se ne distruggono torri e cavalli, si massacrano i suoi soldati e i suoi uomini di fiducia. E però non venite a dirmi che tutti i giocatori di scacchi sono guerrafondai, suvvia…

Rivoglio il mio giornalino gratuito!

Sono un discreto lettore di free-press. Mi riferisco a quei giornalini gratuiti pieni zeppi di pubblicità che vengono distribuiti in giro. Qualitativamente sono piuttosto scarsi (copiano e incollano pari pari molte agenzie e articoli di praticanti/stagisti/aspiranti), però a caval donato non si guarda in bocca. A dire il vero, non è solo il fatto che siano gratuiti a piacermi (in fondo un quotidiano costa meno di un caffé), anche perché erano gratuiti anche quei giornalini pieni di annunci che andavano di moda qualche anno fa e li prendevo solo per pulire i vetri.
La free-press mi piace perché risponde ad un’esigenza, quella di leggiucchiare qualcosa di fretta in autobus, o in pausa pranzo, o addirittura nel parcheggio. Non ti mette l’ansia delle novecento pagine di un quotidiano, tra le quali devi immergerti per trovare quello che ti interessa, sommerso come sei di editoriali, promoredazionali e chiacchiere da uffici stampa; e poi non ti lascia neanche lo scrupolo di coscienza di averne letto solo il 3%. C’è un risvolto della medaglia spiacevole, però. La free-press è imprevedibile: non nei contenuti, ma nella distribuzione. Rilanciando il ruolo strategico del vecchio strillone, sostituito da immigrati con i polmoni più grigi del sacchetto di un aspirapolvere, il giornale gratuito si recupera la mattina agli incroci. E allora può capitare di perdere la copia perché il verde scatta prima che arrivi il tuo turno: oppure perché il distributore è distratto. Oppure, e questa è la mi situazione, perché un giornale prende il posto si un altro. Questo è il mio caso: il semaforo di Via San Donato (otto strade che si intersecano e una porta medievale in mezzo, sembra un dungeon fant-horror più che un incrocio), da sempre presidiato da City, il mio giornalino preferito, da qualche tempo è stato conquistato da Metro. Il cambio non mi soddisfa, Metro praticamente non ha notizie locali, dedica spazi a viaggi e costume e sa molto di accrocchio (almeno City e Leggo una linea editoriale molto vaga ce l’hanno).
Rivoglio City.
Come? Dovrò cambiare strada, evidentemente.
Chissà che il traffico non si possa misurare anche da questo.

No, le formiche assassine no!

Qualche anno fa, quando i dvd erano ancora preda di pochi appassionati e il mondo collezionava videocassette abbinate a quotidiani, comparvero le prime riviste dedicate al settore. Alcune, timidamente, cominciarono ad uscire con dvd allegato. Per me fu una festa: erano anni in cui un dvd nuovo costava 50-60 mila lire, insieme alla rivista li pagavi meno della metà. Ma soprattutto, erano film interessanti, non dei block buster per i quali i diritti sarebbero stati eccessivi, ma validi. Penso, tra i miei acquisti, Febbre a 90 o l’Isola di Groan.
Adesso i dvd sono ovunque, oltre a quotidiani e riviste ci si sono messi anche riviste di computer o femminili. Meglio, si potrebbe pensare. Macché! Tra i titoli che ho visto oggi in edicola cito solo “Le formiche assassine” e “Maial College“. Per non parlare di fondi di magazzino anni 80 che oggi riciclano come cult e gli onnipresenti film dell’orrore.
Sarò anche snob, ma io rimpiango il vecchio circolo dei pochi appassionati…

Ma mi facci il piacere…

Voce di donna sensuale: “Complimenti, Zucchetti, per aver vinto il premio come miglior applicativo gestionale che risolve tutti problemi di qualunque azienda…Fai conoscere anche a me le tue prestazioni”?
Non è una battuta di Milly D’Abbraccio in una delle sue migliori interpretazioni, è uno spot radiofonico che avrete sentito anche voi perché lo mandano sulle radio nazionali da anni.
Lasciamo perdere il maschilismo becero, la voce sexy fuori luogo, il riferimento ammiccante banalissimo: tutta materia prima con cui un pubblicitario campa per anni. Ma come si fa ad appellare un gestionale (che magari sarà anche fantastico, non ne giudico la qualità) come applicativo che “risolve tutti i problemi di qualunque azienda”… e che è, San Gennaro?
Va bene esasperare, sottolineare, evidenziare i concetti, ma qui stiamo veramente esagerando. Vivremo pure nell’era delle mediocri utilitarie che diventano “piccoli geni” e di chi fa l’amore con uno yogurt, ma diamoci un taglio. A furia di gridare, la gente si tapperà le orecchie.
E allora, cari pubblicitari, toccherà anche a voi comprare l’applicativo Zucchetti (che tanto risolve qualunque problema di ogni azienda e fa una moka di caffé che è un capolavoro)…

Il dritto d’autore

Non so se vi siete domandati quanto costa una campagna pubblicitaria televisiva nazionale. Di sicuro, tra creatività, produzione e acquisto degli spazi, parliamo di cifre a sei zeri. Chiaramente c’è lo spot di dieci secondi con inquadratura fissa sulla bottiglia e voce fuori campo e c’è quello scritto da Baricco e diretto da Wenders; ma insomma, ci siamo capiti, sono giocattoli costosi. Un dettaglio non da poco che va considerato nel pianificare un budget per lo spot è quello della colonna sonora. I costi, nel caso di canzoni di successo, sono spropositati. Centinaia di migliaia di euro per qualche secondo: a meno che lo spot non diventi uno strumento per lanciare un disco (penste a Bennato con la TIM, Liguabue con Vodafone e il caso eclatante di qualche anno fa di “Breathe” di Swatch), e allora si può trattare. Cosa fa il pubblicitario allora per non venire strozzato dalle case discografiche? Ritocca. Proprio così. Fa scrivere un brano da un musicista che ricorda tanto da vicino il successo, ma non è proprio quello, per cui non si pagano i diritti.
Fateci caso, proprio in questi giorni è in onda uno spot di una nota marca automobilistica italiana che ricorda tanto un tormentone estivo…