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Felicit?…

Tra le tante definizioni più o meno valide di felicità, c’è quella che spiega che nessuno è più felice di chi ritrova qualcosa che aveva perso. In fondo è il concetto evangelico della pecorella smarrita: più prosaicamente, ci si ripete che invece che desiderare qualcosa che non abbiamo dovremmo concentrarci sulle ricchezze che già possediamo per essere lieti. Oggi ho vissuto dieci minuti di felicità. Arrivato in ufficio mi sono accorto di essere senza portafoglio. Per carità, non porto mai contante nè ho carte di credito: ma chi ha perso la patente (a me capità una decina di anni fa) sa che tra carabinieri, motorizzazione, denunce e foglie provvisori in Italia è più facile procurarsi un passaporto falso che rifarsi una patente vera. Per cui, ho vissuto davvero il dramma della perdita, già mi vedevo in fila da qualche parte privo dei miei documenti, della mia identità, magari imbarcato in un aereo con qualche povero clandestino diretto in Romania. Invece il portafoglio era sotto il letto. Felicità. Felicità. Me lo accarezzo, ci guardo la patente sgualcita e la carta d’identità rifatta da poco, e sono felice.

È proprio vero che l’inizio e la fine della nostra vita sono segnati, ma sta a noi decidere se congiungerli con una frettolosa linea retta o goderci gli sbalzi di alti e bassi…

La Cina ? vicina…

Sabato mattina ho scoperto che le pila della mia videocamera (di quelle piccole e piatte, sembrano pastiglie e servono solo a memorizzare data e orario) era scarica. Esco per comprarne una nuova, mi avvio versi il negozio di Computer Discount ma, cosa vedo, sono ormai passate le 12,25 e i solerti dipendenti hanno già chiuso la serranda con precisione più italiana che Svizzera. Si sa come sono gli stipendiati, poca voglia e che si venda o no poco cambia; allora vado da un negoziante di hi-fi, qui c’è il professionista che deve conquistarsi il pane giorno dopo giorno, qui troverò quel che cerco, questi non chiudono mai. Infatti è aperto, ma strabuzza gli occhi quando gli parlo della pila tipo calcolatrice, siccome sono preparato all’evenienza mi sono portato dietro quella scarica, gliela faccio vedere, no no, io non ne vendo, niente. Quasi gli avessi chiesto un chilo di carciofi, magari mi avrebbe risposto meno seccato.
Sto ormai per tornare a casa, quando mi rivolgo ad uno di quei negozietti che sono apparsi come funghi negli ultimi tempi. Niente insegna, niente pubblicità: si capisce che vende un sacco di roba. Casalinghi, ferramenta, giocattoli, di tutto. E’ il negozio di una famiglia orientale, probabilmente cinese. Chiedo le pile senza troppa convinzione. Ce le ha, e me la vende a 30 centesimi. Magari fra tre giorni è scarica, ma se penso ai 5 euro che ho pagato quella di marca dal fotografo, sono comunque contento. basta una mattina in giro a capire l’origine della nostra crisi, più che decine di commentatori economici…

“Bello dentro, fuori meno” recensito da Progetto Babele

Quando ormai hai smesso di sperare che la distribuzione abbia un moto d’orgoglio e, come d’incanto, si metta a lavorare anche solo per pochi giorni; quando hai capito che partecipare ai concorsi è una buona idea, ma rimanere delusi dai risultati non lo è; quando stai pensando intensamente al secondo romanzo, convinto che il primo ormai abbia dato quel che poteva dare (e cioè poco e niente); quando i risultati delle vendite ti hanno convinto che con il ricavato netto puoi permetterti al massimo un trancio di pizza; quando cominci a dubitare seriamente sul fatto che questi sforzi siano valsi a qualcosa… Salta fuori una recensione come quella di Progetto Babele, una rivista letteraria interessante perché libera (si basa sul volontariato e la passione, e per questo può recensire anche autori come il sottoscritto). Una recensione che riaccende la speranza: tra quei pochi che hanno letto Bello dentro, c’è chi l’ha apprezzato. Chissà che non se ne aggiunga qualche altro

Sensibilit

Quando ci svegliamo la mattina e ci vestiamo, sentiamo il contatto della camicia sulla pelle, del portafoglio nella tasca dei pantoloni, dell’orologio sul polso. Dopo un po’ ci abituiamo e il nostro cervello, che pure riceve gli impulsi, smette di considerarli. Allo stesso modo ci abituiamo alla ventola del computer, al cinguettio degli uccelli (i più fortunati), all’odore un po’ stantio dell’aria condizionata. Oggi per me è stato il giorno del rientro in ufficio, e mi sono reso conto della mia quotidianità che presto tornerà a essere invisibile: la poltrona è comoda ma leggere dallo schermo dà fastidio, il cibo dei self service e dei bar fa schifo, gli odori asettici dell’ufficio finiranno per rendere il naso un organo inutile nei nostri discendenti, l’assenza assoluta di silenzio finirà per intorpidirci. E il dramma è che da domani non mi accorgerò più di niente! PS Oggi è stata pubblicata una bella recensione su Progetto Babele, sono proprio contento…

Il mare di Taranto

Il mare a Taranto si divide su costiere, quella salentina e quella jonica, che rappresentano due modi diversi di concepire la vita. La litoranea salentina, quella orientale che va verso Gallipoli, è fatta di gioiellini, piccole insenature con sabbia e scogli, dove l’acqua è bellissima e l’orizzonte limpido. Però si parcheggia dove capita, si sta stesi facendo attenzione a non finire con il piede sul naso del vicino (troppo vicino) di ombrellone, si finisce due volte su tre imbottigliati nel traffico. La litoranea Jonica che va verso Metaponto è fatta di chilometri quadrati di spiaggia: il fondale sabbioso dà però al mare un colore verdastro che ricorda Rimini, e in lontananza le sagome minacciose della città industriale rovinano la visuale. Però si sta larghi, si trova il parcheggio custodito a prezzi umani, si arriva percorrendo la statale 106 in pochi minuti senza alcun problema di traffico. La litoranea Jonica è da DS, è fatta di servizi, comodità, rispetto, monotonia: quella salentina è da Margherita, si spintona, sgomita, si litiga per un posticino al sole e un tuffo dallo scoglio in nome dell’acqua limpida.
Le spiaggie di destra sono quelle a pagamento, ordinate e prepotenti, mentre mi sto chiedendo qual’è la spiaggia da rifondazione. Probabilmente è un’isola meravigliosa immersa nel blu con una vegetazione rigogliosa. I rifondaroli stanno ancora discutendo a riva per capire come ci si arriva…

Visi pallidi e musi neri

La tribù dei visi pallidi si aggira intorno al ferragosto nervosa, irritabile, con l’occhio fisso sull’orologio e una tendenza inconsueta a rimandare tutti gli impegni gravosi. Di tanto in tanto i suoi membri vengono sorpresi a fissare poster e cartoline con un sorriso ebete sul viso. Stanno bene con i loro simili con i quali conversano per ore dei vantaggi dell’aereo sul treno e degli hobby da riscoprire e valutare. Viceversa entrano immediatamente in conflitto con i loro acerrimi nemici, la tribù dei musi neri. Questi ultimi hanno un’aria riposata, capelli luminosi e pelle abbronzata, ma a contraddistinguerli è soprattutto il velo di malinconia che traspare da ogni loro azione. I musi neri sospirano continuamente, sotto il neon asettico dell’ufficio come di fronte alle polpette rosa della mensa, blaterano continuamente di mollare tutto e partire per aprire un pub in Costa Rica, la mattina inclinano la testa e fissano il monitor senza accenderlo. Anche loro stanno bene con i loro simili, con i quali discutono della scarsa lungimiranza di chi va in ferie tardi e prende sono cattivo tempo e del fatto che a luglio il mare, la montagna, i laghi e tutto l’universo (tranne gli uffici) è senz’altro più bello. Ovviamente si può passare da una tribù all’altra, ma solo in momenti specifici: questo fine settimana si aprirà l’ultimo portale spazio temporale che permetterà ai visi pallidi rimasti in giro di passare dalla parte dei musi neri, mentre questi ultimi, con il tempo, torneranno a essere visi pallidi. Per riaffrontarsi a settembre, quando i (nuovi) musi neri non avranno voglia di lavorare, e i visi pallidi invece smanieranno e si lamenteranno di tanta inefficienza. Ma questa è un’altra storia: adesso, se permettete, mi avvicino al portale…